Progetto Sarajevo: 400 scout italiani hanno invaso per un mese la capitale bosniaca. Da una quartiere all'altro si sono mossi con le loro biciclette. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

11/09/2007 -  Anonymous User

Di Cecilia Ferrara

Lo scorso 26 luglio al porto di Spalato si saranno stupiti un po' vedendo arrivare un battello carico di 150 biciclette e di altrettanti scout provenienti dalla Sicilia, piuttosto che dalla Sardegna o dal Piemonte, con la loro divisa azzurra e le promesse colorate legate al collo. Erano i ragazzi del primo turno del "Progetto Sarajevo" che l'Agesci (associazione italiana degli Scout) organizza dal 1996 portando nella capitale bosniaca circa 400 scout dai 17 ai 21 anni per tre turni di 10 giorni, un mese in tutto.

"Già durante la guerra - racconta Lorenzo Vigotti, referente per il Progetto Sarajevo - molti capi Scout si erano impegnati nel portare aiuti umanitari in Bosnia, mentre i gruppi ospitavano i bambini di Sarajevo nelle loro vacanze estive". Da allora l'impegno degli Scout era stato forte sia nei campi profughi con l'operazione "Gabbiano Azzurro" ed anche in altre zone dei Balcani, come l'operazione "Volo d'aquila" in Albania al tempo del crollo delle società finanziarie che portarono il paese sull'orlo della guerra civile.

Ma il progetto Sarajevo è nato non solo come un progetto di aiuto o di "servizio", come viene chiamato il volontariato in linguaggio scout "Il nostro intento - spiega Lorenzo Vigotti - era quello di portare i ragazzi in una situazione molto particolare per far avanzare la loro scelta politica". Nell'ultimo stadio della vita scout infatti si maturano le scelte di servizio, la scelta politica, la scelta di fede e la scelta di comunità. "Con il progetto Sarajevo si decise di sfruttare il servizio più che lavorare per esso - dice Vigotti - Il volontariato diventava un mezzo per avvicinare le persone e capire dal di dentro quello che è successo in Bosnia".

Un campo di servizio molto impegnativo per i ragazzi che durante l'anno lavorano per finanziarsi il viaggio: "Abbiamo dipinto case, lavato auto e abbiamo fatto due cene di finanziamento - racconta Carlo di Cuneo 17 anni da compiere - Siamo in 11 da Cuneo, più tre capi. Prima di venire ci siamo preparati con letture, film, documentari e incontri".

E l'approfondimento continua sul campo. I dieci giorni dei ragazzi sono organizzati con incontri la mattina con diverse personalità: dall'imam al prete ortodosso, dai diplomatici ai giornalisti a persone comuni, ragazzi come loro che hanno un passato pesante. Come Emir che è dovuto fuggire da Sarajevo che è passato da campi profughi all'esilio in Germania, che nonostante fosse molto piccolo ha ancora dei ricordi di suoni e odori della guerra. Mohamed fuggito dall'eccidio di Srebrenica a soli 4 anni. O Sasa serbo-bosniaco originario di Sarajevo i cui partenti e amici sono stati torturati dai musulmani-bosniaci, che ora vive a Lukavica, cittadina a 5 km da Sarajevo in Republika Srpska e che parla di Sarajevo come "di là".

"Mi ha colpito - dice Giacomo di Torino, 18 anni - che Sasa sia riuscito a dire che spera che i propri figli non crescano come lui, influenzati dai nazionalismi".

Ma non sono solo gli incontri a far crescere i ragazzi anche la vita nella città. "Nella città vecchia - racconta Emanuele caposcout di Torino - ho incontrato un uomo che portava a spasso il suo cane e mi sono fermato a chiacchierare con lui. Aveva tanta voglia di parlare e poi ho capito perché. Mi ha raccontato che dopo la guerra la città è cambiata moltissimo, mi ha detto che lui è molto solo, i suoi amici o sono morti o sono emigrati anche i parenti sono pochi quelli che sono rimasti. Ed era un uomo giovane sui quaranta anni. Quindi la città è cambiata anche da questo punto di vista. Si immagina che dopo la guerra si ricostruisca, ma ci sono queste ferite che è difficile rimarginare".

"E poi i bambini - continua Emanuele - I primi giorni è più difficile poi quando ti rivedono già al secondo giorno, ti sorridono ti chiamano per nome, si ricordano di te. Noi siamo venuti qua con l'idea di animare loro e ci accorgiamo che sono loro che animano noi. Ci insegnano loro le canzoni da fare. Un cappottamento di ruoli che spesso avviene. Magari uno parte con l'idea di salvare il mondo e qui invece guadagna in umiltà e in conoscenza di se stesso".

In ogni turno del Progetto Sarajevo ci sono 3 sottocampi nelle differenti zone di Sarajevo, quindi i ragazzi pernottano in una scuola a Kassindol (Republika Srpska) in una a Otoka, (quartiere musulmano di Sarajevo) e a Stup (quartiere croato). In ogni zona il pomeriggio fanno animazione con i bambini mentre la mattina attraversano la città da una parte all'altra per recarsi agli incontri con le biciclette che poi resteranno a Sarajevo.

"Ebbene sì è colpa nostra se il mercato delle bici a Sarajevo è inflazionato - scherza Lorenzo Vigotti - perché ogni anno ne arrivano dall'Italia almeno 150!". "La bicicletta è un mezzo per spostarsi abbastanza veloce - spiega - che però non allontana dalle persone. Se fossimo con i pulmini forse saremmo più veloci ma non si sentiremmo gli odori, i suoni della città. Le biciclette invece sono un modo per farsi vedere e per creare un legame tra i diversi sotto-campi e quindi le diverse zone. Una linea di biciclette azzurre che ad esempio lega la Republika Srpska con la Federazione croato-musulmana".


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