Si tiene oggi a Roma il convegno "Kosovo, regione d'Europa. Il ruolo dei partenariati territoriali nella composizione dei conflitti". Pubblichiamo il testo dell'intervento di Francesca Vanoni, coordinatrice del progetto BalcaniCooperazione
Questo intervento propone una lettura di alcuni passaggi significativi che hanno caratterizzato le trasformazioni della cooperazione non governativa e decentrata italiana in Kosovo nel corso degli ultimi 15 anni. Ciò che è avvenuto in questi anni viene qui letto attraverso la lente delle relazioni territoriali (o partenariati) che alcuni attori hanno costruito ed alimentato nel tempo con i territori kosovari.
Tale approccio tenta di sottolineare l'interdipendenza tra la cooperazione allo sviluppo realizzata a più livelli (locale, centrale, istituzionale e non) da soggetti generalmente organizzati in rete e il problema della composizione dei conflitti.
Nel corso dei primi anni '90 in Kosovo si è assistito alla mobilitazione di una piccola minoranza attiva di soggetti italiani che ha suscitato grande attenzione internazionale avviando importanti esperimenti di diplomazia parallela (il caso della Comunità di sant'Egidio) o diplomazia popolare (il caso ad esempio dell'Operazione Colomba promossa dall'Associazione Papa Giovanni XXIII, e quello dei Berretti Bianchi). Queste esperienze hanno tentato di prevenire l'escalation del conflitto tenendo aperti i canali di dialogo tra le élite politiche e le società civili delle due parti in causa.
I risultati di tali iniziative si sono contrapporti visibilmente in quel periodo agli insuccessi delle diplomazie ufficiali nell'intera regione.
Gli anni '90 vengono infatti definiti "la decade persa" per la UE ed il resto della comunità internazionale nei Balcani. In quegli anni Bruxelles non riesce a sviluppare una politica unitaria divenendo di conseguenza marginale rispetto ad altri attori come USA e NATO. Anche il negoziato di Rambouillet del febbraio 1999 (che avrebbe dovuto rappresentare la Dayton europea) è un nuovo fallimento.
A seguito di questi insuccessi, tra il 1999 e il 2000 l'Unione Europea elabora una strategia comune verso i Balcani con cui si ribalta il paradigma precedente definito "dell'intervento dall'esterno". Le nuove politiche dell'Europa si fondano finalmente sull'interdipendenza con quell'area. Nasce così il paradigma integrazionista che sostituisce quello interventista e che viene dichiarato ufficialmente nel giugno 2000 al Consiglio europeo di Feira: l'obiettivo sancito prevede che tutti i paesi balcanici abbiano una prospettiva di adesione all'UE. Successivamente, al Vertice di Salonicco nel 2003 la formulazione è ancora più esplicita: "Il futuro dei Balcani è nella UE".
Il 1999, oltre a rappresentare l'anno di svolta nella politica europea verso l'intera area balcanica, segna anche la data di inizio del graduale cambiamento nel panorama della cooperazione con il Kosovo, in termini di mobilitazione della società civile italiana: la considerevole disponibilità finanziaria (sia UE, sia italiana in particolare con la Missione Arcobaleno) e la carica emotiva suscitata dagli effetti dei bombardamenti NATO su Serbia, Montenegro e Kosovo attivano la solidarietà - come era già accaduto in Bosnia - di numerosi soggetti, eterogenei fra loro in termini di dimensioni, natura, modalità di cooperazione.
Nel giro di circa 3 anni questa massiccia mobilitazione di associazioni e ONG internazionali in Kosovo si riduce significativamente. Secondo alcuni analisti il ridimensionamento di questa presenza, definita insostenibile, si spiega con il suo stretto legame con la cosiddetta guerra umanitaria.
Ciononostante, in alcuni casi, la fase dell'emergenza ed il periodo immediatamente successivo lasciano dietro di sé un patrimonio di relazioni, rapporti, collaborazioni ed esperienze che gli Enti Locali italiani raccolgono ed alimentano negli anni. In Kosovo, sebbene in misura molto inferiore rispetto ad altre aree del sud-est Europa, questo patrimonio si trasforma in vere e proprie relazioni di partenariato con omologhe istituzioni kosovare, fondate sulla programmazione pluriennale e su interventi multisettoriali. Questi attori lavorano in forma di rete, ovvero un insieme unico che opera come un soggetto allargato, multiforme con competenze ed approcci complementari.
Se a sostegno degli enti locali italiani nella cooperazione con i Balcani viene approvata la legge 84/2001, nello stesso periodo, anche l'Unione Europea ed altri donatori internazionali contribuiscono a sostenere gli enti locali europei finanziando programmi che promuovono l'attivismo delle autorità locali nelle loro iniziative di cooperazione internazionale decentrata.
Tuttavia, nel caso kosovaro, come emerge da una ricognizione del database Re.Te. del progetto BalcaniCooperazione, queste spinte alla costituzione di partenariati e relazioni territoriali producono risultati più modesti se paragonati ad altre zone dei Balcani, prime fra tutte Bosnia e Albania; nel caso kosovaro le relazioni sono meno numerose, più deboli e fotografano un impegno minore (o forse più difficile) degli enti locali italiani, e faticano ad affrancarsi dalla dimensione emergenziale.
Si possono ipotizzare alcune cause di questa situazione nella debolezza delle istituzioni locali, nella breve storia di relazioni territoriali con il Kosovo (in Bosnia, per fare solo un esempio esistono gemellaggi che risalgono agli anni '70); infine sono particolarmente deboli le interazioni economiche.
Riteniamo che le relazioni territoriali come definite prima possano aprire spazi fondamentali per il processo di integrazione nell'UE e per il percorso di composizione del conflitto, in quanto intrecciando relazioni si offrono possibilità alle società balcaniche di uscire dall'isolamento e grazie a tali relazioni le classi politiche locali, così come la società civile, finiscono di norma per essere responsabilizzate, sentono la pressione del condizionamento esterno, vengono stimolate dal confronto con esperienze diverse con l'effetto generale di conformarsi alle regole della partecipazione e della democrazia.
E' prendendo avvio da queste riflessioni che, durante "Kosovo regione d'Europa" abbiamo voluto organizzare una tavola rotonda con i soggetti italiani che hanno sviluppato in questi anni alcune delle esperienze più significative di relazioni territoriali con il Kosovo. A loro chiediamo un contributo di riflessione che nasca dalla loro esperienza diretta su come le relazioni territoriali contribuiscano alla composizione del conflitto.
Vorremmo perciò ragionare su una traccia di domande che rivolgiamo ai partecipanti della tavola rotonda. In particolare, ci auguriamo di poter approfondire che impatto hanno, che ostacoli incontrano nella loro esperienza di relazioni territoriali nella loro capacità di aumentare la governance locale, di influire sui processi politici locali, sulla possibilità di attenuare la rilevanza delle posizioni più estreme nel panorama politico, sull'attivare/animare la società civile locale. E ancora, sulla capacità di stimolare il progressivo affrancamento delle autorità locali dall'influsso esterno, aumentando la loro capacità di impostare la propria agenda politica.
Dall'altro lato, vorremmo approfondire gli effetti di questa modalità di cooperazione rispetto all'impatto sulla società di partenza (ossia in Italia). E quindi sull'effettiva capacità di diffondere ad esempio conoscenza rispetto alla ricchezza del patrimonio culturale, ambientale e storico del sud-est Europa, così come della ricca produzione artistica. Tutto ciò è necessario affinché si riesca a creare interesse e sensibilizzazione nell'opinione pubblica italiana rispetto a queste aree, superando l'ignoranza che crea pregiudizio.
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