Il microcredito in Kosovo. Un fenomeno in continua espansione. Lo scorso aprile a Pristina due giornate dedicate a fare il punto della situazione. Un articolo a cura del nostro corrispondente Francesco Martino
Poche pratiche economiche nel campo dello sviluppo, negli ultimi anni, hanno attirato più attenzione del microcredito, il prestito cioè di piccole somme di denaro basato non sul principio di solvibilità, ma su quello della fiducia. Basti pensare all' "Anno Internazionale del Microcredito", lanciato dalle Nazioni Unite nel 2005 e al premio Nobel per la Pace ricevuto, un anno più tardi, dall'economista del Bangladesh Muhanmad Yunus, fondatore della Graamen Bank e uno dei massimi torici di questa forma di sostegno alle popolazioni tagliate fuori dai tradizionali canali del finanziamento. Naturalmente, nel dibattito sul microcredito non mancano voci critiche, soprattutto di chi sostiene che- affidare ai soli prestiti le speranze di riscatto economico potrebbe portare ad una sostanziale "privatizzazione" delle politiche sociali, giustificando un sempre minor impegno delle istituzioni pubbliche.
In Kosovo, istituzioni di microcredito hanno iniziato ad operare già dai primi mesi successivi alla fine del conflitto, nel 1999, all'inizio principalmente nell'ottica di supporto alla ricostruzione, per poi passare col tempo ad una prospettiva di sviluppo di un nuovo tessuto economico. Oggi in Kosovo operano 14 organizzazioni di microfinanza riconosciute, di cui 9 riunite nell'AMIK (Association of Microfinance Istitutions of Kosovo), che conta al momento un portfolio di 43 milioni di euro e più di 33mila clienti, una realtà significativa ed in crescita. Infatti, se nel 2002 il microcredito rappresentava il 15% del settore creditizio nella regione in termini di fondi erogati, nel 2005 era passato al 25%. Dato ancora più interessante, a questa data il 75% dei kosovari che hanno chiesto un prestito, lo hanno fatto attraverso istituzioni di microcredito.
Un momento di incontro e riflessione per chi lavora nel settore è stata la Finance Fair 2007, tenuta a Pristina l'11 e 12 aprile scorsi. Punto centrale, la discussione sulle numerose sfide che questo tipo di intervento deve oggi fronteggiare: da una parte riuscire a quantificare l'impatto avuto fino ad ora sull'economia, ma anche sullo sviluppo sociale in senso più ampio del Kosovo, dall'altra rispondere ad esigenze e richieste nuove da parte del tessuto socioeconomico, ritagliandosi uno spazio d'azione che, pur conservando gli obiettivi sociali, riesca ad essere finanziariamente sostenibile sul lungo periodo.
"La prima grande difficoltà da affrontare, nel 2000, è stata quella di restituire fiducia nel sistema creditizio". Ed Greenwood è il direttore di FINCA Kosovo (Foundation for International Community Assistance), che ha cominciato ad operare nella regione grazie ai fondi USAID. "Con le guerre balcaniche, molti hanno perso tutti i propri risparmi, depositati allora nelle banche jugoslave. L'altro problema veniva invece dalla distribuzione, da parti di un'ampia costellazione di operatori della cooperazione, di fondi gratuiti e a pioggia, soprattutto nei primi anni dopo il '99. Quando si può accedere a denaro "facile", è difficile far passare l'idea che i soldi prestati vanno restituiti".
La strategia scelta dalle istituzioni di microfinanza per costruire e consolidare il rapporto con i propri potenziali clienti è stata basata innanzitutto su una forte presenza sul territorio, ma anche su una modalità graduale di erogazione di prestiti basata su cicli, che viene utilizzata ancora oggi. Un esempio: chi chiede un prestito per l'agricoltura a Beselidhja/Zavet, organizzazione che opera in molte municipalità kosovare con clienti sia albanesi che serbi, potrà accedere inizialmente ad un massimo di 3mila euro da restituire in 24 mesi con un interesse dell'1,90%, ma già al secondo ciclo potrà richiedere fino a 5mila euro, da restituire in 36 mesi e coll'1, 80% di interessi, e col terzo ciclo potrà avere condizioni ancora più vantaggiose.
Altra strategia applicata è quella del prestito collettivo, utilizzato in zone rurali, ma anche per attività di commercio, in cui è il gruppo, e non il singolo, a chiedere il prestito e a fornire garanzie sulla restituzione.
"Nei primi anni di intervento, i prestiti venivano chiesti generalmente per riattivare la vita economica, che si era del tutto bloccata. Oggi, invece, molti chiedono soldi con lo scopo di apportare migliorie, seppur minime, al proprio standard di vita, come per l'acquisto di elettrodomestici o per la riparazione dell'automobile", ci racconta Amir Tusuni, >risk and marketing manager proprio di Beselidhja/Zavet.
La maggior parte dei prestiti vengono richiesti in aree rurali, ma se guardiamo l'entità dei prestiti stessi, si nota che quelli erogati in aree urbane sono molto più consistenti, tendenza che rispecchia il rapido spostarsi del baricentro sociale ed economico della società kosovara, soprattutto nella sua componente albanese, dalle campagne ai centri urbani.
Proprio nella dicotomia città-campagna sembra risiedere uno dei possibili sbocchi della microfinanza in Kosovo. In città, ormai, le banche tradizionali hanno cominciato a costituire un fattore di vera concorrenza al microcredito, e grandi gruppi come "Pro-credit" e "Raffaisen" hanno offerte di credito di piccola o piccolissima entità. Nelle campagne le cose sono diverse. "I nostri clienti si riuniscono in associazioni di villaggio, che fanno da mediatore, svolgono la funzione di sportello e eliminano costi e necessità di recarsi a lontani sportelli bancari", spiega Agron Spahju, internal auditor della KRK (Kreditimi Rural i Kosoves), specializzata nel microcredito in aree rurali. Un sistema che funziona particolarmente bene in una società ancora basata soprattutto su i rapporti personali, come succede in Kosovo. KRK, che oggi lavora con 37 associazioni di villaggio distribuite su 8 diverse municipalità, con un totale di 14.500 soci, non teme la concorrenza delle banche, e si lamenta di non poter rispondere a tutte le richieste di finanziamento che riceve dai propri clienti.
Oltre al mondo rurale, altre possibilità concrete alla microfinanza in Kosovo vengono dall'imprenditoria al femminile, mondo a cui questo settore ha guardato con grande interesse fin dalle sue origini. Le donne infatti si sono rivelate particolarmente affidabili, sia nella valorizzazione del denaro preso in prestito che nella sua restituzione. In Kosovo oggi, su circa 50mila attività economiche registrate, appena l'1% risulta però essere proprietà di una donna. Nella regione, a parte limitazioni di carattere culturale, il principale freno all'imprenditoria e al credito verso le donne è il fatto che queste non risultano quasi mai proprietarie di beni, mobili o immobili, e quindi non hanno accesso al credito tradizionale, in quanto non solvibili. Una risposta data dalle istituzioni di microcredito per aumentare la presenza femminile nell'economia è stata quella di incoraggiare i prestiti collettivi,e di offrire pacchetti indirizzati specificatamente alle donne. I risultati sembrano essere positivi: FINCA, ad esempio è passata dalle 418 clienti del 2004 alle 3164 del febbraio 2007.
Anche il framework legislativo in Kosovo si sta adeguando, seppur lentamente, alle nuove necessità del settore. La riforma più importante, però, non è stata ancora portata a termine, ed è quella che permetterà alle istituzioni di microfinanza di poter gestire depositi, oltre a erogare crediti. "Sono i nostri clienti a chiederlo", ci dice Blerta Qerimi, presidente dell'AMIK. "Rispetto a una realtà come quella della Bosnia, dove il microcredito funziona dal '95, siamo ancora indietro, ma in questi anni abbiamo accumulato molta esperienza. Se ci verrà data la possibilità di operare in un ambiente favorevole, sono convinta che il microcredito in Kosovo abbia grossi margini di crescita nei prossimi anni".
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