Il grado di partecipazione pubblica nel policy-making è uno degli indici fondamentali del funzionamento di un sistema democratico. In Romania un Centro di ricerca, il CERE, ha misurato l'inclusione dei cittadini nei processi decisionali
di Nicola Filizola
Le politiche mirate alla promozione della partecipazione pubblica nel processo decisionale politico sono relativamente recenti. In Europa Orientale, questo interesse si è sviluppato in contesti di crisi delle istituzioni pubbliche, laddove l'indebolimento dello Stato ha reso ancor più difficile affrontare il nuovo rapporto stato-cittadino emerso con la transizione post-comunista. E' per questo motivo che governi e organizzazioni della società civile, spesso sostenuti da agenzie internazionali o dall'Unione Europea, stanno promuovendo nuove forme di comunicazione con i cittadini in varie aree della vita sociale, politica ed economica.
In Romania, questo processo è stato analizzato dal CERE (Centrul de Resurse pentru partecipare publica), centro risorse per la partecipazione pubblica di Bucarest, che attraverso interviste e analisi dei dati, ha fornito un quadro generale della interazione tra società e istituzioni.
Lo studio, dal titolo "Partecipazione pubblica in Romania, realtà o fiaba?" è stato finanziato dall'agenzia governativa americana USAID e dal National Democratic Institute, NDI, ed ha avuto tre obiettivi primari: la descrizione e l'analisi della pratica della consultazione pubblica in Romania, anche attraverso lo studio della legislazione vigente in materia; l'analisi delle metodologie riguardanti la consultazione pubblica; e la formulazione di raccomandazioni al fine di migliorare la partecipazione in Romania.
Mihaela Lambru, coordinatrice di CERE ed autrice del rapporto, ha bene evidenziato le discrepanze tra la legislazione in vigore e la prassi. "A partire dagli inizi del 2000 - spiega nell'introduzione - il governo romeno ha cominciato a sviluppare interesse per la partecipazione/consultazione pubblica, e nel 2003 il Parlamento ha legiferato in materia approvando la Legge 52 sulla trasparenza delle decisioni della pubblica amministrazione." Una legge ottima, sulla carta, che non ha però facilitato la reale inclusione del cittadino nel processo decisionale pubblico.
La pratica della consultazione
La legge 52 del 2003 richiede all'amministrazione pubblica alcuni passaggi obbligati:
- rendere pubbliche tutte le bozze delle decisioni e gli atti legislativi conseguenti;
- analizzare tutte le raccomandazioni ricevute dai cittadini;
- organizzare audizioni pubbliche se richieste dalle ONG e dalle istituzioni pubbliche;
- rendere pubblici la agenda e i verbali dei consigli comunal.
Questo, in termini formali, è quanto le amministrazioni pubbliche devono garantire per ottemperare alle regole e ai principi di legge. In concreto, i dati che scaturiscono dall'indagine di CERE si discostano parecchio dagli obiettivi previsti dal legislatore.
La ricerca è stata condotta in tutte le 41 province del paese e i numeri ottenuti illustrano che molte amministrazioni locali e nazionali non seguono le linee guida della legge 52/2003; che molte istituzioni non rendono pubblico il loro rapporto sulla trasparenza (come previsto dal testo legislativo); e che, numerosi altri organismi, come l'Agenzia per le Strategie di Governo o l'Autorità Nazionale di Regolamentazione e Monitoraggio delle gare pubbliche d'appalto non hanno reso pubbliche le varie fasi decisionali nonostante la previsione di legge.
Nel 2005, sono stati adottati 178.025 atti legislativi dalla pubblica amministrazione. Di questi, 132.025 sono stati pubblicamente resi noti in fase di elaborazione, mentre 26.388 sono stati adottati senza la legale procedura richiesta ed il processo decisionale è rimasto chiuso al pubblico. Anche altri dati suggeriscono soltanto un parziale risultato nell'implementazione della legge. Le raccomandazioni avanzate alle istituzioni da parte di cittadini o organizzazioni della società civile sono state raccolte e integrate nei testi finali di atti o leggi, ma su 6.257 raccomandazioni inviate relativamente a disegni di legge a vari livelli, solo 4.310 sono state incluse nella discussione dei testi finali.
"Gli incontri pubblici promossi sono stati pochi rispetto alle aspettative -prosegue il rapporto- e il grado in cui i cittadini e il mondo dell'associazionismo ha influenzato le decisioni finali è molto basso. Dobbiamo sottolineare che soltanto 2 ONG su 3, tra tutte le organizzazioni consultate durante la ricerca, si dicono fiduciose sulla loro possibilità si influenzare il processo decisionale. La consultazione pubblica non è un singolo evento, ma un processo che deve essere gestito passo dopo passo. Allo stato attuale delle cose, soltanto una limitata attenzione è dedicata alla gestione del processo decisionale partecipato, e quel che rende questo processo farraginoso e debole è la scarsa conoscenza da parte di cittadini e ONG della legislazione connessa alla consultazione pubblica". Inoltre, come prevedibile, "nelle aree rurali la consultazione è praticamente inesistente".
Ci sono infine altri ostacoli che rendono l'intero corso di difficile attuazione. "La pubblica amministrazione romena amministra ma non sviluppa e per questo non ha chiaramente definito obiettivi e strategie; i dipendenti pubblici delle amministrazioni mancano di competenza e esperienza; non c'è cultura della partecipazione pubblica all'interno dell'opinione pubblica; vi è poi una congenita mancanza di trasparenza nelle istituzioni".
Il rapporto, dunque, non punta il dito contro la legislazione che, al contrario, è giudicata di livello avanzato, ma evidenzia il cattivo approccio dell'apparato amministrativo nella sua implementazione. Secondo il rapporto, la consultazione pubblica in Romania non si traduce in reale partecipazione al decision-making. "Il contributo dei cittadini non dovrebbe essere solo ridotto alla partecipazione ai dibattiti, ma anche utilizzato per la capacità di identificare questioni di rilevanza generale, di ricercare e presentare delle soluzioni, di monitorare attivamente le modalità di implementazione delle politiche pubbliche, di mobilitare l'opinione pubblica su questioni sensibili".
In conclusione, il processo consultivo, nonostante le procedure, in Romania rimane ancora largamente improvvisato, estemporaneo e poco strutturato. La partecipazione dei cittadini, prosegue il rapporto, si limita nel migliore dei casi al livello di informazione e mera consultazione e non ci sono ancora esempi di vera e propria partecipazione pubblica, se con partecipazione si intende una partnership tra cittadino e istituzioni.
Come migliorare il processo di partecipazione
Le conclusioni della ricerca del CERU indicano il bisogno di una maggiore e migliore consultazione pubblica, data da "una migliore gestione del processo organizzativo ed una partecipazione più attiva dei portatori di interesse".
Tra le raccomandazioni segnalate, una serie di azioni pratiche:
- modificare l'impalcatura legislativa, anche se essa non è stata segnalata come una causa della funzionalità farraginosa del sistema;
- sviluppare una letteratura di indirizzo e riferimento per i dipendenti pubblici (guide, manuali, prontuari) che organizzano il processo di consultazione. Un metodo, dice l'autore, utilizzato con successo in altri paesi;
-stabilire degli standard, degli indici che misurino la funzionalità o meno di un determinato processo di inclusione pubblica.
Per arrivare a ciò, tuttavia, è necessario una trasformazione della cultura amministrativa più che nella normativa, sottolinea la Lambru: la consultazione, è essenziale a tutti i livelli, dalla individuazione degli obiettivi, alla valutazione delle politiche. I funzionari pubblici, tanto quanto i livelli politici ed i semplici cittadini dovranno guardare alla partecipazione come un bisogno ed una opportunità, non come una imposizione. Ed evidentemente, affinché sia efficace, la partecipazione pubblica ha bisogno di politiche pubbliche che la sostengano.
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