Un volume di recente pubblicazione offre una panoramica sul fenomeno dei "rimpatri volontari assistiti". La maggior parte dei beneficiari dal 1991 ad oggi provengono da paesi del sud est Europa
Di Antonia Pezzani
Il volume "Le migrazioni di ritorno: il caso italiano," pubblicato ad aprile e redatto dall' "European migration network," in collaborazione con la Caritas-Migrantes, l'OIM e l'Anci e con il supporto del ministero dell'Interno, è una pubblicazione che si pone come obiettivo quello di raccogliere tutti i dati statistici che riguardano il fenomeno dei rientri volontari. Un argomento poco conosciuto perché solitamente si parla molto di più del rimpatrio forzato dei migranti illegali.
I programmi di ritorno assistito volontario hanno preso il via in Italia negli anni '90, in particolare a fronte di flussi migratori provenienti dall'Albania e da altre aree dei Balcani, Kosovo in primis, e sino ad ora hanno riguardato solo specifiche categorie di migranti.
Dal punto di vista dei riferimenti normativi il "ritorno assistito volontario" risale alla Legge 286/98 "Turco/Napolitano," in cui l'espressione viene utilizzata esclusivamente per le vittime del trafficking; con la Legge 189/2002 "Bossi/Fini" viene esteso anche ad altre categorie. "Finora il rimpatrio assistito è stato adottato per particolari categorie vulnerabili, come le vittime della tratta ed i minori non accompagnati," ha dichiarato il sottosegretario agli Interni Marcella Lucidi, in occasione della presentazione della pubblicazione "con il disegno di legge di riforma della legge Bossi-Fini intendiamo, invece, estenderlo anche agli irregolari, per i quali finora era prevista solo l'espulsione." Marcella Lucidi ha inoltre aggiunto che progetti di questo tipo hanno costi molti minori rispetto ad esempio alla spesa necessaria al pattugliamento delle coste.
Come strutturato attualmente il programma di rimpatrio volontario assistito è accessibile a due macro-categorie di migranti: le cosiddette "emergenze umanitarie" che includono chi richiede protezione umanitaria (un diritto d'asilo ridotto a un permesso di sei mesi), gli sfollati per emergenze umanitarie, i richiedenti asilo e i rifugiati; e le "vittime di tratta" e i "casi umanitari" che comprendono, tra gli altri, i migranti vulnerabili, i minori non accompagnati e i lavoratori in difficoltà. Il programma d'assistenza, gestito sul piano operativo dall'OIM e in alcuni casi anche da organizzazioni non governative e da enti locali (tra questi il Comune di Torino e il Comune di Modena ) è costituito da tre fasi: una propedeutica, di preparazione al rimpatrio (ad esempio nel caso di tratta si prevede la concessione di un permesso di soggiorno per protezione sociale della durata di sei mesi e la partecipazione a programmi di reinserimento), il viaggio, e un programma di reintegrazione nel paese di origine.
I programmi di rimpatrio assistito operano in sinergia con altri programmi rivolti ai migranti. Tra questi ad esempio il Piano Nazionale Asilo (PNA) partito a metà del 2001 (su iniziativa del ministero degli Interni in collaborazione con l'Anci e l'ACNUR) con lo scopo specifico di coordinare le attività di accoglienza e ritorno di tutti i richiedenti asilo, rifugiati o titolari di protezione temporanea. Il PNA è confluito poi nel Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR). Dal giugno 2001 alla fine del 2005 sono state 12.289 le persone accolte nel PNA/SPRAR.
Gli interventi di ritorno assistito dal 1991 ad oggi sono stati 7.223. Tra questi 2.995 albanesi (di cui 4 che avevano richiesto asilo, 19 vittime di tratta, 1 caso umanitario, i restanti emergenze), 1.017 kosovari (di cui 88 che avevano richiesto asilo, i restanti emergenze), 516 rumeni (314 richiedenti asilo, 213 vittime di tratta e 34 casi umanitari), 481 serbi-montenegrini (soprattutto emergenze), 395 provenienti dalla Bosnia Erzegovina (di nuovo soprattutto emergenze). Nigeria, Macedonia, Turchia, Federazione Russa, Moldavia gli altri paesi d'origine verso cui hanno fatto ritorno i restanti poco più di duemila beneficiari del programma. In questo contesto va sottolineato un dato drammatico: nel caso di "lavoratori in difficoltà" su un totale di 571 interventi in 385 casi si è trattato del rientro di salme.
La maggior parte dei migranti beneficiari di questi programmi di rimpatrio (il 72,2%) è legata ad emergenze umanitarie a seguito delle guerre degli anni '90 nei Balcani e alla forte emigrazione dall'Albania. Altra categoria percentualmente rilevante (6%) è quella delle vittime del trafficking. Sarebbero 50.000 secondo la Caritas le persone vittime di tratta per scopi sessuali tra il 2000 e il 2004 in Italia. Il primo programma specifico per donne e minori vittime di tratta risale al luglio del 1999, sotto la tutela del ministero degli Esteri, e ha riguardato 21 donne albanesi che sono state aiutate a rientrare in patria. Il progetto fu prorogato fino al 2001 (35 ritorni). A partire dal 2002, e sulla scorta di queste precedenti esperienze, è nato il progetto Azione di Sistema , sostenuto dal ministero dell'Interno e finanziato dalle Pari opportunità.
Secondo i redattori della pubblicazione, seppur il numero di 7000 casi di ritorni assistiti dal 1991 ad oggi possa sembrare esiguo è ciononostante significativo. Perché indica una strada da seguire. L'assistenza ai rimpatri andrebbe infatti a loro avviso estesa ad un numero sempre maggiore di categorie di immigrati, senza escludere quelli irregolari. Potrebbe oltremodo rappresentare un contributo alla soluzione del dramma delle migliaia di persone che muoiono nel tentativo di migrare illegalmente. Secondo Fortress Europe , una rassegna stampa on-line che fa memoria delle vittime della frontiera europea, dal 1988 ad oggi sono morte nel tentativo di entrare nei paesi dell'Unione 8.200 persone.
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