Dai combattimenti in Cecenia alle vie tortuose dell'emigrazione e della richiesta d'asilo. La storia di Idris, ragazzo inguscio. Una nostra traduzione
Di Tat'jana Gantimurova, da "Čečenskoe Obščestvo Segodnja", n. 3(4) 2006
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Elena Murdaca
"Nel maggio del 1995 pensavamo che la guerra fosse finita. Uscii dal gruppo armato. Il fucile lo sotterrai nell'orto di mia zia. E' anziana, senza figli maschi, solo donne. A nessuno sarebbe venuto in mente di cercare da lei armi o munizioni. Alla prima possibilità me ne andai in Inguscezia da dei parenti che si erano trasferiti lì all'inizio della guerra. Nessuno sapeva che avevo combattuto. I primi tempi non mettevo il naso fuori dal cortile, perché avevo paura: durante i combattimenti a Grozny, vicino allo stadio Dinamo, ci si era avvicinato un giornalista della TV francese e ci aveva ripreso tutti. Pensavo che le pellicole fossero nelle mani della specslužba servizi speciali e che i servizi segreti avessero schedato tutti quelli che avevano combattuto".
Hai ucciso?
Per la prima volta da quando abbiamo iniziato questa conversazione, lunga e difficile, alza gli occhi verso di me.
"Sparavo...sparavo per uccidere...o mi avrebbero ucciso..."
...Lo osservavo seduto sulla panchina vicino al monumento di Puškin. Non avrei mai riconosciuto in questo ragazzo alto e allampanato quell'adolescente riservato e parco di parole che veniva spesso nel nostro cortile, nel centro di Grozny, dove abitavano i suoi compagni di classe. Non l'avrei riconosciuto, se non fosse stato per quella cicatrice sulla mano sinistra. Anni fa i ragazzi organizzarono un falò. Dal fuoco qualcuno tirò fuori un pacchetto di cellophane semifuso. Ma non riuscì a trattenerlo e quella massa incandescente finì sulla mano di Idris. La cicatrice da ustione gli rimase per tutta la vita.
...Idris si preoccupava inutilmente. I servizi di sicurezza non lo cercarono. Invece, i suoi vecchi compagni d'armi trovarono il suo nuovo domicilio abbastanza in fretta.
"A quei tempi erano già iniziate le trattative, che procedevano debolmente. E mi avevano assicurato che presto tutto sarebbe tornato al punto di partenza. E in effetti, quello che si stava verificando in Cecenia, testimoniava chiaramente l'esistenza di qualche intrigo dietro le quinte. Per questo ho pensato che la cosa più ragionevole fosse andarsene, onde evitare guai. Andai nella regione di Lipetsk, da un parente che ha un mobilificio. Iniziai a lavorare da lui. Con gli organi di sicurezza non avevo problemi, sono inguscio. Forse sarei rimasto a lavorare lì fino ad oggi. Ma mia madre si ammalò. Le mie sorelle mi chiamavano quasi ogni giorno: torna, torna! E così, tornai!"
Idris rientrò in Inguscezia, ma lì non trovò alcun lavoro. Andava avanti a lavoretti saltuari. Un giorno, mentre lavorava in privato con un vicino a Karabulake, vide avvicinarsi verso casa sua una Niva: la guidava uno che a Grozny aveva combattuto insieme a lui.
"Iniziammo a parlare e mi disse che di lì a qualche giorno si sarebbe trasferito in Inghilterra. Avevo sentito di molti ceceni e anche ingusci che si trasferivano all'estero. Dicono che lì vivono: non c'è bisogno di altro. Pare che li trattino coi guanti, i nostri. Chiedo ad Adam come si può fare. Adam mi spiegò tutto, dandomi anche il numero di telefono di due persone che ti aiutano ad andare all'estero. Ma per questo servivano soldi. Adam se ne andò. Ma dopo un mese mi chiamò dall'Inghilterra. Con voce squillante mi racconta che vive alla periferia di Londra, in un quartiere chiamato East-end. Quelli che lo aiutano sono autentici musulmani: "Secondo me qui ci sono più musulmani che inglesi", mi dice ridendo. "Dai vieni! Per te sarà più facile, hai studiato in una scuola speciale, conosci bene l'inglese". Ho raccolto 1.000 dollari e sono partito per Mosca".
"Tu sei inguscio, all'estero non ti prendono. Devi essere ceceno", gli annunciò una ragazza dall'aria sveglia, con cui Idris si era incontrato su suggerimento di Adam. "Ti facciamo un visto Schengen. Andrai in Germania, poi stracci il passaporto, dici che sei ceceno e che i documenti te li hanno rubati. E lì ti spiegano come raggiungere l'Inghilterra. Ma per farti avere il visto ci servono 600 dollari". E, vista la reazione di Idris al sentire la cifra, aggiunse con condiscendenza: "Ti facciamo un prezzo di favore. Praticamente rinuncio al mio onorario. Adam ha insistito tanto per te. Di solito chiediamo 800-1000 dollari. E poi garantiamo che usciate".
Idris trascorse due settimane gironzolando per Mosca in attesa del visto. Poi, una sera, la ragazza lo richiamò: "Domani hai l'intervista al consolato tedesco. Conosci bene Grozny?". "Ci ho passato tutta la vita", borbottò Idris, con riluttanza. Due giorni dopo arrivò ad Amburgo in autobus. Si sistemò in un albergo dove a parte turchi, non c'è nessun altro. Chiamò Adam, che iniziò subito a consigliargli come proseguire. Ma l'insistenza con cui Adam lo voleva a tutti i costi in Inghilterra lo mise sull'avviso.
"Avevo già sentito dire che lì i musulmani stanno combinando qualcosa. Per questo avevo deciso di andare in Norvegia. Comprai un biglietto per la nave fino ad Oslo. Mentre andavamo in autobus fino al porto, ci fermò la polizia: controllo documenti. Il poliziotto mi chiese: "Vuole ricevere lo status di rifugiato politico?" "Sì". Venne l'interprete, una russa sposata ad un turco. "Ceceno?" Annuii. Mi diedero 40 euro e mi dissero di andare a Lubecca, in un campo rifugiati. Dopo ho scoperto che di campi così ce ne sono in molte città, dove meglio e dove peggio. A Lubecca incontrai un tedesco, si segnò il mio cognome inventato. E mi accompagnò a cercare un posto. Mi portò in una caserma. Gli dissi qualcosa, di mala voglia. Il tedesco si fermò e scandì chiaramente, prima in tedesco. Poi ripeté la stessa cosa in russo: "Voi tutti qui non siete graditi". A scuola come seconda lingua avevo studiato tedesco. Iniziai con lui una discussione: "Allora perché ci prendete?". E quello, per tutta risposta disse solo: politica".
"Mi fecero le foto e presero le impronte digitali. E dopo due giorni mi spedirono a Braunschweig, al campo centrale, una ex-caserma americana. Le camere sono da 3 persone. Ci davano da mangiare male, roba conservata. I medici ci sono, ma non danno nessun vero aiuto. E se tiri le cuoia non sei ancora freddo che già ti seppelliscono. Le cure mediche sono molto costose, e ai tedeschi non conviene curare tutti i rifugiati. Ci sostengono quel tanto che basta per non morire. In questi campi c'è di tutto: pakistani, afghani, ucraini, curdi, moltissimi turchi. Arrivano anche dalla Cecenia: uomini, donne, bambini".
Passa del tempo, Idris venne chiamato per l'intervista. Gli chiesero di contare fino a dieci in ceceno, qual'è filobus va dalla stazione al centro, qual è il fiume che scorre attraverso la città, perché ha deciso di venir via dalla Russia, se ci sono stati soprusi da parte delle autorità, se faceva parte di bande armate.
-E hai detto la verità?
"Beh, non proprio. Ho detto che avevo aiutato. Ma neanche loro hanno chiesto in che cosa era consistito il mio aiuto".
A prima vista, sembra che si possa mentire con estrema facilità. In realtà c'è sempre presente uno psicologo fra l'equipe che conduce l'intervista. Questo è necessario perché i ceceni di fiducia (in ogni campo ce ne sono) confermino quanto raccontato durante l'intervista.
"In media, su 100 persone solo 10-15 ricevono il permesso".
Cos'è il permesso?
"Il permesso è un documento valido per tre anni. Con questo permesso hai il diritto di trovare un lavoro, ma solamente dopo che nessun tedesco ha accettato di fare quel lavoro. E ancora, con questo documento puoi girare per la Germania. Gli altri devono fare a meno di questo lusso. Anche quando ti danno il permesso, però, ti avvertono: "Questo non è un lasciapassare per il paradiso, ricordatelo. Se ci saranno violazioni da parte tua, il permesso verrà annullato". E ci ripetono in continuazione che se la situazione in Cecenia migliora, hanno tutto il diritto di rispedirci a casa".
Però qualcuno riesce a sistemarsi!
"C'è chi si sistema, è vero. Quelli che sono venuti in Germania, o in qualunque paese in generale, con il portafogli pieno. Gli avvocati ti organizzano l'intervista in modo che tu riceva subito il permesso. Ma costa intorno ai 5.000 Euro. L'avvocato sgancia una parte di questa somma a qualcuno degli impiegati. Non penserete che la corruzione esista solo in Russia? Idris ride amareggiato. Il resto della massa dei rifugiati riceve un altro documento, che certifica il fatto che non hai il diritto di pretendere niente".
Se non si può lavorare, come vivere? O è tutto su fornitura dello Stato?
"Su fornitura dei tedeschi?! Danno un sussidio, non in denaro, ma in talloncini, in buoni. 600 buoni. Solo che non si possono spendere per acquistare vestiti decenti o prodotti normali. La merce di buona qualità si vende solo in euro. I turchi fanno incetta di buoni fra i rifugiati, il "cambio" è di tre buoni per un euro".
A cosa gli servono?
"I turchi gestiscono le tavole calde, e i buoni gli servono soprattutto per comprare il pollo da fare alla griglia. Ma negli ultimi tempi hanno iniziato a introdurre buoni intestati".
Nonostante il divieto, Idris provò a cercare lavoro. A suo tempo aveva terminato il MARKhI Movskovskij Architekturnij - Institut Istituto di Architettura di Mosca N.d.T., dove aveva studiato architettura di giardini e exterior design. Per farsi pubblicità, iniziò a lavorare gratuitamente in una casa, dividendo il prato in aiuole e installando una cascata. Consigliò persino il proprietario sull'acquisto dei fiori. Il proprietario usufruiva volentieri dei servizi del designer. Solo che invece di pagarlo gli offriva il pranzo e un boccale di birra.
A Halmstadt conobbe un turco, Osman, che aveva la cittadinanza tedesca. Osman aiutò Idris attivamente: gli trovò lavoro, gli propose di trasferirsi a casa sua.
"Me ne andai via dopo una settimana...No, non ha tendenze "strane". Osman è un accanito wahabita. Tutt'altro che santo. Farebbe fuori il proprio fratello, un uomo di mondo, lontano dalla religione, tanto più dal wahabismo".
A Idris i soldi servivano per l'avvocato. Ogni mese le pagava 250 Euro. L'avvocato difendeva gli interessi di Idris in tribunale. Dopo ogni udienza, durante la quale a Idris veniva negato il permesso, l'avvocato lo tranquillizzava: non ti preoccupare, la prossima volta sarà quella buona.
"Ci ho messo due anni a capire che tutti i suoi sforzi erano inutili. E che questo permesso non l'avrei mai avuto. Dopo l'ennesima udienza la presi da parte: "Per tutto questo tempo ti ho pagato circa 6.000 euro. Dimmi onestamente: il gioco vale la candela o è tutto inutile?". Dovevo avere un'espressione feroce, perché lei ha scosso la testa e ha detto: "E' tutto inutile, è inutile". Tirai fuori il passaporto e andai dall'amministrazione del nostro campo: "Vi ho mentito, non sono ceceno. Ecco il mio passaporto, rispeditemi a casa". Mi comprarono il biglietto aereo e tornai a Mosca. Insieme a me deportarono un ceceno. Lo trattavano severamente: era scortato dalla polizia. L'avevano riportato in aeroporto così come lo avevano fermato per strada: in pantaloncini, canottiera e scarpe da tennis senza calze".
E' rimasto a lungo in silenzio, giocherellando con i fiammiferi. Ho notato che non aveva fumato. Gli è rimasto qualcosa dell'educazione ricevuta da bambino: non fumare in presenza di gente più anziana.
"Sa che atteggiamento hanno verso di noi? Di freddo disprezzo. Non ci cacciano perché così hanno deciso i politici. Ma noi lì siamo gente di seconda categoria. E in effetti, perché dovrebbero amarci? Arriviamo, troviamo la pappa pronta, e pretendiamo anche di vivere bene. E in più vogliamo anche il lavoro. Tra l'altro, lì è pieno dei loro disoccupati. E obiettivamente è difficile definire i rifugiati cittadini rispettosi delle leggi: ruberie, furti di auto. Questo è quello che ho visto in questi anni".
E adesso dove andrai? A casa?
"No, dopo la Germania a casa ci sono rimasto due settimane. Lavoro non ce n'è. Ho chiamato un vecchio compagno di scuola che adesso lavora in Khazachstan. C'è un progetto interessante, due o tre anni di lavoro. Richiede la mia formazione. Ho già 33 anni, gli ultimi dieci praticamente li ho persi. Devo recuperare..."
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