Migliaia di russi hanno lasciato la Cecenia nel corso degli anni '90. Ora un parlamentare ne invoca il ritorno. L'autorevole commento di Nezavisimaja Gazeta
Di: Aleksej Malašenko* per Nezavisimaja Gazeta, 23 luglio 2007
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Irene Dioli
Evgenij Velihov, accademico e membro della Camera, ha indirizzato a Dmitrij Kozak, presidente del distretto meridionale della Federazione Russa, un messaggio in cui caldeggia misure per il ritorno in Cecenia dei cittadini russi che lasciarono l'area negli anni Novanta. Che, a proposito, sono oltre 200.000.
L'iniziativa è tanto buona quanto discutibile. Chi può credere, in tutta sincerità, che questa lettera segnerà l'inizio della contro-immigrazione? Primo, la popolazione non ha dimenticato le circostanze in cui ha abbandonato il paese; secondo, non è affatto certa di essere accolta a braccia aperte al ritorno "in patria"; terzo, non è dato sapere dove vivranno; quarto, difficile che la disoccupazione che affligge gli stessi ceceni risparmi i nuovi arrivati (o tornati); quinto, chi può garantire loro che il passato non possa tornare...
Sarebbe interessante a questo proposito intraprendere fra i russi fuggiti dalla Cecenia un sondaggio sul tema «Vorreste tornare indietro?».
Inoltre, la Cecenia in cui hanno vissuto a quel tempo non esiste più, in senso letterale e figurato. A suo tempo, ancora negli anni della guerra, il giornale «L'operaio di Groznij» teneva la rubrica «Che città era», con le fotografie della capitale cecena dell'anteguerra. Non esiste più né quella città, né quella società multi-etnica che si era formata, pur non senza fatica. Un'altra Groznij. Un'altra Cecenia, sopravvissuta a due guerre in cui le parti contendenti erano innanzitutto russi. Ricordiamo il tempestoso processo di "Rinascimento Islamico", in cui la parte più attiva è giocata dagli attuali vertici ceceni, in testa il presidente Ramzan Kadyrov. La Cecenia islamica non è la regione autonoma sovietica dal nome Cecenia- Inguscezia.
Non è necessario giustificare, né giustificarsi. Bisogna semplicemente constatare la crudele realtà, e fare tutto quanto nelle nostre forze perché essa, gradualmente, diventi storia. Quanto sia possibile "storicizzare" il conflitto ceceno, ognuno giudichi da sé. Tanto più che la tragedia degli ultimi quindici anni ha riportato ai ceceni parecchi brutti ricordi, in primo luogo la deportazione del 1944.
L'esodo della popolazione russa non è che un frammento di un processo più ampio della migrazione dalle repubbliche del Caucaso settentrionale, dove la popolazione russa si è ridotta da 1,36 milioni di persone nel 1989 a circa 950.000 nel 2002, ed oggi anche a meno. Quanto sia arduo richiamare indietro i russi strappati alle loro radici, per così dire, lo testimonia l'esperienza dell'Inguscezia. Si ritiene che per ora il compito più importante non sia far tornare i russi, ma per lo meno rallentarne l'esodo.
Da questo punto di vista la lettera di Velihov, che non mi sembra esclusivamente frutto delle sue personali riflessioni, ha un preciso significato e persino un'utilità, per quanto minuscola. Innanzitutto, si tratta, a suo modo, di una dichiarazione d'intenti. Sarà pure espressione della sola Camera, ma in fondo per volontà di chi esiste quella stessa Camera? E quali esigenze è chiamata a servire? Per questo, possiamo considerare questa lettera un segno che lo Stato ha a cuore la condizione dei russi nel Caucaso.
E questo conferma che il Caucaso settentrionale è parte della Russia; conferma che, per quanto i politici locali si affannino a proclamarne la specificità etnica e confessionale, esso è un segmento di quella società russa multi-nazionale e multi-culturale di cui, tra l'altro, il russo è lingua ufficiale. Finalmente, un avvertimento a quegli amministratori locali che avevano deciso di depennare i russi del luogo dalla propria agenda.
Ci si dovrebbe porre, e non meno seriamente, un'ultima domanda. Per formularla, proverò a parafrasare il titolo dell'articolo. E quindi: la Cecenia ha bisogno dei russi? La risposta è sì. Ad esempio, nella sfera dell'istruzione. Anche se le maestre elementari del luogo lo parlano, e niente affatto male. Io ho parlato con loro: se la lingua russa sopravvive nelle scuole locali, è grazie agli sforzi degli stessi ceceni. Ma le loro forze non bastano, e qui appare indispensabile l'aiuto dei quadri russi.
Non si potrà fare a meno dei russi, o meglio dei quadri professionali delle altre regioni, nemmeno quando comincerà la ricostruzione dell'economia. Anche qui, la Cecenia non potrà farcela con le proprie sole forze. Ed allora le persone andranno convinte a tornare, e certo anche pagate bene. Senza bisogno di missive d'appello.
*Docente e membro del consiglio scientifico del Centro Carnegie di Mosca
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