(northern star/flickr)

La ripresa dei negoziati con l'UE, i rapporti fra Macedonia e istituzioni internazionali, la cooperazione regionale. Intervista a Jana Lazanovska, Responsabile progetti presso l'Istituto Eurobalkan di Skopje

24/11/2009 -  Risto Karajkov

La Commissione Europea ha appena invitato i soggetti interessati a riaprire i negoziati di accesso alla UE della Macedonia. Cosa pensa che accadrà in occasione del Consiglio dei Ministri di dicembre?

Potrebbero verificarsi due diversi scenari: potrebbe essere fissata una data precisa per dare il via ai negoziati di accesso all'Unione Europea o meno. Purtroppo, temo che la seconda ipotesi sia la più probabile, a causa della disputa sul nome in atto con la Grecia. Nonostante la denominazione del paese non rientri infatti tra i criteri formali di accesso all'Unione Europea, l'ultimo rapporto della Commissione circa lo stato di avanzamento del processo d'integrazione definiva la risoluzione della controversia "imprescindibile" per la continuazione dei negoziati. Formulando il problema in questi termini si tenta di celare in realtà la presenza di una serie di ostacoli di natura tecnica che impediscono l'accesso della Macedonia alla UE, non ultimo l'incapacità dell'Unione di scendere a compromessi in tal senso. Se il risultato del Consiglio dovesse essere questo si verrebbe a creare una situazione piuttosto singolare, in cui la UE in quanto istituzione si troverebbe ufficialmente e formalmente coinvolta nella disputa sul nome. In seguito, risulterebbe decisamente difficile per l'Unione prendere le distanze da una questione aperta tra uno stato membro e uno stato candidato. Se realmente esiste la volontà di fissare una data di inizio delle procedure di accesso, i due paesi hanno tempo fino a dicembre per trovare un compromesso su due punti focali della questione: il nome in sé e l'uso che ne verrà fatto. Le parti coinvolte hanno opinioni totalmente divergenti su entrambi i temi: la speranza che venga raggiunto un compromesso è minima, se non addirittura nulla. Occorre aggiungere che dispute di questo genere difficilmente possono essere risolte sotto pressione; ciò è vero in modo particolare per la Macedonia, che è maggiormente interessata a risolvere la controversia e più direttamente coinvolta a diversi livelli, mentre la Grecia non ha nulla da perdere.

L'Istituto Eurobalkan ha recentemente pubblicato un opuscolo dedicato alla disputa sul nome tra Macedonia e Grecia. Quali sono i punti salienti della vostra analisi?

Il nostro opuscolo rappresenta un tentativo di controbattere in maniera analitica la tesi sostenuta dai greci, i quali affermano che il nome ufficiale del nostro stato, vale a dire "Repubblica di Macedonia" implicherebbe pretese territoriali da parte nostra nei confronti dello stato greco. Attraverso un'accurata analisi del diritto internazionale abbiamo provato a dimostrare che il nome di uno stato in sé non implica in alcun modo pretese territoriali nei confronti di un altro paese, ma, al contrario, la scelta del nome rappresenta parte integrante e inalienabile dei diritti di sovranità esercitati da un libero stato. In tal senso, pensiamo di trovarci di fronte a una palese violazione del diritto internazionale, in particolare del principio di sovranità e uguaglianza. Sia il Consiglio di Sicurezza dell'ONU che la Grecia hanno infatti violato tali principi di base del diritto internazionale: il primo imponendo criteri aggiuntivi per l'accesso e la seconda sfruttando la comunità internazionale per interferire negli affari interni della Repubblica di Macedonia.
All'interno del nostro opuscolo abbiamo inoltre analizzato alcune dichiarazioni rilasciate nel corso dei negoziati, che rivelano le vere intenzioni della Grecia nel sollevare la controversia sul nome. La Grecia infatti, appellandosi alla storia e al cosiddetto "diritto di esclusività storica", vuole in realtà separare (in senso non solo metaforico) il territorio dell'antica Macedonia, un'entità politica esistente in un passato ormai remoto, dalla Repubblica di Macedonia, una realtà politica attuale, basata sui principi democratici vigenti, con confini territoriali precisi e che dispone di un sistema politico chiaramente delineato.

Quanto è realmente importante la NATO per la Macedonia? Non sembra che l'accesso alla NATO modificherebbe in maniera sostanziale la vita quotidiana della popolazione...

La politica estera macedone sin dal riconoscimento dell'indipendenza si basa sull'assunto che la piena integrazione nella UE e nella NATO costituisca una priorità assoluta per il paese. Tuttavia, non è mai stata messa in atto una seria e pragmatica valutazione delle conseguenze pratiche di tale processo d'integrazione: i negoziati d'accesso sono stati intrapresi sulla scia di quanto realizzato da altri stati, senza realmente considerare il contesto interno. Potrebbe valere la pena analizzare gli scopi reali di un'istituzione come la NATO, creata al fine di garantire la sicurezza della popolazione all'interno degli stati membri. L'opinione pubblica macedone considera l'accesso alla NATO un requisito fondamentale per garantire la coabitazione pacifica e la riconciliazione tra le diverse etnie coesistenti nel paese. In realtà, il fine ultimo della NATO è ben diverso, essendo la NATO orientata principalmente alla difesa della popolazione da aggressioni esterne, in particolare da parte di stati terzi che non rientrano nell'Alleanza Atlantica. La politica estera macedone farebbe dunque bene a riconsiderare i propri obiettivi strategici e a rielaborarli in modo che rispecchino maggiormente la realtà dei fatti, senza considerare l'accesso alla NATO una panacea per l'instabilità interna. Insistere nel considerare l'accesso alla NATO una priorità assoluta non è che un modo per allontanare il timore di non essere in grado di creare una società stabile, basata su un modello di sviluppo sostenibile.
Gli eventi verificatisi sulla scena internazionale nel corso degli ultimi 10 anni (in particolare l'intervento umanitario illegittimo messo in atto in Kosovo e altri interventi unilaterali da parte di alcuni stati membri) dimostrano che esiste un profondo divario tra i fini dichiarati e l'effettivo operato della NATO; questa discrepanza e alcune iniziative intraprese dalla NATO in palese violazione del diritto internazionale dovrebbero indurre la Macedonia e riesaminare le proprie priorità strategiche in fatto di politica estera.

Eurobalkan ha partecipato a molti progetti regionali. Quali sono attualmente i vostri impegni in proposito e quanto è importante per voi questo tipo di cooperazione a livello regionale?

Attualmente Eurobalkan è uno dei soci del consorzio internazionale CEEPSUS (Borders and Borderlines in Cultural Anthropology in University Education), una rete che raccoglie diverse università e istituzioni scientifiche dell'Europa centrale e orientale. Inoltre, l'Istituto sta partecipando a un progetto di ricerca (2008-2011) denominato GEMIC (Gender, Migration and Intercultural Interactions in the Mediterranean and South East Europe), creato nell'ambito del 7° programma Quadro (FP7) della Commissione Europea. Inoltre, Eurobalkan collabora con numerose università e istituti attivi sia a livello nazionale che regionale attraverso un progetto nazionale di ricerca denominato "Knowledge, Power and Social Change", il quale a sua volta fa parte di un programma regionale di ricerca a più ampio spettro promosso dall'Università di Friburgo. Tali collaborazioni tra istituzioni accademiche sono particolarmente stimolanti, poiché contribuiscono a migliorare l'accesso alla conoscenza, oltre a favorire i contatti tra istituzioni accademiche a livello interregionale e internazionale. Le collaborazioni di questo tipo infatti inducono le istituzioni accademiche che vi prendono parte a fare ricerca scientifica di qualità, in linea con gli standard europei, nonché a promuovere in maniera efficace l'importanza della ricerca nel campo delle scienze sociali e delle discipline umanistiche in generale. Tali programmi costituiscono un'opportunità di incontro e scambio per i ricercatori locali e non, e rappresentano un'ottima base per l'integrazione e la cooperazione regionale tra istituzioni accademiche. Infine, attraverso questi programmi, i ricercatori hanno la possibilità di inquadrare la propria attività, condotta a livello locale o nazionale, all'interno di un contesto ben più ampio.

Attualmente, Eurobalkan rappresenta uno dei think-tank più noti in Macedonia. Fino a che punto i think-tank possono influire sulla politica di uno stato? Il governo prende in considerazione le vostre analisi e le vostre proposte? In che termini descrivereste la vostra esperienza di collaborazione con governi centrali e amministrazioni locali? Pensate che istituti come Eurobalkan possano esercitare una certa influenza sull'opinione pubblica di un paese come la Macedonia?

L'Istituto Eurobalkan è di per sé un'ente di ricerca e formazione, e solo parzialmente può considerarsi un vero e proprio think-tank. L'Istituto ha tra i suoi obiettivi principali integrare le attività di ricerca scientifica svolte con il proprio programma di ricerca più prettamente politico, effettuando accurate analisi e valutazioni qualitative dei progetti intrapresi nell'ambito dell'istruzione e della formazione professionale. L'Istituto lancia inoltre regolarmente progetti-pilota finalizzati a mettere in atto politiche sociali basate sulla realtà dei fatti e a creare un'opinione pubblica libera e ben informata in Macedonia e, di conseguenza, fornisce il proprio sostegno a diverse iniziative di riforma destinate a diversi settori della società macedone. Per questo motivo l'Istituto viene percepito come una delle realtà più efficienti nell'ideare e applicare politiche di stampo sociale nel nostro paese. Tuttavia, l'"influenza" esercitata da Eurobalkan in termini di politiche sociali in Macedonia è minima se confrontata con Istituti analoghi operanti in altri paesi, soprattutto nell'Unione Europea e negli Stati Uniti, dove l'amministrazione pubblica fa realmente affidamento sull'esperienza e sui consigli dei think-tank per ideare politiche e strategie nazionali. Eurobalkan possiede requisiti di integrità e professionalità sia a livello teorico che pratico, ma il contesto generale presente nel paese in un certo modo impedisce all'Istituto di essere maggiormente coinvolto nell'ideazione di politiche sociali e nel creare un'opinione pubblica consapevole in Macedonia. La società macedone è infatti fortemente connotata politicamente e ciò impedisce a un'istituzione indipendente e obbiettiva come Eurobalkan di partecipare all'ideazione di politiche nazionali insieme a rappresentanti dell'establishment politico passato, presente o futuro.

Recentemente la vostra attenzione sembra rivolta più ad iniziative di tipo educativo piuttosto che alle vostre consuete attività di ricerca e politica...

L'Istituto Umanistico e di Ricerca Sociale Eurobalkan già dal 2007 rappresenta un'istituzione indipendente di comprovata serietà, operante nell'ambito dell'alta formazione e della ricerca scientifica, il cui fine è promuovere l'eccellenza accademica nei campi della ricerca e dell'istruzione post-universitaria, e in particolar modo nei settori delle scienze sociali e umanistiche, mediante un approccio interdisciplinare integrato unico nel suo genere.
Attualmente il nostro Istituto sta portando avanti tre programmi di formazione post-universitaria: programma post-universitario in Filosofia e Studi di Genere, Sociologia e Studi di Genere e, infine, il nostro programma più recente, Scienze Politiche dell'Europa Sudorientale.
Tutte le attività di ricerca e formazione promosse dall'Istituto Eurobalkan sono improntate alla promozione della democrazia e alla creazione di una società aperta, libera e progressista, in cui sia possibile forgiare una vera identità europea per la Macedonia e promuovere una cultura profondamente rispettosa delle differenze. Eurobalkan promuove inoltre l'integrazione regionale ed europea e si batte perché il progresso economico della Repubblica di Macedonia venga basato su un modello di sviluppo equo e sostenibile.


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