Carenze strutturali, scarsa capacità finanziaria e politiche molto frammentate rappresentano le sfide per il settore agricolo e lo sviluppo rurale dei Balcani occidentali sulla strada dell'integrazione europea

13/01/2009 -  Anonymous User

di Matteo Vittuari

La politica agricola comune (PAC) "ha fatto l'Europa", risultando in termini di bilancio ed impatto economico-sociale una delle politiche europee più importanti, e negli ultimi anni ha rappresentato un importante caposaldo nel processo di integrazione. Anche il quinto ed il sesto allargamento dell'UE, nel 2004 e nel 2007, hanno infatti trovato nei negoziati legati all'agricoltura e alla sicurezza alimentare alcuni degli elementi più importanti - e più difficili - per il raggiungimento dell'acquis communautaire . E i Balcani? Troveranno nel settore primario un ponte naturale verso un'Europa sempre più allargata o soltanto il peso di un retaggio del passato?

Storia, vicende politiche e negoziati in corso dicono che il processo di integrazione europea dei Balcani occidentali dovrà passare prima di tutto per altre strade, ma è anche vero che il territorio costituisce una risorsa fondamentale per la regione e che quindi politica agricola e sviluppo rurale rappresentano sfide importanti e decisive.

Uno sguardo d'insieme
Sebbene tracciare un quadro complessivo sia estremamente difficile vista la diversità che caratterizza la regione, è comunque possibile individuare alcuni tratti comuni ed alcune problematiche non ancora risolte nel corso delle molteplici transizioni affrontate dai paesi dell'area. L'analisi di alcune delle principali criticità consente infatti una (seppur sommaria) ricostruzione delle prospettive di sviluppo di un settore determinante in una regione prevalentemente rurale e con un numero di attivi agricoli ben al di sopra della media europea.

Il settore agricolo dei 7 paesi soffre ancora di importanti carenze strutturali che impediscono di ottenere buone performance economiche e agricole. Gran parte delle imprese sono di piccolissime dimensioni e a conduzione familiare, più dedite ad un'agricoltura di sussistenza piuttosto che aperte al mercato. Risulta quindi ancora evidente come le economie agricole di questi paesi siano legate ad una struttura di tipo duale dove sono presenti sia aziende di piccole e piccolissime dimensioni, sia aziende di dimensioni medio-grandi che operano a tutti gli effetti sul mercato. Ciò non incentiva gli investimenti e l'innovazione tecnologica contribuendo ad una scarsa integrazione con tutta la filiera agroalimentare ed alla creazione di una barriera alla modernizzazione ed all'ingresso di capitali nel settore. Inoltre, trattandosi prevalentemente di economie di sussistenza o semi-sussistenza, che si trovano a dover soddisfare il proprio fabbisogno, gli agricoltori non specializzano le proprie produzioni, e si orientano alla coltivazione di beni di base (grano, orzo, e foraggi dall'alto valore aggiunto solo se coltivati su vasta scala).

Se a tutto ciò si aggiunge l'assenza di associazioni di agricoltori che possano fungere da supporto tecnico e da catalizzatore delle esigenze degli stessi imprenditori agricoli, e lo scarso coinvolgimento degli agricoltori nei processi di privatizzazione delle industrie agroalimentari, è facile capire il perché dell'"arretratezza" del settore primario in questi paesi, e le ragioni che stanno alla base dei bassi redditi delle imprese agricole.

Le prospettive di medio e lungo termine di tutti i paesi dell'area sono il rafforzamento dell'integrazione economica (e politica) con l'UE ed il finale ingresso nell'Unione. In termini di politica agraria queste aspettative si riflettono in un sempre più radicato allineamento degli strumenti nazionali con quelli proposti nell'ambito della PAC. Anche in questo caso, tuttavia, le differenze da paese a paese sono piuttosto evidenti con agli estremi la Croazia, che già utilizza meccanismi e misure "stile PAC", e l'Albania, con una politica estremamente liberale. Gli altri paesi restano su posizioni intermedie e continuano ad essere caratterizzati da politiche molto frammentate.

La diversità si ripropone anche in termini di budget: mentre Croazia e Serbia riescono ad allocare quasi l'1,5% del Prodotto interno lordo al settore agricolo, la situazione è diversa negli altri paesi, dove complessivamente i progetti finanziati dalle organizzazioni internazionali superano l'aiuto dei governi locali.

Capacità finanziaria a parte, un altro punto di debolezza è la mancanza di dati attendibili. A livello paese la situazione più critica riguarda, per motivi diversi, Bosnia Erzegovina (dove l'ultimo censimento agricolo - non completato - risale al 1992), Kosovo, Montenegro e Serbia. Complessivamente le criticità comuni a tutti i paesi dell'area riguardano la mancanza di dati relativi alle piccole aziende familiari (tanto nella ex Yugoslavia quanto in Albania l'attenzione delle statistiche ufficiali era rivolta quasi esclusivamente a cooperative ed aziende di stato); alla non continuità dei dati; all'utilizzo di diverse definizioni e metodologie statistiche. In quest'ambito l'esperienza dei paesi entrati nell'Unione Europea nel 2004 e nel 2007, nonostante un percorso ed una storia profondamente diverse, potrebbe e dovrebbe costituire un elemento importante nel processo di aggiornamento ed armonizzazione. Resta che, in mancanza di statistiche rappresentative ed attendibili, formulare politiche di lungo termine diventa compito particolarmente complicato.

Quale sviluppo rurale?
Finanziamenti, statistiche e politiche faticano a raggiungere, e quindi includere, le aree rurali, che spesso sono lasciate ai margini. Lo sviluppo rurale inoltre è ancora legato in modo quasi esclusivo all'agricoltura e quindi a politiche settoriali, mentre a livello europeo è iniziata da tempo una transizione verso un approccio più integrato e trasversale. In sostanza una politica di sviluppo rurale che vede l'agricoltura come parte di un sistema più complesso caratterizzato da molteplici elementi come piccola imprenditorialità, distretti industriali, infrastrutture, turismo, servizi.

In un contesto caratterizzato da significativi limiti strutturali non mancano tuttavia le note positive. La Croazia presenta un settore agricolo complessivamente vitale come dimostrano settore caseario, ittico, olivicolo e vitivinicolo. Ma eccellenze ed importanti casi di successo si registrano anche in Bosnia Erzegovina, dove tra l'altro si contano due dei 4 presidi slow food presenti nei Balcani (gli altri due sono in Croazia), in Albania, dove iniziano a contarsi aziende olivicole certificate e orientate all'esportazione, in Macedonia, dove la viticoltura sta raggiungendo livelli eccellenti ed in Serbia, con la Vojvodina a trainare lo sviluppo agricolo dell'intero paese.

Prospettive
Il settore primario continua quindi ad esercitare un ruolo determinante nell'economia dei 7 paesi balcanici ed anche per questo sono molteplici (e urgenti) le sfide che dovranno essere affrontate negli anni a venire. Il rafforzamento dei sistemi statistici e la sistematizzazione della raccolta dati a livello aziendale (la realizzazione di una vera a propria rete di informazione contabile agricola); l'individuazione e la formulazione di strategie di lungo periodo; l'integrazione verticale della filiera agroalimentare; il sostegno agli investimenti ed all'innovazione tecnologica; lo sviluppo delle aree rurali sono soltanto alcuni delle questioni a cui i Balcani si preparano a rispondere.


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