Lo scorso 17 maggio, anche l'Albania ha festeggiato la giornata internazionale contro l'omofobia. Iniziative generose e tante buone idee, funestate però dalle divisioni tra le associazioni di attivisti che si contendono la rappresentanza della comunità LGBT, una minoranza quanto mai bisognosa di unione
Come in altri paesi balcanici, anche in Albania l'omosessualità è ancora un argomento tabù. Ma le cose stanno cambiando, e in fretta. Da Tirana è certamente più facile percepire il movimento, tuttavia i temi dei diritti civili e della lotta all'omofobia stanno lentamente permeando il dibattito pubblico - anche grazie al confuso sensazionalismo dei media in materia di omosessualità, un elemento certamente negativo dal punto di vista dell'informazione, ma che a suo modo contribuisce alla rottura del silenzio, conferendo al cambiamento una dimensione nazionale.
Le iniziative, gli eventi e i dibattiti che hanno animato il Festival della Diversità appena concluso hanno dimostrato ciò che è risaputo: il Paese delle Aquile dispone di giovani forze desiderose di futuro; ragazzi tanto pazienti quanto determinati, decisi a sfidare lo schema culturale dei padri - come spesso accade nei paesi in transizione, i genitori e i figli hanno vissuto in due società, in due mondi diversi. Come ogni nuova battaglia, anche la causa degli omosessuali d'Albania non è esente dalla frammentazione che in tutto il mondo caratterizza i movimenti d'avanguardia: dinamiche che potremmo definire politiche, poiché condividere una causa non significa concordare necessariamente sui metodi di azione. È esattamente questo che è accaduto lo scorso 17 maggio, quando, uniti dai fini e divisi dai mezzi, i gay di Tirana sono scesi senza paura in strada: chi in bici, chi a piedi.
Ride o Pride?
Tra Ride e Pride c'è di mezzo molto più di una P. Giunto alla sua terza edizione, il Gay Ride di Tirana è un'idea di Aleanca Kundër Diskriminimit të LGBT, un'associazione di attivisti impegnati in un'energica campagna di sensibilizzazione dal basso, a partire dalla strada e dall'arte, dalla street-art. Al contrario di quanto si potrebbe pensare, l'approccio creativo di questi ragazzi non è per nulla naive: recente ma significativa è l'apertura di un vero e proprio centro culturale polivalente, uno spazio libero e autogestito che all'occorrenza funge da sportello d'emergenza - non sono rari i casi di persone omosessuali rifiutate dalle famiglie e cacciate di casa. L'idea di una corsa in bicicletta sul boulevard nasce invece due anni fa: sembra passato un secolo dal 2012, quando il primo Ride venne inaugurato dal lancio di petardi e fumogeni intimidatori; gesti isolati ma politicamente legittimati dalle irresponsabili dichiarazioni dell'allora viceministro della Difesa Ekrem Spahiu: “Bisogna prenderli a manganellate”.
Diversamente "contro" al pensiero dominante, sono le idee e l'approccio di Pink Embassy. Nata nel decennio scorso da un gruppo di attivisti facenti parte del Children’s Human Rights Centre of Albania (CRCA), l'attivismo di questi ambasciatori sui generis è improntato al dialogo con gli internazionali - un canale preferenziale è aperto con l'ambasciata olandese - e si rifà a modelli di mobilitazione già sperimentati nel resto del mondo. Si deve a Pink Embassy l'organizzazione del sopracitato Festival della Diversità, ed è sempre questa associazione ad aver convocato "il primo Gay Pride d'Albania": una mossa indubbiamente forte dal punto di vista mediatico, che non ha mancato di creare divisioni interne alla comunità LGBT. A prendere le distanze dall'organizzazione di una Pride Parade è stata proprio l'Aleanca, che attraverso un comunicato stampa ha accusato Pink Embassy di avere come scopo principale quello di catturare l'attenzione dei media attraverso un brand internazionale.
Tre mesi dopo la rottura, fallita ogni mediazione degli internazionali, sia "Ride" che "Pride" si sono tenuti il 17 maggio, ma a orari diversi: il primo alle 11.00, il secondo alle 12.00. Entrambi sotto una pioggia battente.
Il frazionismo arcobaleno visto da fuori
Lo scissionismo a sinistra è un fenomeno politico noto, soprattutto agli italiani. Tuttavia, per lo meno agli occhi degli stranieri, il frazionismo arcobaleno del 17 maggio tiranese appare insuperabile: in un giorno nato per unire, la giusta causa di una minoranza quanto mai bisognosa di tutti ha prodotto due manifestazioni a distanza di un'ora. Incuriosito dalla vicenda, ho contattato gli organizzatori dei due eventi, chiedendo a entrambi il perché di questa divisione nel giorno dell'unità, e se non la considerassero controproducente. Sia Altin Hazizaj (Pink Embassy) che Xheni Karaj (Aleanca) sono parsi molto sereni al riguardo: si tratterebbe semplicemente di "different approaches". Secondo Altin il primo Gay Pride era da convocare, è stato fatto con successo e con un ampio consenso: diciannove associazioni hanno appoggiato l'iniziativa, e si spera che l'anno prossimo tutti aderiranno. Anche secondo Xheni il pluralismo delle iniziative è un segnale positivo: c'è chi parte dalla strada e chi dai round-table, entrambi le azioni sono importanti e, soprattutto, non si escludono a vicenda: proprio per questo non si è rinunciato al Ride, un'idea originale e nata in loco.
Nonostante i toni estremamente concilianti con cui parlano l'uno dell'altra, né Pink Embassy né Aleanca prendono generalmente parte alle iniziative che non organizzano. La sera prima del Pride, ad esempio, Pink Embassy aveva partecipato alla proiezione del documentario di Claudio Cipelletti "Due volte Genitori", presentato da due esponenti dell'Associazione italiana AGEDO (Associazione Genitori Persone Omosessuali). Il giorno dopo, subito dopo il Ride, il cinema AGIMI ha invece ospitato la prima del film "SkaNdal" (s’ka ndal in albanese significa "no stop"), uno splendido documentario realizzato da Elton Baxhaku ed Eriona Cami - sceneggiato dalla stessa Xheni Karaj con l'aiuto di Kristi Pinderiche - che ripercorre via interviste la storia degli omosessuali d'Albania, dai tempi del comunismo agli odierni movimenti LGBT. Alla pari del Pride e del Ride, entrambe le proiezioni, oggettivamente di qualità e con un ottimo riscontro di pubblico, sono state disertate dalla "concorrenza".
Conoscere la storia
L'idea di una parata dell'orgoglio gay nasce a New York, a seguito della celebre rivolta di Stonewall nel Greenwich Village: era il giugno 1969. Da allora, in tutto il mondo, per rompere il muro dell'emarginazione omosessuale, ci si è rifatti a quell'esperienza. Piacciano o meno, i Gay Pride sono divenuti un vero e proprio format internazionale, l'unico in grado di mobilitare, accanto a gay e lesbiche, simpatizzanti ed amici. Indipendentemente dai contesti sociali, questa operazione è però riuscita laddove è stata raggiunta un'unità di intenti tra tutte le organizzazioni interessate.
"Il primo Gay Pride d'Albania" è nato con le virgolette proprio a causa della fretta con cui è stato convocato. Tenendo presente il contesto (sociale ed atmosferico), un corteo di settanta-ottanta persone è certamente un buon risultato - ad offuscarlo è proprio l'etichetta "Pride", cui è generalmente associata l'immagine di un'adunata oceanica - ma il mancato coordinamento con gli attivisti del "Ride", una manifestazione nata e cresciuta in Albania, ha senza dubbio depotenziato la marcia, attribuendole un carattere divisivo.
Dall'altro lato, dal momento che in Albania il percorso di emancipazione pubblica è appena cominciato, per lo meno in questa fase dovrebbero importare assai poco i nomi, le sigle e le etichette: spaccare un capello in quattro non è mai stata una strategia di mobilitazione. Ne è uno splendido esempio la vicina Italia: il primo Gay Pride ebbe luogo solo nel 1994, e fu successo insperato; nel giro di tre anni, le tensioni tra le due principali associazioni organizzatrici (Arcigay e Circolo Mario Mieli) portarono alla scissione in due cortei (uno a Roma e l'altro a Venezia) e nel 1999, di fronte al persistere degli egoismi organizzativi, la comunità LGBT disertò volontariamente entrambe la manifestazioni.
Splenderà il sole
Non tutti sono certi di aver assistito al primo Gay Pride dell'Albania, ma il 17 maggio è stato anche a Tirana un giorno di festa arcobaleno. Anche senza rifarsi alla Storia, il lavoro di questi attivisti è certamente meritevole di attenzione, soprattutto se si tiene conto del contesto sociale in cui operano. Al di là di ogni arretratezza dello Stato e del sistema politico, la difficile frontiera da abbattere rimane quella culturale: il cosiddetto gap generazionale, ovvero la distanza che i genitori del Sessantotto europeo hanno abolito con i propri figli, è ancora molto forte in Albania - per un giovane albanese di educazione tradizionale, farsi riprendere dalle telecamere mentre partecipa ad un corteo gay con i suoi amici può davvero rappresentare un problema per la propria vita famigliare. Ma a questi ragazzi il coraggio non manca, ed è grazie a loro che il paese sta cambiando pelle. Il prossimo anno, quando cammineranno e pedaleranno insieme, si prevede che splenderà il sole.
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