photosoft/shutterstock

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L'inizio del 2020 in Albania sarà segnato da una nuova ondata di proteste della società civile. Queste ultime, a fronte di un'opposizione frammentata e un parlamento non rappresentativo, potrebbero servire da catalizzatore per un'ulteriore democratizzazione del paese

09/01/2020 -  Gentiola Madhi

Il 2019 è stato un anno buio per la democrazia albanese. Quasi trent'anni dopo la caduta del comunismo e le energiche proteste degli studenti di dicembre 2018, il paese è ancora indietro in termini democratici e mostra, anzi, chiari segni di regresso. La sconsiderata mossa della coalizione di destra di abbandonare in blocco il mandato parlamentare lo scorso febbraio ha ulteriormente alimentato la polarizzazione del clima politico.

L'Albania è attualmente in una profonda crisi politica e istituzionale: la Corte costituzionale è paralizzata, il Parlamento è stato ridotto a semplice generatore di leggi proposte dal governo e non esiste alcun meccanismo di responsabilità. Tutto ciò è certamente responsabilità di entrambe le parti dello spettro politico, ma a perdere sono i cittadini. Come giustamente afferma lo slogan nato durante le proteste studentesche del 2018 e poi fatto proprio dall'iniziativa civica Nisma Thurje (Iniziativa Hashtag): "Non siamo poveri, siamo derubati".

La riforma elettorale del 2008, ad esempio, è stata un accordo bipartisan tra socialisti e democratici per dare ai leader di partito il potere assoluto di decidere le liste dei candidati per le elezioni nazionali. I leader decidono chi entra in Parlamento e, a loro volta, i parlamentari rimangono fedeli al leader e non rispondono ai cittadini che li hanno eletti. Questo circolo vizioso ha portato ad un'ulteriore frammentazione e alienazione delle istituzioni pubbliche dai bisogni dei cittadini. "Quello che succede in Parlamento non riguarda i temi, ma le persone", ha dichiarato Besjan Pesha, attivista di Nisma Thurje. Questa iniziativa civica sta chiedendo fortemente democrazia diretta e liste aperte per riconquistare un parlamento rappresentativo e parlamentari che rispondano a chi li ha votati.

La frustrazione e il malcontento diffusi hanno indotto molti attivisti a radunarsi attorno a varie iniziative civiche e intraprendere diverse iniziative e proteste tematiche per chiedere un cambiamento. Con un'opposizione quasi assente, i cittadini si stanno organizzando per agire collettivamente contro le politiche restrittive del governo. Il 18 dicembre giornalisti, operatori dei media e attivisti sono scesi in piazza a Tirana per protestare contro il cosiddetto "pacchetto anti-diffamazione", che mette il destino dei portali online e della libertà dei media in generale in mano a istituzioni guidate dal governo. A questo proposito, l'autocensura è sempre più potente della censura.

Il movimento "For University" è un'altra iniziativa che ha lavorato attivamente per organizzare un nuovo ciclo di proteste. Programmate inizialmente per il 4 dicembre, le proteste sono state rinviate all'inizio del 2020 a causa del terremoto dello scorso novembre. Le richieste degli studenti di un'istruzione di qualità, economicamente accessibile e inclusiva, nonché migliori prospettive di lavoro e di vita per tutti, hanno scosso l'apatia della società e ravvivato la speranza. "Per la prima volta, c'è stata un'articolazione femminista nelle proteste [degli studenti], in cui sono le ragazze a dirigere, modernizzare e articolare la propria posizione non solo come studentesse, ma anche come ragazze, come queste politiche del governo influenzano il loro status di giovani donne. Questo è uno dei traguardi più grandi e pieni di speranza", ha dichiarato Gresa Hasa, attivista di "For University".

Poi c'è l'Alleanza per la protezione del teatro, che fa resistenza 24 ore su 24, 7 giorni su 7, contro l'appropriazione di beni pubblici per interessi privati. Fino a quando la Corte costituzionale non emetterà un verdetto sulla costituzionalità della Legge speciale sul teatro nazionale, gli attivisti sono decisi a continuare a occupare e proteggere questa storica istituzione. "È stata la culla delle principali istituzioni culturali in Albania, a partire dal primo Istituto di Studi Albanologici, primo cinema, primo teatro, primo Club degli scrittori, il luogo dove sono stati realizzati per la prima volta balletto e opera", ha dichiarato Lindita Komani.

Il terremoto ha temporaneamente spostato il focus di queste iniziative civiche, ma certamente lo stato di emergenza in tre distretti non smorzerà il loro slancio. Ciò che questo disastro naturale ha dimostrato è che la solidarietà esiste ancora e che le persone non sono così individualiste e atomizzate come le élite politiche sembrano credere. All'inizio del prossimo anno sono attese nuove proteste pacifiche e il governo dovrà mostrare in che misura tiene conto della volontà dei cittadini. Certamente, un anno o un decennio fa non avremmo mai immaginato che nel 2020 gli albanesi si sarebbero ritrovati a dover combattere ancora per una vera democrazia.


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