I call-center che offrono i propri servizi ad aziende italiane impiegano migliaia di giovani albanesi, ma le condizioni di lavoro sono pessime. A lungo andare lo stress danneggia la salute fisica e psicologica di chi ci lavora

16/06/2017 -  Nkiruka OmeronyeKlevis PalokaAnxhela Ruci Tirana

(Articolo originariamente pubblicato dal portale investigativo albanese PSE  il 10 maggio 2017)

Migena L. ha 22 anni e uno dei momenti più duri delle sue giornate è quando, finito di lavorare, riceve una telefonata da sua madre. Esita a risponderle. Migena si è da poco laureata in giornalismo e da tre anni e mezzo lavora in un call-center di Tirana, da dove ogni giorno, per otto ore filate, contatta persone che abitano a 400 chilometri di distanza, dall'altra parte dell'Adriatico. Il suo lavoro è quello di “convincerli” a registrarsi per ricevere servizi e accettare offerte proposte da diverse compagnie italiane.

Oltre ad averla portata a sviluppare una generale riluttanza a parlare al telefono, come risultato delle molte ore in cui indossa le cuffie, Migena racconta di aver perso la sua serenità, e di ritrovarsi spesso a provare un senso di tensione e disagio nella vita di tutti i giorni. “A fine giornata mi sento davvero esausta e in ansia”, ci dice. “Se una persona mi ripete due volte la stessa cosa mi irrito e mi sento infastidita. Sono sempre stata una persona calma e rilassata ma ora ho perso la mia serenità”.

Sono circa 25.000 i giovani albanesi che, come Migena, lavorano per aziende che offrono servizi di tele-marketing rivolti ai consumatori italiani. L'età media delle persone occupate in questo tipo di servizi si aggira attorno ai 23 anni, e quasi il 90% sono studenti universitari o laureati.

In un paese come l'Albania, in cui il tasso di disoccupazione dei giovani nella fascia d'età tra i 19 e i 29 anni era del 33,2% nel 2015, i call-center italiani sono considerati un'industria importante che contribuisce a migliorare le possibilità di lavoro per i giovani. Per questa ragione, le istituzioni albanesi hanno seguito con preoccupata attenzione le recenti modifiche alla legislazione italiana, volte a rendere più difficile la delocalizzazione dei servizi di tele-marketing al di fuori dell'Italia e dell'Unione Europea.

Sembra tuttavia molto limitato l'interesse che le stesse istituzioni dimostrano verso le condizioni di lavoro dei giovani albanesi impiegati nei call-center. In particolare, è praticamente nulla l'attenzione rivolta agli effetti sulla salute fisica e psicologica dei dipendenti provocati dalle molte ore trascorse a dialogare, ascoltare e stare davanti a un computer.

Intervistando i giovani centralinisti, emerge che le aziende non offrono loro alcuna assistenza psicologica o servizi di counseling, né tanto meno i controlli medici a scadenza periodica indispensabili per monitorare il loro udito, la vista e le corde vocali o qualsiasi problema che potrebbe manifestarsi alla spina dorsale a seguito delle lunghe ore passate seduti su una sedia. La mancata erogazione di questo tipo di assistenza viene candidamente ammessa dagli stessi dirigenti e dai rappresentanti delle aziende che operano nel settore dei call-center in Albania.

L'Istituto nazionale di statistica, INSTAT, riporta che i call-center attivi in Albania nel 2015 erano 804 – un incremento di dieci volte rispetto ai numeri registrati nel 2000, quando solo 76 imprese offrivano questo tipo di servizio nel paese.

Quando il bisogno di sopravvivere prevale sui rischi per la salute

Denada M. ha 21 anni e riassume in due parole i molti anni spesi come operatrice di call-center: “stress e soldi”. Studentessa di psicologia, Denada ha lavorato per tre diverse compagnie di tele-marketing a Tirana e Durazzo. Per illustrare la forte pressione in questi ambienti lavorativi, racconta di ritmi di lavoro che prevedono una sola pausa di 15 minuti nell'arco di un intero turno di lavoro, che dura otto lunghe ore. La pausa, dopo le prime quattro ore, è l'unico momento per sgranchirsi: rimanere seduti così a lungo può essere doloroso e stressante, e può causare problemi alla spina dorsale. “Il momento più bello della mia giornata di lavoro sono quei 15 minuti di pausa”, racconta. Tutti i call-center del paese sono operativi sei giorni alla settimana.

Xhuliana Jakimi dice di aver sofferto seri problemi di vista nel periodo in cui lavorava per un call-center. Klaudia, 23 anni, ha lavorato nel settore per tre anni, sviluppando problemi all'udito a causa dell'alto volume delle conversazioni con i consumatori italiani e delle cuffie che era costretta a indossare costantemente. Fjoralb Hodaj, uno studente che ha lavorato per quattro mesi in un call-center, riporta di aver sofferto di seri disturbi del sonno a causa dello stress accumulato durante il lavoro. “Non riuscivo assolutamente a dormire, era semplicemente impossibile continuare a lavorare in quel posto”, dice Fjoralb.

Nonostante queste difficoltà, i giovani continuano a lavorare nei call-center perché per alcuni di loro si tratta dell'unica maniera per poter continuare gli studi. Anche i neolaureati guardano ai call-center come a una prospettiva che permette loro di avere un'entrata economica sufficiente a garantirsi uno standard di vita base, in un contesto dove integrarsi nel mondo del lavoro è un'impresa tutt'altro che facile.

Un'ora di lavoro in un call-center viene pagata tra i 180 e 250 lek (1,30-1,80 euro circa), ma il compenso può essere più alto per casi o servizi particolari. Un normale giorno di lavoro prevede turni di quattro o otto ore, però in alcuni casi i giovani che hanno bisogno di qualche soldo in più scelgono di fare turni più lunghi. Gli stipendi pagati da queste compagnie sono ben al di sopra del minimo previsto in Albania, che è fissato a 22.000 lek (165 euro) al mese. Denada ci dice che al call center guadagna abbastanza per garantirsi una vita ordinaria, mentre se avesse dovuto lavorare come psicologa lo stipendio non sarebbe bastato nemmeno per coprire la spesa e il cibo.

D'altra parte, le procedure estremamente semplificate per l'assunzione nei call-center hanno spinto molti giovani a riversarsi in queste compagnie e a guadagnarsi da vivere vendendo servizi al telefono. Emona Alla, capo delle risorse umane per il Tregi Marketing Group – gruppo che impiega all'incirca mille giovani – dice a PSE che tutto ciò che serve per iniziare a lavorare per la compagnia è una conoscenza discreta dell'italiano e la volontà di lavorare dalle quattro alle sei ore al giorno.

La preoccupazione di medici e psicologi

Jetmira Fejzaj, otorinolaringoiatra presso l'ospedale universitario Madre Teresa, ci dice che i problemi alle corde vocali e all'udito sono alcune delle principali conseguenze legate al lavoro prolungato nei call-center, e che controlli medici frequenti sono necessari per prevenire questi rischi. “Parlare senza sosta può causare problemi alle corde vocali, mentre un uso prolungato delle cuffie può danneggiare il nervo uditivo”, dice Fejzaj. “È consigliabile che i lavoratori dei call-center si sottopongano a controlli medici ogni sei mesi, così da tenere sotto controllo lo stato del loro apparato uditivo”.

Uno dei problemi più seri provocati dal lavorare per queste compagnie è l'alto livello di stress a cui sono soggetti i lavoratori, che devono passare molto tempo di fronte a un computer senza potersi muovere, continuamente presi a parlare e ascoltare. La psicologa Fleura Shkëmbi, professoressa all'Università europea di Tirana, ci dice che lavorare per lunghi periodi di tempo in un call-center può causare insonnia, stress e stanchezza. Se si manifestano questi sintomi “bisognerebbe lasciare il lavoro, sarebbe il momento giusto per i giovani per iniziare ad avere più attenzione per se stessi e la propria salute”, suggerisce.

Secondo Shkëmbi, il problema maggiore è che le compagnie non offrono servizi di counseling o terapia psicologica, lasciando quindi peggiorare una situazione già di per sé difficile. Le sessioni di terapia normalmente costano 1.500 lek (11 euro) all'ora, e i dipendenti dei call-center non possono permettersi di pagarle di tasca propria. “Le compagnie non pagano per la terapia”, dice Shkëmbi, “di conseguenza i giovani si ritrovano in un circolo vizioso. Lavorano per guadagnare denaro, ma poi lo devono spendere per una terapia da uno psicologo: alla fine quanto gli rimane?”. Emona Alla ammette che la compagnia per cui lavora ha pensato di offrire un servizio di counseling ai propri dipendenti, ma non ha ancora preso una decisione e non è detto che pagherà le sessione di terapia.

Secondo Shkëmbi, lo stress deriva anche dalla mancanza di prospettive di carriera all'interno dei call-center. “A un certo momento i giovani si rendono conto di ritrovarsi bloccati in questo specifico frangente della loro vita”, dice la psicologa. “Capiscono che tutto quello che hanno fatto fino a ora non è altro che cercare di vendere offerte o promozioni per telefono ad altre persone”.

La mancanza di attenzione verso i possibili problemi fisici e psicologici degli impiegati nei call-center è un problema serio, che potrebbe portare i giovani a pensarci due volte prima di iniziare a lavorare per queste compagnie. 


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