Domenica gli albanesi votano. Rispetto a quattro anni fa, tra socialisti e democratici vige un clima più disteso. I sondaggi danno favorito il partito di Rama, ma in assenza di coalizioni pre-elettorali all'orizzonte si profilano le larghe intese
Domenica 25 giungo i cittadini albanesi sono chiamati alle urne per il rinnovo del Parlamento. Formalmente, a contendersi la guida del paese sono il favorito Partito Socialista (PS) del Premier Edi Rama, il Partito Democratico (PD) di Lulzim Basha e il Movimento Socialista per l'Integrazione (LSI) ereditato da Petriti Vasili a seguito dell’elezione del suo leader Ilir Meta alla Presidenza della Repubblica. A rendere soporifera la campagna in corso è l'accordo che PD e PS hanno stretto prima del voto, un “patto” che dimostra l’arroccamento di una classe politica pronta a spartirsi la torta del potere, ma senza proposte e idee per rilanciare il paese.
Inaspettate collaborazioni
Il negoziato politico coronato il 18 maggio scorso con l’accordo tra Edi Rama e Lulzim Basha ha sancito la fine di una crisi politica e istituzionale in atto da tre mesi ed ha escluso ancora una volta Ilir Meta dal tavolo negoziale dei “grandi”, provocando una rottura apparentemente insanabile all'interno della maggioranza di centrosinistra che nel 2013, in coalizione, aveva vinto le elezioni.
Coerente con la posizione super partes assunta durante il conflitto, Ilir Meta ha pubblicamente manifestato soddisfazione per l'accordo, ma non ha mancato di leggere tra le righe la volontà dei due partiti maggiori d’impedire la formazione di coalizioni per ostacolare i partiti più piccoli, così come il delinearsi, dopo il voto, di una “grande coalizione” tra socialisti e democratici. Una convivenza che però non si preannuncia facile e che, più o meno vigorosamente, è stata smentita da entrambi i leader, ma che potrebbe essere vista come unica via per togliere all’LSI - un terzo polo “clientelare” che nelle ultime due legislature ha governato con la destra e con la sinistra - la principale arma che detiene per fare proseliti: la continuità al potere.
Nessuna novità dai sondaggi
Gli ultimi sondaggi sulle intenzioni di voto, effettuati dalle società italiane IPR Marketing e Istituto Piepoli per conto di due emittenti albanesi – Ora News e Report Tv –, hanno confermato il vantaggio netto e la costante crescita dei socialisti. A meno di una settimana dal voto, il PS conferma il trend positivo e si attesta al 48% per IPR e tra il 50-54% per Piepoli, contro un PD che in entrambi i sondaggi non supera il 33%. Stabile l'LSI al 13% secondo IPR e tra l’8-10% per Piepoli.
Senza l’egida delle coalizioni sono davvero pochi i partiti che possono ambire a superare la soglia del 3%. Le uniche formazioni che potrebbero farcela sono il Partito per la Giustizia, l'Integrazione e l'Unità di Shpetim Idrizi – le cui traiettorie ballerine non consentono di sapere da che parte potrebbe schierarsi dopo il 25 giugno – e il movimento “Libra” di Ben Blushi, noto politico e scrittore socialista fuoriuscito dal gruppo parlamentare per creare un'alternativa di sinistra che raccolga gli scontenti dell'era Rama.
Se queste previsioni dovessero essere confermate dal voto, la possibilità di un parlamento controllato dai socialisti non è da escludere, ma una maggioranza così risicata non darebbe nessuna garanzie di stabilità, aprendo alla prospettiva delle larghe intese.
Gli stessi temi
In un paese in cui il 56% dei cittadini vuole emigrare (secondo un sondaggio Gallup dell’8 giugno scorso siamo secondi solo alla Sierra Leone), la campagna elettorale è inevitabilmente incentrata sull’economia e l’impiego. Per i prossimi quattro anni sono quindi stati promessi soprattutto nuovi posti di lavoro: 220.000 il PS, 170.000 l’Lsi, 100.000 il Pd.
In tema di tasse, il PS promette di ridurre la pressione fiscale del 18%, l’LSI del 60% mentre il PD di abolire la tassazione progressiva a favore di una flat tax al 9%. Diversamente dalle altre campagne si parla solo occasionalmente di infrastrutture, ma si rinnova l’attenzione verso l’agricoltura. Anche qui, è una gara al rialzo, con il Ps che promette finanziamenti da 230 milioni di euro, l’LSI sovvenzioni pari al 2.5% del PIL mentre il PD sovvenzioni all’1% del PIL più 100 milioni di euro all’anno alle famiglie, sulla base della produzione, delle dimensioni del terreno e delle fattorie.
Promesse a parte, dei tre principali partiti solo l’LSI ha effettivamente pubblicato una piattaforma ufficiale e consultabile, le altre sono dichiarazioni da comizi. Ragion di più perché dopo le elezioni rischiano di finire nel dimenticatoio.
Niente differenze, niente ideologie
Comunque la si guardi, quella cui si assiste in questi giorni è una campagna elettorale insolita. Le reciproche accuse e denigrazioni a cui, negli anni, socialisti e democratici hanno abituato i loro pubblici sono solo un ricordo; così come anche i fasti del passato, le manifestazioni massicce, i maxischermi a led ad ogni comizio, le città tappezzate di manifesti, l'ostentazione di bandiere e simboli partitici. Certa simbologia – lo ha capito persino la vecchia guardia socialista e democratica – rimanda alla “vecchia politica”. Accade così che Lulzim Basha releghi lo storico “blu democratico” ad un angolo dei suoi manifesti elettorali, preferendo l’imbattibile rosso-nero dell'aquila bicipite, mentre il pugno che dai primi anni '90 stringe la rosa socialista si è aperto e, complice la seconda posizione del PS nella scheda elettorale, ripropone le due dita a V, un gesto da sempre appannaggio dei leader democratici. Quella che va in scena dopo il patto PS-PD è una campagna quindi in cui i toni si ammorbidiscono, i simboli si fondono, le ideologie si mischiano, i programmi si rispecchiano e le promesse si discostano solo nei numeri.
A cambiare è stato invece il registro dei socialisti che nelle ultime settimane si è fatto sempre più critico nei confronti di tutti i settori affidati ai colleghi di maggioranza del LSI, trasformatosi all'improvviso da alleato a principale ostacolo alle riforme, a ragione del dilagante nepotismo nell'amministrazione pubblica, a freno allo sviluppo del paese. Dal canto suo, il leader dell'"opposizione" del PD, ora con sei ministri ed un vice premier al governo, ha archiviato le accuse rivolte alla maggioranza di corruzione. Come non si è più parlato di promesse non mantenute, della coltivazione e traffico di narcotici nel paese, delle concessioni clientelari o di timori per la regolarità delle prossime elezioni.
Per entrambi, l'avversario da battere è l'LSI. È sull’ex alleato di tutti che convergono le critiche di socialisti e democratici. Una situazione che ha costretto Ilir Meta, defilatosi in attesa di prestare giuramento il 22 luglio prossimo, a dismettere gli abiti presidenziali indossati con troppo anticipo per scendere nuovamente in campo a fianco del proprio candidato premier Petrit Vasili per ricordare tutte le riforme fatte in questi quattro anni grazie ai voti dell’LSI e per ammonire sul preoccupante livello di democrazia nel paese e sul timore di irregolarità nel processo elettorale. In qualità di Presidente in pectore, con toni che farebbero invidia anche al collega macedone, Meta ha affermato che nel caso in cui le elezioni dovessero essere contestate egli non intende designare alcun Presidente del Consiglio, e che se la polizia non riuscisse a garantire l’ordine si renderà disponibile ad “armare la popolazione”.
Tutti all’opposizione, tutti al governo
È dunque un clima insolito quello che si respira a Tirana, con tre partiti al potere che si presentano come “opposizione” e che provano a raccogliere il malcontento degli elettori indicando nei nuovi e nei vecchi alleati ogni responsabilità su quanto fatto o non fatto in questi quattro anni.
L’inedita – e fino a qualche mese fa impensabile – “cortesia” tra socialisti e democratici prelude senza dubbio un governo di coalizione: una spartizione del potere che in fin dei conti il sistema politico vive come necessaria, visto che l’approvata riforma della giustizia sta divenendo operativa: gli organi del cosiddetto processo di “vetting”, ovvero di selezione dei giudici che dovrebbero andare a comporre una magistratura indipendente, sono infatti stati istituiti. Un fatto epocale, le cui conseguenze non sono al momento prevedibili. Una novità che a quanto pare spinge gli attori della democrazia albanese ad una saggia e preventiva “solidarietà di categoria”.
La riforma della giustizia
Riunitosi in seduta plenaria straordinaria ad una settimana dalle elezioni politiche del 25 giungo, il Parlamento albanese ha nominato i 27 membri della Commissione Indipendente delle “Qualifiche” e del “Collegio di Appello”, due istituzioni incaricate dell’attuazione del vetting, ossia di un processo che prevede la valutazione della formazione e delle competenze professionali degli 800 giudici e procuratori albanesi, unita a un’attenta verifica dei loro patrimoni e degli eventuali legami con il mondo della criminalità.
Gli emendamenti costituzionali su cui poggia la riforma del sistema giudiziario, votati all’unanimità dal Parlamento albanese il 22 luglio 2016, sono il risultato di un travagliato lavoro di stesura e negoziazione durato oltre 18 mesi. La radicale riorganizzazione degli organi del sistema giudiziario ha lo scopo di sradicare la corruzione, di incrementare l’efficienza del sistema e di troncare i legami dei magistrati con la politica e la criminalità.
Nei mesi scorsi, i lavori per l’implementazione della riforma si erano arenati a causa del “boicottaggio parlamentare” da parte dell’opposizione di centrodestra. Lo stallo è stato superato solo nel mese di maggio, grazie all’accordo raggiunto all’ultimo tra il Premier socialista Edi Rama e il leader dell’opposizione Lulzim Basha.
Fortemente voluta dall'Unione Europea e dagli Stati Uniti, e redatta con l’assistenza tecnica e legislativa della missione Euralius di Bruxelles e Opdat di Washington, la riforma del sistema giudiziario ha avuto nella varie fasi di stesura e implementazione il nulla osta della Commissione di Venezia (organo consultivo del Consiglio d'Europa) e della Corte Costituzionale di Tirana. Ma per ottenerne l’approvazione in Parlamento, l’attività di pressione sulla classe politica albanese da parte degli internazionali è parsa fondamentale.
L’attivazione delle due commissioni costituisce un ulteriore e fondamentale tassello verso l’implementazione della riforma, e riaccende le speranze dell’Albania – paese candidato all’ingresso all’Unione Europea dal giugno 2014 – di avere a breve il via libera all’apertura dei negoziati di adesione.
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