Il primo luglio 2024 è morto a Tirana Ismail Kadare, l'autore albanese più noto e letto. Lo scrittore Ardian Vehbiu, spesso in polemica con Kadare, lo saluta con una missiva, in cui delinea il ruolo e la grandezza di quest'ultimo nel panorama culturale albanese contemporaneo
(Pubblicato originariamente su Peizazhe , traduzione dall'albanese di Mirela Alushi)
Una notizia amara, che si sapeva sarebbe presto arrivata – e la cui plausibilità aumentava con il passare dei giorni – ma che ad ogni modo non ha e non avrà molto senso: l’illustre Ismail Kadare ha lasciato questo mondo.
I suoi libri li abbiamo, li leggiamo e li leggeremo; le sue parole e i suoi scritti li abbiamo sempre davanti agli occhi e nella mente; il mondo evocato dalla sua finzione letteraria, seppur immaginario, assume pian piano una sua realtà che casualmente si sovrappone anche a questa nostra, comune.
Come riconciliarsi con la scomparsa dello scrittore? Mi è più facile immaginare il dolore della moglie Helena, delle figlie Gresa e Besiana, ma anche degli amici che avevamo in comune; immagino come l’avrebbe ricordato mia madre, che di Kadare era stata grande amica ai tempi dell’università – ma che ha lasciato questo mondo prima di lui, proprio mentre leggeva un libro intervista sullo scrittore.
Come immagino il dolore di tutti coloro che amano la lingua albanese e si sono identificati respirando la sua opera, su suolo albanese come all’estero; e sono abituati a vivere con la sua presenza, a volte al centro e a volte ai margini della propria coscienza.
Persone appassionate alla dignità, al valore letterario, all’estetica della parola; persone che su Kadare avevano posto la loro speranza, anche per compensare la mediocrità culturale di cui erano, e sono ancora, circondati. Immagino il loro dolore e me ne sento partecipe.
Considero allo stesso modo anche la fine del fenomeno Kadare inteso come l’epilogo di quell’Albania culturale che, per via di una combinazione di circostanze uniche, è riuscita a materializzarsi negli anni politicamente più bui per i suoi cittadini, i quali – nonostante la paura, l’angoscia, la violenza totalitaria e il degrado morale – non hanno abbandonato le proprie ambizioni.
Dentro quell’Albania culturale, Kadare fu il traghettatore che provò a spostare il suo paese dall’Est vero l’Occidente, così come aveva spostato sé stesso; un tentativo inizialmente disperato e ultimamente destinato, non tanto al fallimento, quanto a far nascere, in ultima analisi, un nuovo tipo isolamento nella mediocrità.
Ma a questo traghettamento in barca, come un’avventura, non sono mancati momenti tanto agghiaccianti quanto di entusiasmo; così come non è venuto meno il desiderio di grandi gesti, grandi soprattutto rispetto al peso dell’Albania negli equilibri globali.
Qui è sufficiente ricordare il ruolo che ha avuto Kadare - e soprattutto, il ruolo che il pubblico ha creduto che Kadare abbia avuto – nel passaggio dal totalitarismo al post totalitarismo; agli occhi della maggioranza la sua figura è stata associata al Dissidente per eccellenza, cosa che in realtà non era; lo stesso ha assunto quella funzione, almeno nelle nostre fantasie; e così ci siamo convinti di avere avuto “anche noi” un grande scrittore, ‘’dissidente’’ e europeo.
Io faccio parte della generazione che vede l’opera di Kadare come completata alla fine del 1990; diversamente da un'altra generazione, molto più giovane, che ha conosciuto lo scrittore attraverso altre opere, di un altro tipo, pubblicate successivamente; o ancora, attraverso il suo impegno di intellettuale pubblico.
Quell’anno è stato un momento di svolta non solo per i destini dell’Albania e degli albanesi nell’Europa post Guerra Fredda, ma anche per il destino dello scrittore, nel tentativo di conservare quella rilevanza che, in ultima istanza, sarebbe risultata triviale – al confronto con la fila di suoi libri che avevamo nelle biblioteche.
E, ad ogni modo, la mia generazione ha conosciuto Kadare e a lui si è appassionata, vedendolo come lo scrittore dell’albanese che scriveva di noi e che ci nutriva delle illusioni di cui avevamo bisogno; quel che in fondo è sia il dovere morale che sociale della letteratura.
Forse anche le generazioni successive hanno letto la sua opera post 1990 attraverso gli stessi codici; quello che mi porta a sottolineare che il 1990 non solo ha diviso la storia dell’Albania e dello stesso Kadare in due parti, ma ha fatto lo stesso anche con i suoi lettori, quelli che lo scelsero come capitano di quel traghetto, e che poi si svegliarono, in un giorno di primavera dell’inizio del ‘90, in una nave di migranti diretti verso le coste dell’Occidente, senza capitano.
Ora è giunto il momento dei cori misericordiosi, dei cliché disseppelliti e dei volti amareggiati di tutti quelli che di Kadare non hanno letto nulla o, peggio ancora, che lo hanno letto solo per prepararsi meglio alle loro banali battaglie identitarie; il momento che aspettavano tutti quelli che si eccitano solo dalla morte – perché solo la morte permette loro di esprimere in pubblico i propri pensieri e le loro posizioni stiracchiate.
Si dirà, come ci si aspetta, che persone come Kadare, ‘’non muoiono mai’, cosa effettivamente vera, per ogni scrittore così apprezzato e letto. Come per molti altri, anche per me il grande scrittore è vivo e rimane un luminare, per il tempo che sopravvivrà in me l’eco della sua opera letteraria e il desiderio di leggerlo e rileggerlo.
E non vorrei proprio soffermarmi, perché non è il caso, su quel Kadare – categoria testuale e di narrazione, primo pronome della grammatica letteraria e culturale nazionale – che abbiamo reso nostro, che ci ha parlato e continua a parlarci, anche quando ci occupiamo di lui, lo menzioniamo, lo studiamo e ricordiamo.
Oramai grammaticalizzato, Kadare ha raggiunto la sua immortalità diversamente da quanto pretendono e pretenderanno i detentori del potere, i burocrati e i profittatori, che anche stavolta saranno in tanti; e il suo destino non verrà più scisso dal destino della cultura albanese del XXI secolo ed oltre; e della lingua albanese, come lingua degna per le ambizioni più coraggiose.
Che la terra le sia lieve,
Ardian Vehbiu
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