© Prehistorik/Shutterstock

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Armenia e Azerbaijan hanno rilasciato una dichiarazione congiunta che ha sorpreso anche i commentatori più esperti. Anche se non è chiaro se questa possa essere la tanto attesa svolta nei negoziati, la comunità internazionale è stata unanime nell’accogliere favorevolmente l’iniziativa

12/12/2023 -  Onnik James Krikorian

Nonostante le preoccupazioni che non si riuscisse a raggiungere nemmeno un accordo quadro per normalizzare le relazioni tra Armenia e Azerbaijan entro la fine di quest’anno, un’inaspettata dichiarazione congiunta, rilasciata da Baku e Yerevan lo scorso giovedì 7 dicembre, ha riportato alla luce un certo ottimismo. Tre anni fa i due paesi hanno combattuto una devastante guerra durata 44 giorni, ma fino ad ora un accordo di pace è rimasto una chimera.

Sebbene le dichiarazioni congiunte non siano una novità, finora erano sempre state rilasciate nell’ambito di colloqui trilaterali facilitati o mediati dal presidente russo Vladimir Putin o dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Questa volta, invece, la dichiarazione è stata rilasciata bilateralmente dall’ufficio del primo ministro armeno e dall’amministrazione presidenziale azerbaijana, senza il coinvolgimento di terze parti.

Lo sviluppo è particolarmente significativo dato lo stallo nel processo di Bruxelles facilitato da Michel, il ritiro del presidente azerbaijano Ilham Aliyev dai colloqui mediati dall’UE a Granada e Bruxelles in ottobre, e il rifiuto delle offerte di colloqui ospitati dalla Russia da parte di Yerevan, sempre più orientata a occidente.

Ancora più fiduciosa dopo la vittoria sulle forze di etnia armena in Karabakh, che ha provocato l'esodo di poco più di 100mila residenti verso l’Armenia, Baku ritiene che l'UE si stia sempre più schierando con Yerevan e vede con sospetto il seppur modesto sostegno militare non offensivo fornito al paese, che si aggiunge alla missione EUMA della politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC), schierata al confine dal febbraio scorso.

Durante una visita a Tbilisi in data 8 ottobre, Aliyev aveva suggerito che fosse giunto il momento per Armenia e Azerbaijan di negoziare bilateralmente, in un paese terzo come la Georgia o sul confine condiviso. Ciò è culminato quando l'Azerbaijan ha annullato anche i colloqui programmati che si sarebbero tenuti tra i due ministri degli Esteri a Washington DC il 20 novembre.

Lo stesso giorno, Baku ha nuovamente invitato Yerevan a impegnarsi bilateralmente senza intermediari. Successivamente, a quanto pare colto di sorpresa, il vice primo ministro Mher Grigoryan ha suggerito che le commissioni di entrambi i paesi si sarebbero incontrate al confine. L'Azerbaijan ha acconsentito, anche se il meeting del 30 novembre è durato tre ore senza portare alcun risultato evidente oltre all'intenzione di incontrarsi nuovamente.

La dichiarazione congiunta della scorsa settimana, tuttavia, è stata diversa in quanto ha coinvolto, a quanto sembra da sole, le amministrazioni del primo ministro armeno e del presidente azerbaijano. Secondo le intenzioni dichiarate, Baku sarebbe pronta a rilasciare 32 prigionieri armeni, Yerevan 2 detenuti azerbaijani mentre le parti si sosterrebbero a vicenda sulla scena internazionale.

"In segno di buona volontà, la Repubblica di Armenia sostiene la proposta della Repubblica dell'Azerbaijan di ospitare la 29a Sessione della Conferenza delle Parti (COP29) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ritirando la propria candidatura", si legge in quello che è stato probabilmente un annuncio senza precedenti. Il giorno successivo, la reazione internazionale è stata estremamente positiva.

“Stabilire e approfondire il dialogo bilaterale è un obiettivo chiave del processo di Bruxelles guidato dall’UE: i progressi di oggi rappresentano un passo fondamentale. Incoraggio i leader a concludere l’accordo di pace tra Armenia e Azerbaijan il prima possibile”, ha postato Charles Michel su X.

In Azerbaijan, la natura bilaterale dell’accordo è stata ampiamente celebrata, anche se gli analisti armeni sono stati per lo più silenziosi, timorosi che potesse anche rappresentare un allontanamento dal formato di Bruxelles, dai colloqui bilaterali tra i ministri degli Esteri facilitati dagli Stati Uniti o da entrambi. Alcuni a Yerevan, tuttavia, hanno suggerito che la Georgia avrebbe potuto mediare con gli Stati Uniti per contribuire a finalizzare l’accordo.

Il giorno dopo la dichiarazione, però, il deputato Sargis Khandanyan, presidente della Commissione per le relazioni estere, ha respinto tali suggerimenti, ribadendo che il processo è stato bilaterale senza intermediari, aggiungendo poi che, sebbene la sua importanza non debba essere sottovalutata, non dovrebbe nemmeno essere sopravvalutata. Khandanyan ha poi aggiunto che lo scambio di prigionieri avverrà in “ore o giorni”.

Al momento della pubblicazione di questo articolo, però, non ci sono notizie sul rilascio dei prigionieri.

Mentre ancora non è chiaro se Armenia e Azerbaijan torneranno ai colloqui bilaterali o trilaterali, la dichiarazione congiunta ha però incoraggiato chi spera in un accordo a breve. Sabato, parlando alla televisione pubblica armena, il segretario del Consiglio di sicurezza Armen Grigoryan ha potuto solo dire che un accordo potrebbe arrivare “entro la fine dell’anno… o il prima possibile”. Lo stesso era previsto alla fine dello scorso anno.


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