Il giorno dopo la commemorazione del centenario del Genocidio armeno, inizierà un nuovo secolo. Facciamone il nostro secolo. Un commento
Questo articolo è stato pubblicato originariamente sul portale informativo Civilnet
Il 25 aprile arriverà, lo prometto.
Arriverà un giorno dopo il 24 aprile, il centesimo anniversario del Genocidio armeno. Sarà il giorno dopo che centinaia di migliaia di persone avranno fatto il pellegrinaggio a Tsitsernakaberd, il memoriale del Genocidio che si trova in cima a un’isolata collina, a Yerevan.
Le delegazioni ufficiali che erano giunte per poche ore saranno partite. I milioni di fiori attorno al fuoco perenne del memoriale resteranno lì per pochi giorni, e poi anche loro verranno portati via e riciclati. Gli armeni della diaspora, che erano venuti per prendere parte al centenario in patria, resteranno qualche giorno in più e poi ripartiranno anche loro.
Le agenzia stampa che avevano mandato i loro inviati per seguire le cerimonie della commemorazione scriveranno i loro articoli, raccoglieranno i loro servizi, imballeranno le loro attrezzature e torneranno a occuparsi di eventi più urgenti in giro per il mondo. Le stanze degli hotel saranno vuote.
I manifesti che chiedevano giustizia e il riconoscimento del Genocidio armeno in molte città del mondo saranno tolti. Le mostre che si erano tenute in alcuni dei più prestigiosi musei e istituzioni saranno smantellate e riposte. Le conferenze che erano state organizzate, filmate e trasmesse in TV o in streaming si concluderanno, gli atti pubblicati e messi su internet. Gli accademici, i conferenzieri e gli esperti che avevano fatto i loro interventi lasceranno i palchi, gli spettatori torneranno alle loro vite e le sale delle conferenze saranno deserte.
Le dimostrazioni, le fiaccolate e le marce finiranno. Gli articoli che erano stati scritti saranno letti e poi cancellati dagli schermi dei computer. I non-ti-scordar-di-me viola, simbolo scelto per contraddistinguere il centenario, che erano stati stampati su spille, poster, magliette, adesivi per automobili, tazze, braccialetti, collane, portacellulari, ombrelli e berretti saranno buttati via.
Si pubblicheranno libri sul Genocidio scritti da discendenti dei sopravvissuti, si scriveranno versi, si faranno film e spettacoli teatrali, concerti rock e sinfonici nel cuore di Yerevan.
I milioni, o forse anche i miliardi di dollari raccolti e destinati alla commemorazione in ogni continente saranno spesi.
Il 25 aprile arriverà, lo prometto.
Cento è soltanto un numero. Non è la fine, ma deve essere l’inizio di qualcosa... Vedete, un milione e mezzo di persone saranno comunque morte, le città e i villaggi dell’Armenia storica prive dei loro figli, benessere e prosperità assenti, la giustizia continuerà ad essere elusa, la Turchia continuerà ancora a negare e noi dovremo proseguire a lottare per la nostra giusta lotta.
E dopo che le marce finiranno, dopo che le conferenze saranno concluse, dopo che i cartelli saranno tolti, dopo che il mondo che era accorso a Yerevan avrà fatto i bagagli e sarà ripartito, noi saremo qui. Il paese e la sua gente. Armenia e Artsakh, questi due fragili stati armeni saranno ancora qui. E la diaspora, nata a causa di quel crimine cent’anni fa, con i suoi immensi potenziali e possibilità, ci sarà ancora.
Mentre un secolo di dolore, sofferenze e perdite si conclude, un altro nascerà. Facciamone il nostro secolo. Un secolo di successi. Iniziamo questo nuovo secolo, finalmente, il 25 aprile.
(Traduzione di Simone Zoppellaro)
Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!