La società civile armena continua a dimostrare una grande vitalità, ora diretta contro i progetti di riforma costituzionale. La storia del movimento di protesta “Voch”
Non si ferma l’onda lunga delle proteste in Armenia. Dopo Electric Yerevan, che aveva dato luogo a una mobilitazione senza precedenti quest’estate – infiammando le vie del centro cittadino e attirando l’attenzione dei grandi media internazionali – ora a tenere banco è un movimento di protesta contro la riforma costituzionale.
Niente di altrettanto dirompente, certo, ma si tratta pur sempre di un sintomo da non sottovalutare per una società civile, quella armena, che si dimostra sempre più combattiva. Un movimento che ha radici precedenti a Electric Yerevan, e la cui vitalità sembra passare intatta da una battaglia all’altra, riuscendo a coinvolgere e mobilitare giovani e meno giovani. Un impegno politico forte e per lo più spontaneo, ma che stenta a trovare un inquadramento politico definito o forme organizzative stabili: il che rappresenta, forse, il suo limite più evidente. C’è molta improvvisazione, a Yerevan, accompagnata da tanta passione.
Voch
Ultimo in ordine cronologico è il movimento di protesta denominato “Voch”, che in lingua armena significa “No”. Un fronte che si leva in opposizione a una riforma costituzionale che molti ritengono vada in direzione di una deriva autoritaria del paese. Molte le manifestazioni di piazza già svolte, e tutto fa pensare che non sia finita qui.
L’Armenia è stata, fra le repubbliche nate in concomitanza con la fine dell’URSS, una di quelle che è meglio riuscita a tenere lontani gli spettri dell’autoritarismo. Eppure, dopo i successi dei primi anni dell’indipendenza, una classe di oligarchi è cresciuta anche all’ombra dell’Ararat, sfruttando fra l’altro l’isolamento dovuto alla doppia frontiera chiusa con Azerbaijan e Turchia e al conflitto per il Nagorno-Karabakh. Una classe che a suon di monopoli e sopraffazioni ha stritolato l’economia del paese, e piegato ai suoi interessi la politica. E proprio contro gli oligarchi, in primis, si era mossa Electric Yerevan.
Ora, molti interpretano la nuova riforma costituzionale come un tentativo, da parte del Partito Repubblicano al governo, di consolidare il proprio potere ai danni dell’opposizione, sempre più divisa e debole. Si tratterebbe, in breve, di passare da un sistema semipresidenziale a una repubblica parlamentare, dove il presidente diventerebbe una figura solo rappresentativa e il potere effettivo spetterebbe invece al premier, che sarebbe però eletto dalla maggioranza parlamentare e non dai cittadini. Inoltre, a destar scalpore è un emendamento che prevede la possibilità di una seconda votazione – dove a competere sarebbero solo i due maggiori partiti o coalizioni – volta a produrre una maggioranza assoluta in parlamento qualora questa non risulti dal primo turno.
“La bozza costituzionale implica il rischio sostanziale che il paese scivoli di fatto in un sistema monopartitico”, ha affermato l’ex presidente Robert Kocharyan sul suo sito. Ciò che temono in molti, in effetti, è che l’attuale presidente Serzh Sargsyan – il cui mandato scade nel 2018 – voglia usare la riforma per perpetuare ad libitum il proprio potere nel paese. Oggi presidente, domani premier con un ampio supporto parlamentare garantito dalla costituzione, con un'egemonia a cui sarebbe a quel punto difficile porre freno. La riforma, approvata dal parlamento il 5 ottobre, dovrà essere ratificata con un referendum che avrà luogo il 6 dicembre prossimo. Molti, in Armenia, si dicono pronti a dare battaglia.
Il pestaggio di Smbat Hakobyan
E proprio in una manifestazione antigovernativa ha avuto luogo un episodio che ha scosso profondamente l’opinione pubblica armena: il pestaggio dell’attivista politico Smbat Hakobyan. L’uomo – 53 anni, veterano della guerra per il Nagorno-Karabakh – è stato picchiato selvaggiamente il 21 settembre, giorno dell’indipendenza in Armenia.
Membro dell’Associazione dei Liberi Combattenti, gruppo di reduci fortemente critico nei confronti del governo, Hakobyan ritornava da una dimostrazione che si era tenuta nei pressi della sede del Partito Repubblicano, quando è stato avvicinato da alcuni uomini, portato in una zona appartata e picchiato a sangue. Il pestaggio, particolarmente violento, gli è costato fra l’altro la frattura di diverse costole e una conseguente contusione a un polmone. Ora, secondo quanto afferma la stessa vittima, uno dei suoi “sei o sette assalitori” sarebbe un certo Tigran, guardia del corpo dell’oligarca Ruben Hayrapetyan. Questi, presidente della Federazione calcistica armena e uomo vicino al governo, nega però le accuse del veterano, che non esita a definire come un “noto bugiardo”. Stando alla versione di Hakobyan, all’origine dell’accaduto sarebbe un diverbio avvenuto all’epoca della protesta di Electric Yerevan.
Come un fiume carsico che scompare all’improvviso nelle viscere della terra e ritorna alla luce di quando in quando, un’inquietudine profonda continua a segnare la società civile armena in questi mesi. In concomitanza con la protesta contro la riforma della costituzione, c’è stato anche un ultimo tentativo di rivitalizzare Electric Yerevan. Approfittando della riapertura delle università dopo il periodo estivo, si è assistito a un ultimo sussulto nella notte fra l’11 e il 12 settembre. Alcune centinaia di persone sono riuscite, per l’ultima volta, a bloccare la centralissima via Baghramyan, sede del parlamento, della residenza del presidente e di numerose ambasciate.
Proteste spontanee
La manifestazione ha mostrato però tutti i limiti di una protesta spontanea e priva di coordinamento. Efficace, invece, la risposta delle forze dell’ordine, che hanno gestito nel migliore dei modi l’occupazione di quest’arteria cittadina. Nonostante lo sgombero – avvenuto nelle primissime ore del mattino – non si sono ripetuti gli episodi di violenza che avevano contraddistinto l’azione del 23 giugno.
Se è presto per dire se manifestazioni del genere porteranno i frutti sperati – ovvero un cambio di direzione nella politica armena – è tuttavia importante rilevare come l’impegno di questi mesi abbia già dato alcuni risultati tangibili. Il più importante è forse quello di esser riusciti in parte a scrollarsi di dosso il torpore sovietico che ha continuato a imperversare per anni nel paese dopo la caduta dell’URSS. C’è – almeno per una parte dei giovani – una nuova voglia di mettersi in gioco e credere nel futuro del paese. Il che, in un’Armenia in cui la demografia è un’emergenza nazionale, non è cosa da trascurare.
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