Nella provincia di Syunik - © gumbao/Shutterstock

Nella provincia di Syunik - © gumbao/Shutterstock

La popolazione azera dell'Armenia è gradualmente scomparsa nel corso del XX secolo: non sono però finite le rivendicazioni di Baku e degli esuli, che sognano di tornare in quello che chiamano "Azerbaijan occidentale". Seconda parte del nostro dossier

09/07/2024 -  Marilisa Lorusso

Nell’Armenia indipendente la percentuale di azeri è dello 0%. La comunità “tatara” che viveva nei khanati di Yerevan e del Karabakh si era già assottigliata nel periodo imperiale russo, ma è stata la dissoluzione sovietica e l’emergere degli stati nazionali con le relative guerre e ambizioni territoriali a segnare la scomparsa dell’intera comunità.

Gli azeri figurano al 9% della popolazione dell’Armenia nel 1926, al 10% nel 1939, per poi declinare intorno al 5 o 6% nel 1979 . La comunità risultava ridotta al 2,6% nell’ultimo censimento sovietico del 1989, fino ad appunto allo 0% attuale.

I pochissimi azeri o persone di origine azera rimaste in Armenia sono membri di coppie miste o frutto di coppie miste. Tendenzialmente hanno adottato un cognome armeno, e.g. quello materno, e mantenuto un profilo basso. Anche i toponimi sono stati armenizzati e – progressivamente - la memoria delle comunità scomparse è stata rimossa dalla mappa dei luoghi, insieme alle memorie fisiche quali monumenti, moschee ecc.

Oltre l’invalicabile confine, in Azerbaijan, la nutrita comunità degli esuli “azeri d’Armenia” – stimata di più di 150mila persone (erano 161mila gli azeri in Armenia nel 1979 ) si è oggi organizzata. Gli stessi esuli si riferivano all’Armenia come all’”Azerbaijan occidentale”. Dall’inizio degli anni 2000 la definizione si è diffusa, insieme alla tendenza a reintrodurre nelle mappe prodotte in Azerbaijan i toponimi azeri.

Dal 2005 esiste l’associazione “Ritorno nell’Azerbaijan Occidentale”, nata per sostenere la creazione di una repubblica autonoma nel territorio armeno e con un governo in esilio.

Un programma politico

Dopo la seconda guerra del Nagorno Karabakh la stessa presidenza azera ha adottato e incoraggia l’idea che larga parte dell’Armenia non esista, che sia Azerbaijan. Quindi gli azeri rivendicano il diritto di rientrare (o re-impossessarsi) di quelle che ritengono proprie terre ancestrali.

Il governo azero ha cominciato con maggiore insistenza a diffondere pubblicazioni e video che ritraggono l'Armenia moderna come Azerbaijan occidentale. Già un catalogo del 2007 del ministero della cultura e del turismo ha presentato una mappa che etichetta la Repubblica di Armenia attuale come antica terra “turco-oghuz—Azerbaijan occidentale ”. Nel 2018 il governo ha iniziato a promuovere attivamente l'idea di Yerevan, capitale dell'Armenia, come centro abitato di origini azere .

Il 24 dicembre 2022 il presidente azero Ilham Aliev ha incontrato un gruppo di intellettuali del cosiddetto Azerbaijan occidentale. In questa occasione ha tenuto un discorso manifesto della visione di Baku:

"L'Azerbaijan occidentale è la nostra terra storica, […] Purtroppo, come hanno fatto in Nagorno Karabakh, gli armeni hanno raso al suolo tutti i nostri monumenti storici e religiosi [..]. Volevano cancellare il patrimonio storico del popolo azero ma non ci sono riusciti. […]”, ha dichiarato Aliev.

Per il presidente azero, nel 1918 la neonata Repubblica Democratica dell’Azerbaijan avrebbe consegnato “la nostra città storica, Iravan [İrəvan], all'Armenia”. Una decisione che ha definito “imperdonabile”, seguita da altre decisioni punitive nei confronti dell’Azerbaijan prese da nuovo potere sovietico, che hanno assegnato la provincia di Zangezur [Syunik] all’Armenia.

Altre ingiustizie territoriali sarebbero seguite negli anni ‘80 del secolo scorso: “Gli azeri furono deportati dalle loro terre storiche nell'Azerbaijan occidentale. Sappiamo tutti e ricordiamo bene quella storia. Conosciamo anche il numero di luoghi in cui vivevano gli azero – più di 170 villaggi erano abitati esclusivamente dagli azeri.”.

Dalle parole alle violazioni di cessate il fuoco

Dalle parole ai fatti: con la presa del Nagorno Karabakh e delle regioni limitrofe le zone economiche dell’Azerbaijan sono state riorganizzate in 14 regioni economiche. Le aree riconquistate sono definite del Karabakh e del Zangezur orientale, che presuppone che la regione armena di Syunik sia il Zangezur azero occidentale.

Ovviamente questo causa le obiezioni dell’Armenia, nonché i suoi allarmi sulle rivendicazioni territoriali dell’Azerbaijan. Obiezioni che non scalfiscono la retorica di stato, come dimostrano le parole di Aliev nel pieno della campagna per le presidenziali 2024 in una intervista che ha causato mal di testa in numerose cancellerie.

“Dopo la sovietizzazione nell’aprile 1920, nel novembre successivo, il governo sovietico ha preso la parte più grande del Zangezur occidentale dall’Azerbaijan e l’ha consegnata all’Armenia. […] C’è una mappa della Repubblica Popolare dell’Azerbaijan e su di essa c'è il Zangezur - non orientale o occidentale, tutto il Zangezur era territorio dell’Azerbaijan […] L’ultima cessione di terre del genere è stata fatta nel maggio 1969. A quel tempo, le nostre terre furono date all'Armenia in parti, e da un'area di circa 100.000 chilometri quadrati - sto parlando del territorio della Repubblica Popolare dell’Azerbaijan - scese a 86.600 chilometri quadrati.”

Dopo le parole di Aliev, nel gennaio 2023, il portavoce della Comunità dell'Azerbaijan Occidentale, Ülviyyə Zülfiqar, ha dichiarato che la Comunità aveva condotto un censimento della popolazione per più di 150 dei 300 insediamenti in cui vivevano gli azeri. Il censimento si concentrava principalmente su coloro che sono stati espulsi tra il 1988 e il 1991. La maggior parte era ancora viva e in possesso di documenti di identità, compresi documenti che confermavano la proprietà di beni nella Repubblica Socialista Sovietica Armena .

Le violazioni di cessate il fuoco denunciate dall’Azerbaijan nel giugno del 2024 (e smentite dall’Armenia) si concentrano proprio in questa area, chiaramente oggetto di rivendicazioni, strutturate e minacciose nei confronti del processo di pace.


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