In un contesto in cui la conflittualità tra armeni e azeri rimane alta ed è costantemente sostenuta da autorità e stampa, i social media sono uno dei pochi spazi di contatto tra i giovani dei due paesi. Uno strumento ormai indispensabile, ma non privo di rischi
Sono passati quasi 19 anni dal “cessate il fuoco” del maggio 1994 e il conflitto fra Armenia e Azerbaijan per il territorio conteso del Nagorno Karabakh rimane sospeso, ma gli analisti guardano sempre con allarme alla situazione sulla linea di contatto. La guerra dei primi anni Novanta ha causato oltre 20.000 vittime e un milione di sfollati. Le scaramucce al fronte e gli attacchi dei cecchini sono quasi all'ordine del giorno: l'Economist ha recentemente stimato il numero dei morti dopo l'armistizio a oltre 3.000. Significativamente, le nuove generazioni sono cresciute senza ricordare un tempo in cui armeni e azeri vivevano in pace fianco a fianco.
Date le preoccupazioni per una nuova possibile guerra e l'insuccesso dei tentativi di mediazione promossi dall'OSCE, la retorica militarista continua a dominare la scena politica in entrambi i paesi, specialmente in relazione alle elezioni presidenziali di quest'anno in Armenia e Azerbaijan. I media, come segnalato dal rapporto 2008 del CRRC (Caucasus Research Resource Centre), fanno la loro parte: "Senza informazioni più precise e imparziali [...] prive di retorica e stereotipi negativi, armeni e azeri continueranno a vedersi reciprocamente come nemici senza alcun terreno comune."
Anche da recenti statistiche, sempre del CRRC, evidenziano ulteriormente il problema. Secondo un'indagine del 2009, il 70% degli armeni e il 97% degli azeri intervistati ha dichiarato di essere contrario a stringere amicizie con l'altro popolo. "In passato ho lavorato con israeliani e palestinesi", spiegava nel 2009 Elizabeth Metraux , direttrice di un programma del Dipartimento di Stato USA finalizzato a creare occasioni di incontro fra adolescenti armeni e azeri. "Ci sono stati momenti in cui tutto diventava esplosivo, momenti in cui ho pensato di aver sottovalutato l'intensità del conflitto".
Il progetto, realizzato all'interno di Project Harmony, è stato uno dei primi ad utilizzare anche la rete, e in particolare i blog. Considerati i possibili rischi connessi all'essere visti socializzare con l'altra parte nel conflitto, i ragazzi hanno scelto di non usare Facebook per rimanere in contatto una volta tornati a casa, cosa non sorprendente data l'intensità delle guerre d'informazione condotte online e il controllo da parte dei servizi di sicurezza. Lo stesso anno, ad esempio, gli attivisti online azeri Adnan Hajizade e Emin Milli sono stati arrestati per aver criticato il proprio governo.
"Il KGB vuole che tu ti iscriva a Facebook. Ciò permette di saperne di più su di te da lontano", ha dichiarato a Radio Free Europe/Radio Liberty (RFE/RL) Evgeny Morozov, autore di The Net Delusion: The Dark Side of Internet Freedom, nel 2011. Per i governi Internet sarebbe uno strumento altrettanto importante per la sorveglianza di massa e la repressione politica, e così per la propaganda nazionalista. "Non c'è bisogno di [...] interrogarti, e ovviamente ti scopri abbastanza. Così loro possono individuare tendenze sociali e connessioni tra gli attivisti". Ma se per alcuni è impensabile usare i social network per stabilire contatti, altri lo fanno nonostante i rischi intrinseci.
Il primo marzo 2011, il portale news azero Qaynar.Info ha pubblicato i nomi di attivisti e giornalisti di spicco del paese che avevano "amici" armeni su Facebook, nel tentativo di screditarli e mettere in guardia i cittadini dal “pericolo” social network. “Può succedere che agenti segreti utilizzino i social network per indurre la gente a collaborare", ha dichiarato un deputato, suggerendo la necessità di legiferare contro questa minaccia. "Secondo me, non si può escludere che i servizi segreti di vari paesi possano indurre alla cooperazione i cittadini azeri attraverso i social network". Nonostante la pubblicità negativa, tuttavia, centinaia di armeni e azeri hanno continuato a utilizzare Facebook e, in misura minore, Twitter per entrare in contatto e comunicare online.
Tuttavia, osserva Ethan Zuckerman , cofondatore di Global Voices e direttore del MIT Center for Civic Media, questo potrebbe portare a ciò che definisce “cosmopolitismo immaginario”. L'idea è condivisa dalla giornalista armeno-americana Liana Aghajanian, che ad Osservatorio ha dichiarato: "I social media permettono di connettersi a persone che condividono il nostro modo di pensare e ricambiano il nostro interesse, mentre di persona dovremmo cercare di capire la loro disposizione d'animo verso di noi”.
Tuttavia, aggiunge, i social media possono svolgere un ruolo importante nel preparare il terreno per la pace, come nota anche Yelena Osipova, studentessa armena all'estero: "i social media sono potenzialmente un grande strumento nelle fasi iniziali di risoluzione dei conflitti. Aiutano a stabilire e mantenere contatti personali, ma con una distanza che può contribuire a mitigare la potenziale ostilità e facilitare conversazioni più civili. Altrettanto importante è il fatto che i social media possono contribuire a dare un volto ad un 'nemico' la cui immagine è stata costruita e impiantata nella mente delle persone".
Osipova rileva inoltre il pericolo, insito nei social media, che i nazionalisti di entrambe le parti possano tentare di dirottare la comunicazione o intimidire e minacciare gli utenti. Altri sono cauti, come Nigar Hajizade, cittadina azera che vive in Turchia: "Io sostengo e apprezzo gli sforzi per la pace che nascono o sono sostenuti dai social network, ma non sono molto ottimista sul loro impatto complessivo, vista la forza di tutte le contro-iniziative che vengono dalle stesse istituzioni statali, dai gruppi di pressione e dai media".
"Se si guarda al ruolo della diplomazia pubblica e della comunicazione nella risoluzione dei conflitti, non è più possibile ignorare la rete", ha dichiarato ad Osservatorio Sarah Crozier, rappresentante per la stampa e per l'infromazione pubblica del segretariato OSCE. "Quando un numero sempre maggiore di persone può far sentire la propria voce online e diffondere rapidamente tanto informazione quanto disinformazione, è importante che coloro che sono coinvolti nella prevenzione e nella risoluzione dei conflitti, nonché nella ricostruzione post-conflitto, vadano oltre le formule su 'diplomazia elettronica' e 'rivoluzioni Twitter' verso una chiara comprensione delle reali potenzialità della comunicazione online in questo settore".
Nel frattempo, mentre la rete rimane l'unico terreno d'incontro per armeni e azeri di buona volontà, Hajizade conclude con una nota ottimista: “sempre meglio due amici in più che due nemici in più".
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