Un neonato sottratto con l'inganno alla madre, in ospedale, e poi venduto ad una famiglia italiana. Fa parte dei molti bimbi coinvolti in Armenia in una rete di adozioni illegali
Gayane [il nome non è quello reale] abita in una delle principali città dell'Armenia. Da 8 anni convive con un grande dolore, da quando ha rinunciato al suo bambino.
"Mi sono sposata giovane, così giovane che non avevo idea di cosa fosse una famiglia, di cosa fosse un matrimonio... Sono stata catapultata nella vita familiare quando ho scoperto di essere incinta. Ho avuto una gravidanza piuttosto difficile, sono stata a lungo sotto controllo dei medici. Sono stata sottoposta a vari esami, durante i quali però mi è stato detto che il feto non era in pericolo. Poi, quando il mio bambino è nato, il medico è venuto a dirmi che i test iniziali avevano dato risultati sbagliati e che il mio neonato aveva gravi problemi di salute", racconta la donna.
In ospedale Gayane non è stata solo informata del difetto di salute congenito del bambino. Il medico che la seguiva le ha parlato delle difficoltà che l'attendevano e le ha suggerito di rinunciare al bambino.
"I medici mi hanno spiegato che ero ancora giovane, che potevo ancora diventare madre. Mi hanno anche spiegato che rinunciare al bambino sarebbe stato vantaggioso soprattutto per lui, perché avrebbe vissuto in un centro specializzato. Ogni giorno avrebbe avuto bisogno di cure speciali che potevano essergli prestate solo dagli specialisti che lavoravano nel centro. Prima hanno parlato con me, poi con mio marito. Ci abbiamo riflettuto a lungo, è stato molto difficile, alla fine abbiamo rinunciato al nostro primogenito... Venne portato in un centro di assistenza speciale. Ero troppo giovane, non capivo cosa stavo facendo...".
Secondo quanto riferito da Gayane, il bambino è rimasto nel centro per un periodo molto breve, poi è stato adottato e non ne ha saputo più nulla.
"Anche se avevamo rinunciato al nostro bambino, avevo un conoscente attraverso il quale ho avuto alcune informazioni sul mio bambino, dopo tutto, sono una madre. Poi il mio conoscente mi ha informata che era stato adottato e basta, il mio bimbo è come scomparso nel nulla․․․․ Sono stata informata solo più tardi che era stato portato fuori dal paese. Non so cosa sia successo dopo...".
Il pensiero su cosa ne sia stato del suo bambino continua a turbare Gayane: sebbene sia diventata madre per la seconda volta, pensa costantemente al suo primogenito e prega per la sua sopravvivenza.
"Quando ho partorito il mio bambino, mi è stato detto che aveva diversi problemi, tra cui una malattia cardiaca, e che avrebbe potuto non vivere a lungo. Poi, quando si è scoperto che era stato adottato e portato fuori dal paese, ho iniziato a pensare che il mio bambino fosse completamente sano. Che mi avevano ingannata, approfittando della mia depressione postnatale. I miei sospetti si sono aggravati quando ho appreso dalla televisione che in Armenia operava un gruppo criminale che si occupava della vendita di bambini".
Nel 2019 i Servizi di sicurezza nazionale dell’Armenia hanno reso noto che nel paese era in corso da anni un sistema di adozioni illegali e che bambini armeni venivano portati all'estero con la collaborazione di vari funzionari locali. Il caso è stato oggetto di indagini per circa 3 anni e oggi molte cose sono più chiare.
Recentemente gli inquirenti hanno annunciato che sono state completate indagini preliminari su 11 imputati, accusati di abuso d’ufficio nel processo di adozione di minori, figli di cittadini armeni, da parte di persone di nazionalità straniera; di compravendita di bambini e di riciclaggio di denaro nel periodo 2015-2018.
È stato scoperto e comprovato che per vendere i bambini, affidandoli a cittadini stranieri, una residente della città di Yerevan, che ha lavorato per molti anni in una serie di aziende italiane impegnate nel campo delle adozioni ed era la rappresentante armena di tali società, aveva creato un gruppo criminale organizzato, che comprendeva persone che lavorano in vari settori e in varie strutture statali.
Dal novembre 2015 è documentato che denaro proveniente da società accreditate in un paese straniero e impegnate in adozioni all'estero, da loro dipendenti, nonché da persone che avevano presentato domanda di adozione, è stato trasferito a questa residente di Yerevan.
Le organizzazioni coinvolte hanno negli anni ampliato le proprie attività in diversi paesi dell'Europa e dell'Asia e pubblicavano informazioni sul loro sito web, indicando anche i cosiddetti "costi" stabiliti per le adozioni che variavano da paese a paese: le tariffe più alte riguardavano bambini cittadini della Repubblica di Armenia, per un ammontare di 15.000 - 25.000 euro.
Gli italiani che desideravano adottare bambini di nazionalità armena si rivolgevano agli enti citati, specificavano il sesso preferito del bambino e altre caratteristiche, quindi compilavano e presentavano la domanda e altri documenti necessari, pagavano le quote previste, dopodiché la persona citata, insieme ai suoi complici, si occupava del processo di adozione. In totale in questi anni sono stati versati sui conti dell’imputata 1.200.000 euro.
Tutto questo è stato possibile solo grazie alla catena di complici che hanno svolto un ruolo attivo nelle attività criminali, che lavoravano sia in enti statali che svolgono determinate funzioni nel campo delle adozioni, sia da dipendenti di un istituto medico che svolgono attività nel campo della maternità: relazioni amichevoli e strette che rendevano il processo di adozione possibile.
Ora, concluse le indagini, la procura ha chiesto il rinvio a giudizio. Le persone coinvolte come imputati nel procedimento penale e che hanno ricoperto alte cariche governative durante le attività del gruppo non ricoprono più le loro posizioni.
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