Dopo trentadue anni lo scorso 31 luglio armeni e russi hanno firmato un protocollo per porre fine alla presenza delle guardie di frontiera russe all’aeroporto internazionale Zvartnots di Yerevan. Non è il ritiro di Mosca dall'Armenia ma il fatto ha un valore simbolico
Nel corso di una cerimonia tenutasi lo scorso 31 luglio, Roman Golubitsky, capo dell’ufficio armeno dei servizi di sicurezza russi (FSB), ed Edgar Hunanyan, comandante del corpo delle guardie di frontiera dei servizi di sicurezza armeni (NSS), hanno firmato un protocollo per porre fine alla presenza – protrattasi per trentadue anni – delle guardie di frontiera russe all’aeroporto internazionale Zvartnots di Yerevan.
A sostituire le forze russe, a partire dallo scorso primo agosto, è la polizia di frontiera armena che negli ultimi decenni ha collaborato strettamente con la controparte russa.
La decisione di ritirare le guardie di frontiera russe dall’aeroporto di Yerevan è stata presa a maggio nel corso di un incontro tra il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente russo Vladimir Putin.
Pashinyan ha chiesto anche il ritiro delle forze di Mosca dal confine tra Armenia e Azerbaijan, dove gli agenti russi erano stati dispiegati, sempre su richiesta di Yerevan, dopo la guerra dei 44 giorni del 2020.
Il premier armeno ha sottolineato che la richiesta di allontanare le forze russe dall’aeroporto di Yerevan e dal confine con Azerbaijan non è per nulla motivata da ragioni geopolitiche.
Quest’affermazione sembra però essere smentita da James O’Brien, sottosegretario di Stato degli Stati Uniti per gli affari europei ed eurasiatici.
Intervenendo ad una seduta del Comitato per le relazioni estere del Senato americano, tenutasi il giorno prima della firma del protocollo a Yerevan, O’Brien ha dichiarato che la decisione di chiedere il ritiro delle forze russe dall’Armenia rappresenta “un passo coraggioso” verso una rottura con Mosca.
“Diverse migliaia […] di agenti del FSB sono stati invitati ad andarsene e questo è significativo per vari motivi”, ha affermato O’Brien.
“In parte perché presidiano il confine ad un aeroporto internazionale ed è lì che avvengono alcune operazioni di contrabbando per aggirare le sanzioni”, ha precisato il sottosegretario statunitense facendo un chiaro riferimento alla riesportazione di beni sanzionati verso la Russia. Non è chiaro però a quali dati si riferisse parlando del numero di agenti russi che dovrebbero partire.
Interpellati dai media locali sul numero di guardie di frontiera del FSB dispiegate all’aeroporto di Yerevan, i servizi di sicurezza armeni (NSS) non hanno voluto rispondere, affermando che si tratta di un “segreto di stato”.
Secondo i media, in occasione della cerimonia dello scorso 31 luglio all’aeroporto erano presenti solo “due dozzine” di agenti del FSB. Il NSS non ha precisato nemmeno se gli agenti russi ritirati dall’aeroporto dovrebbero lasciare anche l’Armenia.
I servizi armeni hanno invece citato un accordo interstatale del 1992 sulla presenza delle guardie di frontiera russe lungo il confine armeno-turco e quello armeno-iraniano. La permanenza degli agenti russi a questi confini è stata confermata a maggio da Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino. Incalzato dai media, Peskov ha precisato che Pashinyan non aveva mai chiesto il ritiro delle forze russe dai confini con Turchia e Iran. A differenza della decisione di dispiegare le guardie di frontiera russe a Zvartnots, basata su un accordo verbale, lo schieramento dei russi lungo i confini dell’Armenia con Turchia e Iran è fondato su accordi formali.
Ad ogni modo, il ritiro delle forze russe da Yerevan assume una valenza simbolica, pur non avendo, almeno non ancora, effetti di così vasta portata come sostiene O’Brien. Oltre alla permanenza del FSB su due delle quattro frontiere esterne dell’Armenia, Mosca controlla una base militare a Gyumri, la seconda città più grande del paese, che dovrebbe rimanere operativa fino al 2044.
Se molti hanno accolto con favore la decisione di ritirare il FSB dall’aeroporto di Yerevan, l’opposizione ritiene che il ritiro sia conseguenza di pressioni da parte dei funzionari dell’UE e degli USA per garantire che i rispettivi servizi segreti in arrivo e in partenza da Zvartnots non vengano intercettati da Mosca, come accaduto in passato. Il ritiro del FSB permette a Yerevan di attuare con maggiore efficacia le sanzioni occidentali contro la Russia, soddisfacendo così le aspettative, sempre più pressanti, di Bruxelles e Washington.
Gli alleati di Pashinyan esultano, avvertendo però che finché gli agenti russi rimarranno al confine tra Armenia e Iran, Mosca continuerà ad avere accesso, totale o parziale, al database armeno sulle persone in arrivo e in uscita dal paese. Non è ancora chiaro come questa lacuna – su cui la società civile mette in guardia dal 2015 – possa essere colmata.
La tempistica di un eventuale ritiro delle forze russe dai confini terrestri dell’Armenia con Turchia e Iran resta un’incognita, data la natura degli accordi. Nel frattempo, Pashinyan ha dichiarato di voler uscire anche dall’Organizzazione per il trattato di sicurezza collettiva (CSTO), capeggiata da Mosca. Per molti si tratta di affermazioni meramente declaratorie e il premier armeno rifiuta di specificare quando possa avvenire l’uscita di Yerevan dalla CSTO.
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