Dopo 10 anni di violenza, bombardamenti, attacchi terroristici, l'incendio in Siria sembra placato ma la sofferenza umana causata non è ancora finita. Milioni di persone vivono come rifugiati. Alcune di queste, nonostante abbiano perso tutto, sognano di tornare in Siria, altre hanno deciso di radicarsi altrove
Una nuova vita in Armenia
Raffi e Yoland Rshtunis sono di origine armena, ma sono nati e cresciuti in Siria. La coppia, abituata a recarsi in Armenia da turista, si è trovata a tornarvi nel 2012, per salvare la propria vita: in fuga dalla guerra siriana, iniziata nel 2011. Il 15 marzo di quell'anno, i siriani sono scesi in piazza chiedendo democrazia e libertà, ma invece hanno ottenuto una guerra e un paese sepolto dalle rovine. Manifestazioni pacifiche nel giro di pochi mesi si sono trasformate in un conflitto armato, lasciando centinaia di migliaia di persone nella disperazione.
"Quando è scoppiata la guerra in Siria, nostra figlia è andata a scuola, aveva 17 anni. E la scuola è stata bombardata. Abbiamo allora deciso che dovevamo andarcene. In Armenia, per persone come noi, rifugiati dalla Siria, gli studi universitari sono gratuiti. Così i nostri figli hanno ottenuto la loro istruzione superiore qui", racconta Raffi.
Ad Aleppo, Raffi era proprietario di una fabbrica di materie plastiche. La fabbrica è andata completamente distrutta nei bombardamenti e tutto ciò che era nei magazzini è stato saccheggiato. E poi ad Aleppo è rimasta loro la casa. “Valeva 500.000 dollari ma ora, se decidessimo di vendere, non potremmo ottenerne che 150 mila dollari”, stima Raffi.
"La nostra casa in Siria era a soli 9 km dall'aeroporto. Ma ci volevano ore per arrivarci. Il giorno in cui siamo partiti c'è stato un bombardamento. Pensavo che avremmo perso l'aereo. Ma ce l'abbiamo fatta. Non dimenticherò mai l’atterraggio a Yerevan. Quando siamo andati nella sala dell'aeroporto, i giornalisti ci aspettavano con dei fiori e un cartello con scritto "Benvenuti a casa". In quel momento abbiamo capito che eravamo a casa, eravamo salvi", racconta Yoland.
"Durante il genocidio del 1915, la nostra famiglia è sopravvissuta e si è stabilita in Siria. Io sono figlio di una famiglia di rifugiati: poi sono diventato io stesso un rifugiato", riflette Raffi.
La coppia ha vissuto in Armenia per un anno con visto turistico. Pensavano di poter rientrare a breve in Siria. Quando si sono resi conto che i loro piani erano lontani dalla realtà, hanno deciso di restare in Armenia.
Nel 2014, Yoland ha preso lezioni di cucina e ora è una pasticcera molto richiesta. Anche suo marito la aiuta a fare gli stampi da pasticceria. Dicono che gli affari di famiglia vanno a gonfie vele. Si sono rimessi in piedi grazie ad aiuti statali, di privati ed internazionali. E a loro volta hanno aiutato altri rifugiati come loro: Yoland ha creato un'organizzazione non governativa con questo scopo.
"In totale, circa 12mila persone sono arrivate in Armenia dalla Siria. Tuttavia, la maggior parte di loro si è poi trasferita in altri paesi, in Europa o negli Stati Uniti. Oggi ci sono circa 5.000 rifugiati originari della Siria in Armenia. Il destino della nostra famiglia è ora al sicuro ma vi sono persone ancora oppresse dalle conseguenze della guerra", dice Yoland.
Nuova guerra, nuovo dolore
"Era il 2015 quando ho lasciato Aleppo. La guerra mi aveva logorato. Sono venuto in Armenia, ma ci sono rimasto per poco tempo, poi mi sono trasferito in Artsakh, Nagorno Karabakh. Lo stato mi ha aiutato. Ho ottenuto una casa, un terreno... A poco a poco mi sono rimesso in piedi. Ero soddisfatto e felice. Sono un sopravvissuto", dice il mio interlocutore, un uomo di mezza età che non ha voluto divulgare le sue informazioni personali. Dice che non vuole che quelli che lo conoscono sappiano che ora è un "senzatetto".
Il mio interlocutore racconta di aver avuto una propria casa ad Aleppo e un studio d’arte. Viveva una vita tranquilla, sognando di mettere su famiglia. "Il mio sogno in Siria è rimasto irrealizzato. Ero stato in Armenia solo come turista, non ero mai stato nell’Artsakh, non ne sapevo molto. Quando sono arrivato nell’Artsakh fuggendo dal conflitto ho vissuto assieme alla gente del posto, mi sono innamorato di questo paese e della gente. Sono stato accolto molto calorosamente. E ho deciso che avrei creato la mia famiglia qui, i miei figli sarebbero cresciuti in questa terra".
Tuttavia, il 27 settembre 2020, il suo sogno è andato a pezzi. Nuovamente. Quel giorno scoppiò una guerra tra Nagorno Karabakh e Azerbaijan. Durò 44 giorni.
"Quel giorno ero a Yerevan, ospite. Alle 7 e 10 del mattino ho ricevuto la prima notizia che l'Azerbaijan aveva lanciato un attacco aereo e missilistico. Sono tornato velocemente indietro. Ho capito già sul posto che non si trattava di un combattimento di uno o due giorni, ma di una guerra su larga scala... Sai che la guerra puzza? L'odore che ho sentito in Siria aveva appena lasciato il mio corpo quando ho ricominciato a respirarlo...".
Il mio interlocutore non solo ha sentito di nuovo l'odore della guerra, ma ha anche sperimentato di nuovo il dolore della perdita. "I miei amici sono morti..."
Non vuole e non riesce a parlare di questo argomento. La ferita è ancora aperta.
Ha perso anche la sua casa, che si trovava in uno dei villaggi finiti, dopo il conflitto, sotto il controllo dell'Azerbaijan. Nonostante tutto, però, non ha lasciato il Nagorno Karabakh, Si è stabilito temporaneamente in uno dei distretti ancora sotto controllo armeno, a Martakert. Dice che è difficile, ma è sicuro che si rimetterà in piedi, costruirà una casa e riuscirà a crearsi una famiglia.
Ucraina: futuro sconosciuto
"Ho vissuto a Lviv da ragazzo. Ero uno studente lì. Sono stati tempi meravigliosi", ricorda il 52enne siriano Ahmad Abdou, che vive ora una sua seconda tappa di vita in Ucraina, questa volta nella capitale Kiev.
Se prima vi era venuto a studiare, ora è arrivato per vivervi. È un rifugiato. Ha lasciato la Siria nel 2013.
"C'era la guerra e io cercavo la pace. Sono venuto in Ucraina perché conoscevo il paese. Ho pensato che sarebbe stato più facile adattarsi e poi pensavo che fosse solo temporaneo, ma poi sono rimasto... In quel momento, quando sono partito, stavo abbandonando quello che avevo costruito per anni, una casa, una vita benestante, il lavoro…”.
Ahmad è ingegnere. Ha lavorato come tale per 17 anni ma attualmente è disoccupato.
"Non riesco a trovare un lavoro; al momento ho un problema di documenti. Il documento del servizio locale di migrazione non mi aiuta, non riesco a trovare un lavoro permanente e viaggiare è un problema".
Ahmad vive oggi in una casa in affitto. Comprare un appartamento sembra un sogno irraggiungibile. Di tanto in tanto pensa di tornare in Siria. Lo desidera molto ma ritiene che è ancora troppo presto, perché la vita in Siria è ancora in balia di troppe incertezze.
"Anche lì devo ricominciare da zero. Ho perso tutto quello che avevo. E ci sono molti problemi ora, l'economia è in crisi e ci sono molti conflitti locali ancora irrisolti".
Non ha idea del suo futuro, racconta di sentirsi in una fase in cui non riesce a essere certo nemmeno di cosa accadrà il giorno successivo. Con il passare degli anni sente che diventa sempre più difficile creare qualcosa di nuovo.
"Se andassi in Europa, penso che sarebbe più facile organizzare la mia vita. So che dopo aver vissuto in Germania per 8 anni, la questione della cittadinanza è risolta, ma in questo paese le regole sono diverse. Sono qui da 9 anni, ora penso solo ad ottenere la cittadinanza in modo da poterci rimettere in piedi. Non ho altri sogni, gli anni passano, la mia vita si consuma...".
In Siria, come risultato della guerra decennale, diverse città sono state ridotte in macerie; l'economia del paese è crollata. Circa 6,5 milioni di persone sono diventate rifugiati.
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