Un Mikoyan-Gurevich (MiG) 21PFM, dettaglio (Foto StefoF, Flickr)

Un Mikoyan-Gurevich (MiG) 21PFM, dettaglio (Foto StefoF, Flickr )

La decisione di edificare a Yerevan un monumento dedicato ad Anastas Mikoyan, il più noto leader armeno in epoca sovietica, provoca nel paese un dibattito sulle attuali relazioni con Mosca

28/05/2014 -  Simone Zoppellaro Yerevan

Le autorità municipali di Yerevan hanno deliberato il 30 aprile scorso di erigere nel centro della capitale una statua ad Anastas Mikoyan, unico armeno ad aver raggiunto i vertici della politica dell’URSS. Ne è nata nei giorni a seguire una polemica sulla stampa e nella società armena, la cui asprezza di toni denuncia come sia in gioco qualcosa di più di una semplice controversia sull’eredità sovietica nel paese. Il dibattito infatti non riguarda solo la storia, ma anche il presente e il futuro dell’Armenia, e in particolare il suo rapporto sempre più stretto con la Russia di Putin.

Chi era Mikoyan, e perché il progetto di un suo monumento desta tanto scalpore a Yerevan? Ministro del commercio durante l'epoca di Stalin, e in seguito vice-premier di Chruščev, Mikoyan fu uno dei pochi leader sovietici a mantenersi ai massimi livelli di potere dagli albori della rivoluzione d’ottobre fino all’epoca brežneviana, quando servì come presidente del Praesidium del Soviet Supremo dell'Unione Sovietica, prima di ritirarsi. Fratello dell’altrettanto celebre Artyom – ingegnere progettista e fondatore della Mikoyan-Gurevič (MiG), la casa produttrice russa di aeroplani militari tuttora in funzione – Anastas nacque nel villaggio armeno di Sanahin nel 1895, e morì a Mosca nel 1978. Qui riposa nel cimitero di Novodevičij, insieme ad altri grandi personaggi, da Prokofiev a Bulgakov, da Majakovskij a Stanislavskij.

Ciò che tuttavia in questi giorni si imputa a Mikoyan è soprattutto il ruolo avuto nelle purghe staliniane degli anni trenta nell’allora Repubblica Socialista Sovietica d’Armenia. In particolare, si cita un documento del settembre 1937, una lettera indirizzata a Stalin dal capo della polizia segreta sovietica, il famigerato NKVD, in cui si informa della richiesta di Mikoyan di liquidare altri 700 “nemici del popolo”.

Contro Mikoyan

Mikoyan con Stalin e Ordzhonikidze (1925, Wikipedia)

Mikoyan con Stalin e Ordzhonikidze (1925, Wikipedia)

Amatuni Virabyan, direttore degli Archivi di Stato armeni, condanna il progetto di monumento. Nei giorni scorsi ha dichiarato a Azatutyun, versione armena di Radio Free Europe/Radio Liberty, che ci sono diversi materiali che provano il coinvolgimento di Mikoyan nelle epurazioni: “Credo che non si debbano dedicare statue o nomi di strade a coloro che furono coinvolti nei fatti del ’37. Dobbiamo lasciarli perdere. Loro non ebbero scelta.”

Un’altra accusa ricorrente che viene rivolta a Mikoyan è quella di aver contribuito alla cessione dei territori a maggioranza armena del Nagorno-Karabakh all’Azerbaijan, negli anni venti del secolo scorso.

Altri commenti sono più sprezzanti. Nune Akhverdyan, sul quotidiano online Hetq, ha parlato di un monumento atto a immortalare l’impunità tanto di Mikoyan quanto delle autorità armene di oggi: “Un mandato scolpito nella pietra che, fra l'altro, sarà senza dubbio costruito secondo i dettami del realismo socialista, in quanto questo tipo d’arte monumentale rappresenta al meglio il percorso lastricato di vittime per raggiungere il vertice della piramide di potere”.

Il poeta Hovik Ara, invece, sulle pagine di Tert ha sottolineato come Mikoyan non perseguì mai politiche favorevoli agli armeni, indicando inoltre come sospetto il fatto che la decisione di erigere il monumento sia avvenuta proprio in concomitanza dell’adesione al progetto dell’Unione Economica Eurasiatica guidato dalla Russia, che l’Armenia si appresta a ratificare nelle prossime settimane.

Secondo tale interpretazione, la statua sarebbe un malcelato tentativo delle autorità armene di compiacere Mosca, proprio nel momento in cui la piccola repubblica caucasica sembra veder compromessa la sua indipendenza, nel progetto federale di Putin. Su questa linea anche Aram Abrahamyan sul quotidiano Arravot, che argomenta come Anastas Mikoyan non possa per molti aspetti essere considerato un personaggio storico armeno, per quanto lo stesso giornalista gli riconosca infine notevoli capacità diplomatiche.

E proprio il ruolo di mediazione svolto dal politico armeno nella crisi dei missili di Cuba, ai tempi di Chruščev e di Kennedy, è uno degli argomenti ricorrenti fra i sostenitori del monumento, sul cui destino si attende nei prossimi giorni una decisione definitiva. Così ad esempio il blogger Tigran Kocharyan, su ArmeniaNow.com, si dichiara sostanzialmente favorevole al progetto, che ricorda inoltre il valore globale del personaggio, e il suo ruolo nello sviluppo economico dell’URSS.

Una relazione difficile

Mikoyan con i leader cubani (Wikipedia)

Mikoyan con i leader cubani (Wikipedia)

Il sentimento anti-russo e anti-sovietico, diversamente da alcuni paesi dell’est Europa, è minoritario fra la popolazione armena. La polemica, ad esempio, non sfiora neppure il museo dedicato ai fratelli Mikoyan nella nativa Sanahin, o la statua dello stesso Anastas che si trova di fronte ad esso nel villaggio. Non mancano inoltre nel paese vie e persino città dedicate ad altri leader armeni sovietici, come Stepan Shahumyan o Karen Demirchyan.

Ciò che tuttavia sembra disturbare, in questo preciso momento storico, è una certa sudditanza percepita da molti armeni nei confronti della Russia. Il che, unito alla proverbiale mancanza russa di soft power – uno dei limiti più evidenti della politica di Putin – contribuisce a rendere sgradita un'iniziativa che, se posta in altri termini e tempi, avrebbe potuto essere considerata dai più, in Armenia, come naturale e conveniente.

A gettare benzina sul fuoco sono giunte nei giorni scorsi alcune dichiarazioni rilasciate al quotidiano Noev Kovčeg dall’ambasciatore russo Ivan Volynkin, che ha invocato un maggior coinvolgimento russo nel settore dell’informazione in Armenia, richiamando la necessità imprescindibile di “neutralizzare” le ONG che agiscono per inquinare i rapporti fra questa e la Russia. Alla reazione del ministero degli Esteri armeno, dai più considerata insufficiente, e ovviamente di molte ONG, che ne hanno chiesto a gran voce le dimissioni, è seguita una replica piuttosto secca dell’ambasciatore, un “non ho nulla di cui scusarmi”, rivelatrice di un certo atteggiamento psicologico della diplomazia russa.

In tutto questo l’Europa, dopo aver visto in pochi giorni sfumare tre anni di trattative per un accordo d’adesione con l’Armenia, con il viaggio lampo del presidente Sarkisyan in Russia del settembre scorso, non ha dato segno di voler o di poter reagire allo scacco subito. La recente visita del presidente francese François Hollande a Yerevan, priva di eventi di sorta, non fa che confermare l’ennesimo passo indietro di un’Europa forse timorosa – dopo l’Ucraina – di aprire un altro contenzioso con Mosca.

Il punto fondamentale, che è chiaro tanto al governo che all’opinione pubblica armena, è che il paese oggi come oggi non ha alcuna alternativa. Le crescenti tensioni con l’Azerbaijan per il Nagorno-Karabakh, le difficoltà economiche persistenti e la mancanza di una proposta affidabile da parte di Bruxelles, spesso lontana e incostante, avvicinano sempre più Yerevan a Mosca.


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