Valuta nazionale in caduta libera, inflazione in crescita e prime timide proteste. L'Azerbaijan si trova ad affrontare le contraddizioni di un sistema economico basato principalmente sui proventi dell'esportazione di greggio e gas
Per il presidente dell'Azerbaijan Ilham Aliyev tutto va bene: a margine del World Economic Forum di Davos ha infatti dichiarato che il 2016 sarà un anno di successo socio-economico per l’Azerbaijan, paese che rimane “un’area di stabilità.” Ma se gli ultimi mesi valgono come anticipo sull’anno che verrà, la realtà appare diversa. Il decennale boom economico del paese ha subito una brusca battuta d’arresto: i 31 dollari al barile del febbraio 2016, contro gli oltre 100 del 2014, hanno schiacciato un’economia fondata sull’export di petrolio e gas.
Nei primi due mesi dell’anno i dati macro-economici non sono incoraggianti. A gennaio l’economia si è contratta di una media del 3.3% rispetto alla media dell'anno precedente, l’export è sceso di una media del 48.6% e l’import del 22.9% e dati relativi al 2015 mostrano che il debito pubblico è cresciuto al 19.8% dall’8.4% del 2014. Dallo scorso dicembre la moneta nazionale, il manat, ha dimezzato il suo valore contro il dollaro spingendo il governo a rivedere il bilancio statale per due volte nel solo mese di febbraio.
La ricca élite politica può contare su pingui conti offshore, ma prezzi al consumo alle stelle e insolvenze spremono la maggioranza dei nove milioni di azeri che per anni hanno chiuso un occhio sulla sistematiche violazioni del regime, ma che difficilmente sopporteranno l’improvviso aumento del costo della vita.
Oro nero
Se c’è un capo di stato che ha saputo cavalcare l’onda lunga del boom petrolifero di certo è Ilham Aliyev. Dopo elezioni giudicate non democratiche dagli osservatori dell’OSCE/ODIHR nell’ottobre del 2003 l’allora 41enne Ilham successe al padre Haydar alla guida del paese – il greggio cominciava la lenta risalita dalla crisi dei primi anni 2000 e per un decennio prezzi in continua ascesa hanno cambiato il volto dell’Azerbaijan.
Il boom del petrolio ha fatto schizzare l’economia che tra il 2005 e il 2007 è cresciuta, in media, del 28,6% annuo, mantenendo poi un tasso di crescita medio del 5% fino al 2014. La capitale Baku si è rifatta il trucco diventando la Dubai del Caspio, le casse dello stato si sono gonfiate e il governo ha iniettato denaro contante in infrastrutture e forze armate.
L’oro nero è stato linfa vitale per l’ex repubblica sovietica – nel 2015 il settore degli idrocarburi rappresentava il 65.3% del prodotto interno lordo con una produzione di circa 40 milioni di tonnellate di greggio e 30 miliardi di metri cubi di gas. I petrodollari hanno anche alimentato corruzione e conti offshore dell’élite e, nella ricerca di un’alternativa energetica alla Russia, decine di politici europei e statunitensi sono atterrati a Baku disposti a chiudere gli occhi su diritti umani e civili regolarmente schiacciati. Progetti miliardari come i primi giochi olimpici europei lo scorso giugno e un Grand Prix di Formula 1 in programma nel 2016 hanno sigillato il successo della cosiddetta diplomazia del caviale.
Quando il carburante che alimentava la folle corsa è venuto a mancare la macchina si è fermata – nell’agosto 2014 un barile di greggio leggero valeva 103.08 dollari, un anno dopo 46.23, a febbraio 2016 viaggia sui 30. Lo State Oil Fund of Azerbaijan (Sofaz), il fondo sovrano creato nel 1998 per “promuovere sviluppo socio-economico del paese”, vantava a fine 2015 un capitale di 34.7 miliardi di dollari, contro i 37 di fine 2014.
Ma il greggio non ha solo alimentato l’economia. Nei suoi 12 anni di regno, Ilham Aliyev ha governato con un mix di populismo e controllo, che ha funzionato finché il Caspio produceva petrodollari che servivano per sedare il malcontento contro la corruzione endemica e l’abuso dei diritti umani. Il crollo del prezzo del greggio sta inevitabilmente alzando il sipario sul fallimento dell’amministrazione incapace di elaborare riforme cruciali come la diversificazione economica, lo sviluppo rurale, l’occupazione e la lotta contro la corruzione.
Bolla di sapone
Per un’economia che da oltre otto anni ha sostenuto la sua moneta nazionale con la valuta estera ottenuta dalla vendita di gas e greggio, data la situazione attuale, è stato impossibile evitare una forte svalutazione . Per mesi la Banca centrale dell’Azerbaijan (CBA) ha sostenuto il manat con interventi di sostegno che hanno prosciugato le sue casse – nell’agosto 2015 sedeva su 8 miliardi di dollari di riserve di valuta straniera, a dicembre il livello era sceso a 5 miliardi. Quando la pressione sulla valuta è diventata troppo forte, la banca centrale ha virato rotta e il 21 dicembre scorso ha annunciato il passaggio dal regime a cambio fisso a quello variabile. L’effetto è stato immediato: il manat si è svalutato del 52% nei confronti del dollaro e i prezzi al consumatore di cibo e vestiario sono schizzati alle stelle. Una situazione che ha alimentato quantomai rare proteste in un paese che Freedom House ha definito nel 2015 “non libero”.
Le banche sono state le prime vittime. L’esodo dei risparmiatori da conti in manat verso il dollaro ha aggiunto pressione su istituti di credito e mercato dei cambi: secondo Fitch Ratings, il 75% dei conti di deposito nel paese è in dollari. Il governo ha dovuto mettere un freno alla corsa verso il biglietto verde con chiusure dei centri di cambio. Nei primi due mesi dell’anno sette banche hanno perso la licenza ad operare portando da 43 a 36 il numero degli istituti di credito nel paese.
Dopo anni di vacche grasse tra petrodollari, alta spesa pubblica, stabilità monetaria e prestiti generosi e poco chiari, il settore bancario è sotto stress. La dollarizzazione è in aumento così come insolvenze da parte dei risparmiatori e salvataggi degli istituti di credito. A guidare la lista la statale Banca internazionale dell’Azerbaijan (IBA), la più grande del paese per patrimonio complessivo che a fine 2015 il governo ha dovuto salvare iniettando nelle sue casse 1.7 miliardi di dollari di liquidità.
Il 29 gennaio la Standards&Poor’s ha declassificato il rating per l’Azerbaijan sul breve e medio termine, da BBB-/A-3 a BB+/B. Essenzialmente “junk-spazzatura”. L’aggiustamento è legato al prezzo del greggio che potrebbe causare un deficit di bilancio fino al 2018, ha spiegato l’agenzia in una nota agli investitori, oltre all’aumento di rischi esterni legati alle riserve della banca centrale e ad una contrazione dell’economia.
Secondo Simon Quijano-Evans, analista dei mercati emergenti della Commerzbank di Londra, il declassamento è un campanello d’allarme per il governo di Baku – il prezzo del petrolio non dà segnali di ripresa e paesi fortemente dipendenti dalle esportazioni di idrocarburi “devono concentrarsi su come diversificare la propria economia”. A febbraio la banca centrale ha alzato i tassi d’interesse dal 3% al 5%, il primo rialzo negli ultimi cinque anni mirato a frenare la corsa dell’inflazione e incoraggiare i depositi in manat.
Rivelando i suoi forti timori di instabilità sociale, Aliyev ha promesso una serie di riforme sociali – dal tetto al prezzo del pane, all’aumento delle pensioni e degli stipendi statali a progetti di sviluppo regionale e sostegno all’occupazione – che però con l’andamento dei prezzi del greggio semplicemente non può permettersi.
Il 22 febbraio il ministro delle Finanze Samir Sharifov ha annunciato che il parlamento sta discutendo una revisione di bilancio, la seconda in un mese. La nuova bozza, basata sul prezzo di 25 dollari al barile, prevede una riduzione delle entrate del 5.9% a €8.94 miliardi (AZN 15.73 miliardi), da aggiungersi al precedente taglio del 22.9% nella versione approvata a fine 2015 rispetto al bilancio dell’anno precedente.
Dal suo sito il presidente ha comunicato che il governo potrebbe considerare la possibilità di prendere in prestito più denaro all’estero – esperti del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale sono stati a Baku a fine gennaio – e preparare un piano “globale” di privatizzazione per attirare investitori stranieri e nazionali. Le prospettive di certo non sono rosee. Per Chris Weafer, partner dell’agenzia di consulenza finanziaria Macro Advisory con sede a Mosca “l’economia azera non si sta avviando lentamente verso la crisi. Ormai è in caduta libera.”
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