Il conflitto in Nagorno-Karabakh ha causato la comparsa di oltre 600.000 sfollati interni in Azerbaijan. Alcuni di loro sono riusciti a raggiungere buoni standard di vita, ma molti vivono ancora in sistemazioni di fortuna
Il conflitto tra l'Azerbaijan e l'Armenia riguardante il Nagorno-Karabakh, la controversa regione al confine tra i due stati, dura ormai da 20 anni. Le prime avvisaglie del conflitto si erano infatti già manifestate nel 1987; in seguito, gli scontri nell'area proseguirono fino a raggiungere il culmine della violenza tra il 1992 e il 1994, periodo in cui Armenia e Azerbaijan si trovarono di fatto in uno stato di guerra, anche se non apertamente dichiarata. Nel 1994 fu siglato il cessate il fuoco, nonostante la risoluzione politica vera e propria del conflitto fosse ancora ben lontana. Nel Nagorno-Karabakh si verificano tuttora continue violazioni del cessate il fuoco con armi leggere.
Il conflitto militare, cui si sono aggiunti innumerevoli episodi di violenza contro la popolazione civile e di "pulizia etnica", ha causato migliaia di morti, feriti, e sparizioni. Inoltre, il 20% del territorio azero è stato occupato e le zone interessate dalle operazioni militari hanno subito pesanti distruzioni. Gli azeri che abitavano in Armenia sono fuggiti in massa dalle proprie case, così come hanno fatto i cittadini di etnia armena che hanno lasciato l'Azerbaijan. Molti azeri originari del Nagorno-Karabakh sono ad oggi sfollati interni.
Secondo fonti governative, tra il 1988 e il 1992 circa 250.000 azeri sono fuggiti dall'Armenia per rifugiarsi in Azerbaijan. La Commissione Statale per i Rifugiati e gli Sfollati Interni riporta che circa 700.000 persone hanno abbandonato il Nagorno-Karabakh e le zone limitrofe a causa del conflitto, e vivono ora in Azerbaijan. L'UNHCR stima invece che il numero complessivo di sfollati interni in Azerbaijan si aggiri intorno alle 603.300 persone.
Il governo ha varato alcune iniziative finalizzate a migliorare le condizioni di vita dei rifugiati e degli sfollati interni, mettendo in atto specifici piani d'intervento e adottando atti legislativi straordinari. Ai rifugiati provenienti dall'Armenia è stata concessa la cittadinanza azera, e oggi questi profughi godono degli stessi diritti e delle stesse opportunità degli altri cittadini azeri. La situazione degli sfollati interni tuttavia è nettamente peggiore, giacché queste persone non solo vivono spesso in condizioni di estrema povertà, ma sono anche convinti che la loro vita potrà migliorare soltanto dopo che avranno fatto ritorno a casa. Per lungo tempo l'approccio del governo al problema degli sfollati interni si è basato sul seguente assunto: meglio evitare che gli sfollati interni si integrino completamente nella comunità che li ha accolti, perché questo potrebbe essere interpretato dagli altri cittadini azeri come un tradimento alla causa della riconquista del Karabakh.
Ciononostante, a partire dal 2001, il governo ha tentato più volte di sgomberare i campi-profughi e di trasferire gli sfollati interni in alloggi realizzati appositamente. Secondo quanto riportato dal governo, nel periodo tra il 2001 e il 2008 sono state costruite circa 17.000 case, destinate proprio agli sfollati interni. Sono previsti inoltre entro il 2011 investimenti per più di un miliardo di dollari, da utilizzarsi per realizzare ulteriori alloggi per gli sfollati.
Nonostante questi sforzi, gli alloggi forniti dal governo sembrano totalmente inadeguati rispetto alle reali esigenze di chi vi abita: le case si trovano spesso in zone dove le scuole e le strutture sanitarie scarseggiano, i servizi pubblici sono inefficienti ed è molto difficile trovare un impiego. La stessa incolumità fisica degli sfollati è a rischio, poiché molti di questi alloggi sono situati in aree estremamente vicine ai territori sotto occupazione militare o ai confini con l'Armenia.
La vita quotidiana degli sfollati
Il termine "sfollato interno" non è necessariamente sinonimo di "povero" o "emarginato" nell'Azerbaijan di oggi: alcuni sfollati hanno oggi un tenore di vita soddisfacente e alcuni di loro (sebbene in percentuale davvero minima) hanno addirittura raggiunto i vertici della gerarchia sociale azera. Nonostante queste eccezioni, è proprio tra gli sfollati che si registrano i casi più estremi di povertà, specialmente nelle aree urbane, dove buona parte degli sfollati finisce per confluire in una sorta di micro-comunità ghettizzata, fisicamente e socialmente segregata dal resto della popolazione.
Buona parte degli sfollati vive tuttora in alloggi di fortuna, come ostelli, campi profughi, scuole, edifici non ultimati. In base a quanto riportato nel rapporto del Centro di Monitoraggio degli Sfollati Interni e del Consiglio Norvegese dei Rifugiati, il 30% degli sfollati interni in Azerbaijan abita in alloggi di fortuna dove risiedono più nuclei familiari.
Le condizioni di vita degli sfollati interni sono spesso aggravate, oltre che dai disagi e dai pericoli legati alla precarietà delle loro abitazioni, dalle ovvie conseguenze psicologiche che l'esperienza della guerra e dello sfollamento porta inevitabilmente con sé. L'insorgere di nevrosi è piuttosto comune tra gli sfollati interni, a causa delle difficoltà che queste persone affrontano quotidianamente e del dolore di aver perso i propri cari in guerra. Alcuni sfollati raccontano anche di avere contratto malattie croniche dovute all'eccesso di umidità e al malfunzionamento delle fognature.
Moltissimi sfollati interni occupano edifici originariamente destinati a diventare dormitori per studenti universitari: intere famiglie vivono stipate in un'unica stanza, senza alcuna privacy. Nonostante le singole stanze vengano solitamente mantenute molto pulite e siano state rese accoglienti, per i servizi e gli altri spazi comuni la situazione è ben diversa. Fogne ingorgate, rifiuti a cielo aperto e parti di edificio che cadono a pezzi sono all'ordine del giorno nelle abitazioni degli sfollati interni.
Come se non bastasse la tragedia della guerra e dello sfollamento, queste persone finiscono per subire un'ulteriore violenza, che, anche se non ha una definizione ben precisa, non per questo è meno tangibile e dolorosa. Basta passare qualche ora nella comunità di sfollati interni del quartiere di Binagadi, a Baku, per vivere sulla propria pelle la disastrosa situazione con cui queste persone si ritrovano a combattere ogni giorno da anni.
Più di quindici anni fa, centinaia di famiglie occuparono alcuni fabbricati non ancora ultimati alla periferia di Baku. Costruendo tramezzi in mattone o in pietra tra i blocchi di cemento, gli sfollati crearono ulteriori stanze e spazi in cui vivere. Se oggi, grazie agli sforzi degli abitanti, gli interni appaiono lindi e addirittura confortevoli, le altre parti dell'edificio offrono al visitatore uno spettacolo spaventoso, fatto di muri incompiuti e scale che si affacciano sul vuoto. Una donna ci ha raccontato di come giunse a Baku con la sua famiglia: "Siamo fuggiti dalla nostra casa e ci siamo trasferiti a Baku nel 1992. All'inizio non avevamo un riparo; poi, quando abbiamo visto questo edificio vuoto, lo abbiamo occupato. I primi due anni sono stati i peggiori, perché né io né mio marito avevamo un lavoro. Il governo non ha alzato un dito per migliorare le condizioni di questo edificio: abbiamo dovuto riparare le porte e le finestre da soli, a spese nostre e di alcuni nostri parenti che già vivevano a Baku". La famiglia di questa donna è stata colpita da una grave tragedia: "Mia figlia è caduta dal sesto piano perché una rampa in legno del palazzo è crollata. Aveva solo 22 anni, ed era una bravissima ragazza, intelligente, onesta e con tanta voglia di lavorare".
Negli ultimi tempi il governo sembra essersi deciso ad affrontare il problema dei profughi interni e ha varato diversi programmi e iniziative statali in loro aiuto. Tuttavia, ascoltando le parole dei diretti interessati, è palese che esiste un profondo divario tra le promesse dei politici e gli interventi concretamente intrapresi per migliorare le condizioni di vita degli sfollati.
I rapporti con le comunità locali
Le comunità locali da una parte sono solidali con gli sfollati e si sforzano di comprendere le loro difficoltà; dall'altra, molti cittadini azeri stanno ancora lottando con problemi di natura socio-economica come la disoccupazione, che impedisce loro di raggiungere un tenore di vita quanto meno accettabile, e la corruzione dilagante. Questo clima non predispone certo alla solidarietà, e molti azeri nutrono risentimento verso i rifugiati e gli sfollati interni.
L'immagine stereotipica del rifugiato dall'Armenia, ad esempio, è quella del membro di un ricco "clan", di elevato tenore sociale.
Inoltre, molti rifugiati e sfollati interni provengono da zone rurali, e, una volta trasferitisi nei centri urbani, il loro stile di vita finisce spesso per scontrarsi con quello delle città e dei villaggi che li ospitano.
Ma le controversie più gravi che sorgono tra i rifugiati e gli sfollati e le comunità locali riguardano solitamente i diritti di proprietà sugli alloggi occupati. Circa 70.000 sfollati in Azerbaijan vivono infatti in alloggi di proprietà di privati cittadini. I profughi sono tutelati da un decreto presidenziale, in base al quale gli sfollati interni teoricamente non possono essere sgomberati dal luogo in cui dimorano. In pratica, i tribunali locali risolvono le controversie tra i proprietari e gli sfollati riconoscendo ai primi il diritto di proprietà, ma deliberando che lo sgombero deve essere rimandato "sino a quando i territori occupati non saranno liberati". Tuttavia, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo in occasione del processo "Akimova contro stato dell'Azerbaijan" ha dichiarato che tale pratica viola il diritto di proprietà. Le sentenze emesse dai tribunali locali dopo il caso Akimova hanno in parte recepito il principio della sentenza della Corte Europea; tuttavia, ciò non ha contribuito ad allentare la tensione esistente tra le comunità locali e gli sfollati, perché gli ordini di sgombero dei tribunali non vengono messi in atto "finché agli sfollati non è stato fornito un alloggio alternativo". Questo nuovo approccio finisce per deludere entrambe le parti, giacché i proprietari sono in preda alla frustrazione di non sapere quando l'ordine del tribunale verrà effettivamente eseguito, e gli sfollati non sono quasi mai soddisfatti della sistemazione alternativa che viene loro offerta.
La risoluzione definitiva del conflitto del Karabakh e, di conseguenza, il ritorno degli sfollati interni alle proprie case devono restare priorità all'interno dell'agenda politica azera. Tuttavia, anche garantire condizioni di vita decenti agli sfollati interni deve costituire un obiettivo di primaria importanza per l'Azerbaijan.
Ha collaborato alla stesura dell'articolo Jvan Yazdani
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