All'età di 87 anni è morto Ante Marković, l'ultimo premier della Jugoslavia. Alla fine dell'89 aveva introdotto un coraggioso processo di riforme per cercare di salvare il Paese in profonda crisi economica. Il suo progetto fallì miseramente sotto i colpi del nazionalismo. Una situazione che oggi ad alcuni analisti ricorda da vicino l'attuale crisi europea, tanto da bollarla come "sindrome jugoslava"
Era un uomo d’altri tempi, non c’è che dire. Ante Marković era nato a Konjic in Bosnia Erzegovina il 25 novembre 1924. Diplomato alla Facoltà di Elettrotecnica di Zagabria nel 1954, svolse la sua carriera professionale quasi interamente come direttore dell’azienda zagabrese “Rade Končar". Iniziò ad occuparsi di politica nel 1982 e in breve arrivò al vertice della presidenza dell’allora Repubblica socialista di Croazia. Alla maggior parte del pubblico internazionale Marković è conosciuto però per essere stato l’ultimo premier di quella che fu la Jugoslavia. Lo divenne nel marzo 1989 a seguito delle dimissioni di Branko Mikulić, e rimase in carica fino al 1991, quando restituì il mandato e abbandonò per sempre la politica.
Marković passerà alla storia per essere stato non solo l’ultimo premier federale, ma soprattutto per aver cercato, invano, di salvare la Federazione. Alla fine del 1989 avviò un poderoso e coraggioso programma di riforme con cui riuscì in poco tempo a stabilizzare il dinaro ancorandolo al marco tedesco, ridurre l’inflazione e avviare un processo di privatizzazioni vendendo le azioni delle aziende pubbliche ai lavoratori. Era il 1989, l’allora premier presentò il suo programma come una “nuova forma di socialismo”.
La sua più alta ambizione fu però quella di mettere d’accordo le repubbliche, all’epoca già in aperto conflitto. Trovò sul suo cammino da una parte Slobodan Milošević, che non fece che boicottare la volontà riformista di Marković e dall'altra le spinte secessioniste di Croazia e Slovenia. La sua grande popolarità non gli impedì di perdere ben presto il controllo dell’Esercito (JNA) e il sostegno dei leader politici di Serbia, Croazia e Slovenia. Le prime elezioni multipartitiche erano in corso e la vittoria dei partiti “etnici” annunciava la fine ultima dello stato comune. Il 20 dicembre 1991, Ante Marković, ormai emarginato nel suo Paese e senza sostegno all’estero, restituì il mandato da premier e uscì definitivamente di scena.
In un video dell’epoca Marković dichiara: “Io sono sempre stato in modo coerente per la democrazia, per la pace e contro la guerra”. In un’altra occasione ribadisce ancora la sua contrarietà alla guerra: “Per me è inaccettabile proporre una finanziaria di guerra, non posso e non lo farò”.
Quello di Ante Marković fu l’ultimo tentativo di salvare la Jugoslavia. Un tentativo che oggi a molti suscita un parallelismo con l’attuale crisi dell’Unione europea. L’economista ed ex ministro sloveno dell’Economia Jože Mencinger, ad inizio di novembre durante una conferenza organizzata dalla Fondazione Friedrich Ebert, ha rilasciato alcune dichiarazioni che vanno in questa direzione.
In un’intervista pubblicata dal settimanale Vreme , Mencinger afferma: “Non mi considero un euroscettico. Temo solo che l’Unione europea possa dissolversi, ma non vedo perché si dovrebbero nascondere i problemi che esistono. Questi problemi in qualche modo sono simili a quelli che abbiamo avuto nella ex Jugoslavia. Uno dei problemi è il dilemma se sia più democratico votare secondo il principio ‘un uomo un voto’ oppure ‘uno stato un voto’. Così era nella Jugoslavia. E sono problemi che semplicemente esistono”.
Alla domanda se l’UE dovrà affrontare la “sindrome jugoslava” Mencinger risponde: “Penso che inizi a sentirsi sempre più. Se fate un sondaggio tra i tedeschi, il 90% di essi dirà che devono pagare quello che i greci hanno speso, e se andate in Grecia diranno che i tedeschi sono colpevoli di tutto. Questo è molto pericoloso e per questo motivo lo definisco ‘sindrome jugoslava’”.
Anche Robert Hayden, docente di antropologia all’Università di Pittsburgh (USA) nonché noto analista del periodo jugoslavo, ha ragionato sul parallelo tra UE e Jugoslavia, confrontando il Trattato di Lisbona con la Costituzione jugoslava del 1974. I paralleli, analizzati in un articolo scritto per Vreme, sono sorprendenti: a partire dalla moneta unica sino alla gestione del potere e delle leve dell’economia tra i due modelli di “unione”. Ed anche Hayden riprende il parallelo sollevato da Mencinger quando dice: “I leader delle repubbliche più ricche accusavano i leader delle repubbliche più povere di essere colpevoli della crisi economica, impiegando una terminologia che incredibilmente ricorda la retorica che oggi usano gli europei del nord nei confronti degli europei del sud”.
Ante Marković poteva essere considerato un “tecnico” investito dell’arduo compito di riportare in sesto un Paese allo sfascio. Le differenze dell'Ue con la Jugoslavia sono certamente molte ma il funzionamento delle istituzioni, i veti incrociati, le accuse reciproche tra stati membri e le politiche nazionali(stiche) evidenziano più di un’affinità. Ante Marković, abbiamo visto, fallì nel suo compito, e la Jugoslavia si dissolse in una guerra fratricida. La drammatica esperienza che lascia in eredità porta ad interrogarsi su come ridare slancio al progetto politico europeo.
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