Nei mesi scorsi un gruppo di giornalisti internazionali ha lanciato il Balkan Free Media Initiative, associazione con sede a Bruxelles che si prefigge di monitorare la libertà di informazione nei Balcani. Abbiamo intervistato Antoinette Nikolova, direttrice dell'iniziativa
La scorsa primavera un gruppo di giornalisti europei, perlopiù corrispondenti esteri di varie testate continentali, ha lanciato la Balkan Free Media Initiative . L’associazione, con sede a Bruxelles, si prefigge di monitorare il deterioramento della libertà d’informazione nei Balcani. Abbiamo intervistato la direttrice, Antoinette Nikolova , a lungo corrispondente per Deutsche Welle e l’Economist, oggi collaboratrice di Euractiv tra Roma e Bruxelles.
Com’è nata l’idea di lanciare la Balkan Free Media Initiative?
Seguendo le varie ondate di proteste o gli eventi più importanti nei Balcani con i colleghi dell’Europa occidentale, ci siamo resi conto che l’area è oggetto di un’attenzione molto effimera. Confrontandoci con i colleghi locali, abbiamo notato che quando accade qualcosa di significativo, per esempio le lunghe proteste dell’anno scorso in Bulgaria, i giornalisti occidentali arrivano nella regione per raccontare l’evento, rendendo giustizia al lavoro di giornalisti locali, attivisti e Ong, poi però succede qualcos’altro nel mondo, i giornalisti ripartono e l’attenzione scema. Così i giornalisti locali si sentono soli. Quindi ci siamo detti: è ora di fondare un’associazione che garantisca ai nostri colleghi nei Balcani un’attenzione costante.
Esistono già, però, media in inglese che coprono in modo sistematico le vicende della regione, come Euractiv o Balkan Insight. Come si differenzia il vostro progetto?
Abbiamo scelto di non replicare il lavoro di altri enti e associazioni che già seguono la cronaca e la dura realtà dei giornalisti nei Balcani, fatta di minacce, attacchi e pressioni. Vogliamo piuttosto studiare i meccanismi invisibili che producono questo tipo di situazioni: quali sono, per esempio, le leggi che permettono all’attore politico di soffocare una testata indipendente? Questi meccanismi, inoltre, sono anche strettamente intrecciati all’interesse geo-strategico di attori come Cina e Russia, intenzionati a penetrare in questa regione.
Come agiscono questi attori per influenzare la stampa locale?
Uno degli esempi più visibili riguarda gli appalti per la costruzione delle infrastrutture di telecomunicazione in Serbia, dove la presenza della Cina è molto forte. Chi costruisce l’hardware, le infrastrutture, ha poi voce in capitolo sull’intero comparto mediatico. Credo che su questo proprio la Serbia sia un caso di speciale interesse, perché lì si scontrano molti interessi geo-strategici divergenti, sono attivi molti player: Cina, Russia, Usa, Unione Europea. Il fatto che Angela Merkel abbia scelto di recarsi nella regione durante uno dei suoi ultimi viaggi all’estero invia un messaggio molto chiaro all’Europa: stiamo attenti ai Balcani occidentali, rischiamo di perderli.
Un secondo esempio, dalla Macedonia del Nord, permette di illustrare una dinamica più subdola. Seguendo l’agenzia di stampa pubblica macedone [MIA , NdR], si può notare che molte notizie, non strettamente legate alla Cina, alla relazione sino-macedone o all’Asia, citano come fonte la cinese Xinhua e non, per esempio, Reuters o AP. Perché? Perché, mentre Reuters o AP hanno costi d’iscrizione molto alti, la Cina addirittura paga per far citare Xinhua come fonte. Dal canto suo, l’agenzia di stampa pubblica russa, la TASS, è ad accesso gratuito. E al giorno d’oggi un media che vuole sopravvivere deve stare costantemente nel flusso, deve produrre notizie incessantemente. È un’esigenza concreta, che Russia e Cina sanno sfruttare, spesso senza che i giornalisti coinvolti siano granché coscienti del gioco a cui si prestano. Finiscono per veicolare propaganda e disinformazione, inconsapevolmente. Viktor Orbán, il campione della repressione dei media, funge da modello. Il suo governo ha iniziato a tassare pesantemente i finanziamenti esterni, da cui dipendono molti media indipendenti, rendendo al contempo gratuito l’accesso all’agenzia di stampa governativa Così i media con meno risorse sono obbligati a citare le fonti filogovernative.
Il prossimo 12 ottobre pubblicherete il vostro primo report: “The Invisible Hand of Media Censorship in the Balkans”, incentrato sull’azione di quel conglomerato politico-finanziario che in molti paesi della regione influenza indirettamente l’attività dei giornalisti. Di che stati vi siete occupati?
Bulgaria, Serbia e Macedonia del Nord. Li abbiamo scelti perché sono a tre stadi diversi nel loro rapporto con l’Ue: la Bulgaria è già membro, la Serbia ha avviato le negoziazioni da tempo, la Macedonia del Nord è ancora alla casella precedente.
Che differenze evidenti avete riscontrato tra questi tre paesi?
Paradossalmente, la Bulgaria, pur essendo un paese Ue, è quella più in basso nella classifica sulla libertà di stampa di Reporter sans frontières . È al 112° posto, l’anno scorso era al 111°: la situazione sta peggiorando. Diversamente dalla Serbia, in Bulgaria i giornalisti non subiscono quasi mai attacchi fisici. Ci sono casi, ma non così frequenti come in Serbia. Solo se un reporter investigativo sta conducendo qualche inchiesta delicata, si arriva ad atti intimidatori eclatanti come bruciargli la macchina.
In Bulgaria, i giornalisti sono messi a tacere in modo molto più machiavellico. Non vengono nemmeno licenziati, semplicemente si creano delle condizioni ambientali che li obbligano ad andarsene. Gradualmente, un giornalista scomodo viene demansionato dalla redazione, non viene più invitato in televisione; la proprietà gli taglia lo stipendio, magari ritocca qualche condizione del contratto. Così, questa persona si ritrova impossibilitato a fare il proprio mestiere.
In Serbia, la situazione è diversa, gli abusi sono molto più manifesti. La stampa non allineata è costretta a subire cause per cifre astronomiche. I giornalisti che aderiscono all’Associazione dei giornalisti indipendenti della Serbia NUNS, una delle realtà invise al governo, hanno subito attacchi personali, anche alla loro sede.
Ad ogni modo, questo tipo di attacchi sono già ben documentati da altre realtà. Come spiegavo, noi puntiamo al livello superiore: sensibilizzare le istituzioni europee, il legislatore comunitario, riguardo a quei meccanismi a prima vista non facilmente individuabili che sono però quelli che determinano le regole del gioco.
A livello di temi, su cosa si concentra il report?
In primis su tre elementi: proprietà dei media, distribuzione degli introiti pubblicitari (dirottamento dei fondi statali ed europei), quadro normativo (chi può fare cosa). Ambiti quasi mai esaminati a livello scientifico.
Proprietà dei media e distribuzione delle entrate pubblicitarie: ci puoi fare degli esempi?
In Bulgaria, per esempio, è legale che un politico possieda una testata o una televisione. Quando ciò accade, quel media smette di essere indipendente. Sarà obbligato a veicolare la narrazione del proprietario. Anche i giornalisti vengono dunque assunti su criteri di fedeltà, non di competenza. Qualcosa del genere esiste, naturalmente, anche in Europa occidentale - vedi l’Italia. Ma in questi paesi esiste, credo, un meccanismo di pesi e contrappesi che contrastano questa dinamica accentratrice. In Europa orientale ciò non accade. Non esistono leggi che permettano di verificare se una testata appartiene a un politico, a un membro dell’esecutivo o a un prestanome. Così, studiando la rete di proprietari, affiliati e prestanome, risulta quasi sempre che il grosso dei media è in mano a primi ministri o loro alleati. L’abbiamo riscontrato in tutti e tre i paesi oggetto dello studio. In alcuni casi è addirittura palese, non viene nemmeno nascosto.
Per la distribuzione dei fondi, una tattica interessante riguarda, per esempio, i sistemi di calcolo dell’audience, misurare il totale di lettori che visita un dato sito. È da questi indicatori che poi dipende l’appetibilità di un media per gli investitori, quindi il volume dei flussi pubblicitari. Sono spesso le agenzie filogovernative a incaricarsi di fare questo calcolo e diffondere i dati, con quindi le distorsioni che possiamo immaginare. Gli inserzionisti con più disponibilità a spendere finiscono sui media vicini al potere politico.
Per questo, una delle tattiche per ridare ossigeno ai media della regione sarebbe quella di facilitare l'ingresso nel mercato mediatico di investitori stranieri, più impermeabili a queste manipolazioni.
Rapporto ed evento online
Il rapporto “The Invisible Hand of Media Censorship in the Balkans, The Examples of Bulgaria, Serbia and North Macedonia” verrà presentato al Press Club di Bruxelles (Rue Froissart 95) martedì 12 ottobre alle 15. Si può assistere all’evento anche online, iscrivendosi a questo link .
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