Le donne nei Balcani sono costrette a lottare per sconfiggere le discriminazioni ed esercitare il loro diritto all’eredità. Un reportage
(Pubblicato originariamente da Balkan Insight il 12 novembre 2014, titolo originale Fighting for Their Fair Share)
Durante il conflitto in Kosovo, Shyhrete Berisha assistette all’uccisione da parte di un poliziotto serbo del marito, Nexhat, e dei loro quattro figli. Il figlio più giovane non aveva ancora compiuto due anni, mentre il più grande ne avrebbe dovuti compiere poco dopo 16. Lei fu colpita all’addome e, presunta morta, caricata su un camion insieme ad altri 50 corpi di albanesi del Kosovo uccisi il 26 marzo 1999 nella città di Suhareke.
Shyhrete e i suoi due cugini furono gli unici a sopravvivere al massacro, saltando dal camion in movimento.
Dopo aver perso l’intera famiglia, Shyhrete non immaginava nemmeno che fosse possibile un’ulteriore perdita. Tuttavia, una volta finita la guerra, fu costretta, come ci racconta lei stessa, a lasciare la casa di famiglia perché presumibilmente di proprietà di suo suocero.
La storia di Shyhrete è un esempio estremo di un problema molto diffuso nei Balcani, anche se per lo più in forma meno drammatica: la discriminazione delle donne nelle dispute riguardanti l’eredità. In queste società patriarcali infatti la proprietà e altri beni di regola passano ai membri maschi della famiglia, escludendo le donne nonostante il loro diritto all’eredità sia garantito dalla legge.
Alcuni funzionari e attivisti si sono impegnati nel cambiare tale tradizione attraverso apposite campagne di informazione e di sensibilizzazione, mentre alcune donne discriminate si sono battute per i propri diritti anche in tribunale, scontrandosi però con la resistenza dei tradizionalisti e la lentezza di sistemi giudiziari sovraccarichi di lavoro.
Shyhrete ci spiega che la proprietà della famiglia Berisha fu divisa nel 1997 tra i membri maschi e, in base ad un accordo verbale, suo marito ne ottenne una parte. Tuttavia, tornataci dopo la guerra, Shyhrete trovò la porta chiusa e la famiglia di suo marito ostinata nel non lasciarla entrare. “L’unica cosa di cui avevo bisogno era di sentirmi benvenuta ”, ricorda Shyhrete nella casa dei suoi genitori a Mushtisht nei pressi di Suhareke.
Con l’aiuto di organizzazioni caritative internazionali, Shyhrete è riuscita a rimediare alle sue ferite e traumi e oggi vive in Germania, ma lo scorso giugno è tornata in Kosovo con l’intenzione di seguire il processo civile presso il tribunale di Suhareke per rivendicare il proprio diritto all’eredità.
Shyhrete sembra più vecchia dei suoi 52 anni, e anche se sorride quando parla degli anni vissuti col marito, nessuna traccia di allegria appare sul suo viso. Avevano una vita tranquilla, si ricorda, suo marito lavorava nel centro culturale del paese ed avevano un piccolo affitto da un negozio sotto casa loro. Lei si occupava dei figli e della casa.
Rivendicare il diritto a quella casa familiare è diventato un percorso lungo e difficile. Shyhrete ha avviato il processo civile 12 anni fa ma il suo avvocato non si è mai presentato in tribunale e il caso non è stato nemmeno esaminato. Nel settembre 2012 Shyhrete ha nominato un nuovo avvocato, Ymer Koro.
Quest'ultimo spiega che la legge è chiara – la proprietà passata al marito di Shyhrete oggi dovrebbe appartenere a lei. “Dato che erano legalmente sposati, lei ne è l’erede legittima”.
Il cognato di Shyhrete, Xhelal Berisha, sostiene invece un’altra versione dei fatti, insistendo sul fatto che l’intera proprietà era di suo padre. ”Con un testamento scritto, aveva lasciato tutto a me prima di morire”, ci spiega, mentre Shyhrete e il suo avvocato negano l’esistenza di un tale documento.
Nel frattempo, Xhelal detiene le chiavi della casa e continua ad affittare gli spazi al piano terra, rivendicandone il diritto perché ne paga anche le tasse. Aggiunge, però, che Shyhrete è sempre benvenuta nella casa, solo che lei si rifiuterebbe di recarvisi.
A questo punto, sarebbe opportuno che il tribunale di Suhareke emettesse un verdetto, ma il giudice incaricato del caso giustifica l’inefficienza del suo ufficio con il sovraccarico di procedimenti. Lo scorso settembre si è finalmente tenuta l’udienza preliminare, ma il caso rimane irrisolto.
L’avvocato di Shyhrete ammette l’esistenza di un notevole arretrato giudiziario, ma crede che questo non sia l’unico problema. ”I tribunali sono sovraccarichi di processi, ma anche poco volenterosi di affrontare questi casi”, ci spiega.
Legge versus tradizione
Il Kosovo ha dichiarato l'indipendenza nel 2008, dopo un periodo di supervisione internazionale seguito ai bombardamenti NATO del 1999 che hanno posto fine al regime repressivo serbo.
L’art.7 della Costituzione kosovara definisce la parità di genere come “un valore fondamentale per lo sviluppo democratico della società”, mentre le leggi sull’eredità e sulla famiglia prevedono che i beni del defunto vengano divisi tra i membri della famiglia in modo da dare priorità alla moglie e ai figli. Nel caso in cui vi sia un testamento, i membri della famiglia possono essere esclusi dall’eredità solo sotto specifiche condizioni, nessuna delle quali legata al genere.
Le autorità kosovare hanno lanciato diverse campagne per incoraggiare l’intestazione della proprietà della casa ad entrambi i coniugi. Tuttavia, l’immobile spesso non viene nemmeno registrato, e nel caso lo sia, è quasi sempre solo a nome del marito.
Un (annuncio) video rilasciato dalle autorità, in collaborazione con organizzazioni internazionali e locali, mostra due giovani sposi godersi la loro nuova vita per poi decidere di formalizzare la loro proprietà comune.
“Renderete felici i vostri cari condividendo tutto con loro”, si dice nel video. “La proprietà appartiene ad entrambi – registrate la vostra casa comune”.
Le antiche tradizioni, però, resistono. Molti sostengono ancora che la proprietà, insieme al nome di famiglia, deve passare per linea maschile, e lo confermano anche i dati dell’Agenzia del catasto, secondo i quali più del 79 per cento di tutte le proprietà registrate sono intestate a uomini.
Nelle comunità tradizionali, le dispute riguardanti la proprietà si risolvono nelle assemblee degli anziani, riservate ai soli uomini, facendo riferimento al Kanun di Lek Dukagjini, il più importante codice delle norme tradizionali albanesi.
Il 58enne Ali Pasoma, impiegato come portiere nell’ufficio della compagnia elettrica, presiede questo tipo di assemblee nella città di Vushtrri situata a 25 km a nord della capitale Pristina.
“La proprietà può appartenere solo agli uomini. Nel caso in cui non vi sia un diretto discendente maschio, la proprietà passa ai parenti maschi”, ci spiega citando il Kanun.
Pasoma avrebbe accettato di incontrare una donna reporter solo a condizione che vi fosse presente anche un collega maschio. Ha una voce profonda e i suoi lunghi baffi e sopracciglia si muovono mentre ci parla con grande vivacità e concentrazione.
“Non potrei mai lasciare la mia proprietà familiare al marito di mia sorella – uno che porta un cognome diverso. Se dovesse succedere qualcosa a loro, gli offrirei ospitalità e protezione a casa mia. Ma nel caso volessero impossessarsi di una parte della mia proprietà, non sarebbero più benvenuti”, spiega Pasoma.
Poco prima del nostro incontro, Pasoma ha presieduto una cerimonia di separazione di una giovane coppia, dove le due parti erano rappresentate da dieci uomini ciascuna, mentre altri quattro avevano il compito di decidere sul caso. Anche questo è un esempio emblematico di quanto le tradizioni patriarcali siano ancora vive nelle comunità kosovare.
Il ruolo della povertà
I fattori economici giocano un ruolo altrettanto significativo in questa prassi di escludere le donne dall’eredità. Nel tentativo di evitare la divisione della casa familiare, i genitori tradizionalmente lasciano la loro proprietà al figlio più giovane. Il patto sottointeso è che possano rimanervi durante la vecchiaia e che la famiglia del figlio si prenda cura di loro.
In uno dei paesi più poveri d’Europa, dove all’incirca il 30 per cento della popolazione vive con meno di due euro al giorno, tale prassi in un certo senso sostituisce il sistema pubblico di assistenza agli anziani, quasi inesistente.
Valbona Salihu, direttrice del gruppo Norma, impegnato nella difesa dei diritti delle donne kosovare, spiega come molte famiglie, nel tentativo di mantenere viva questa tradizione ereditaria, escludono le donne dalla lista degli eredi nel momento in cui dichiarano la morte di un familiare.
Alcune donne non osano nemmeno rivendicare il loro legittimo diritto all’eredità, mentre quelle che tentano di farlo in tribunale di rado ci riescono perché anche quando il processo si conclude a loro favore, la realtà può riservare molti imprevisti.
Una giovane donna del nord del Kosovo ha condiviso con noi la sua storia, chiedendo di rimanere anonima. Dopo la morte del marito, avvenuta due anni fa per un infarto, il tribunale ha deciso a suo favore in merito alla disputa sulla successione dell’immobile registrato a nome di suo marito. Tuttavia, i suoi suoceri continuano a rifiutarsi di rispettare tale decisione delle autorità giudiziarie, costringendo la giovane donna a vivere in affitto con i suoi due figli. Poter usufruire della casa che le appartiene legalmente potrebbe alleggerire in misura significativa la sua difficile situazione economica.
Garantire il rispetto dei diritti delle donne dovrebbe essere il compito di diverse istituzioni statali, come l’Agenzia per la parità di genere - che ha uno staff di 17 persone - e il Consiglio giuridico del Kosovo. Tuttavia, da nessuno di loro siamo riusciti ad ottenere informazioni precise sul numero delle donne che hanno tentato di rivendicare il diritto all’eredità in tribunale.
Gli avvocati dell’associazione Norma sono riusciti però ad ottenere tali statistiche direttamente dai tribunali, giungendo alla conclusione che vi sono donne che portano in tribunale casi relativi ad eredità ma non tanto spesso quanto gli uomini. Inoltre, nel rapporto realizzato dall’associazione in base ai dati giudiziari relativi al periodo 2008-2009, si può leggere che gli uomini hanno tre volte più probabilità di ereditare rispetto alle donne.
Haxhi Gashi, professore di diritto civile all’Università di Pristina, ritiene che l’inesistenza di statistiche ufficiali rifletta il fallimento delle istituzioni statali nel prestare maggiore attenzione alle problematiche riguardanti l’eredità. Tuttavia, crede che la popolazione stia diventando sempre più informata, che “ogni giorno stia crescendo la presa di coscienza dell’importanza delle questioni di eredità”, affermando che lui stesso dividerebbe la sua proprietà in modo equo tra sua figlia e suo figlio.
Fehmije Gashi-Bytyqi, 49enne avvocatessa di Pristina, privata di qualsiasi eredità familiare da parte dei suoi genitori, è altrettanto ostinata nel lottare contro il diktat della tradizione, avendo già comprato un appartamento per sua figlia che ha solo 10 anni. “Ho voluto dare l’esempio ai miei due figli maschi perché imparino che la proprietà deve essere divisa in modo equo”, ribadisce.
Nei Balcani la precedenza agli uomini
In Kosovo, dove i musulmani rappresentano più del 90 per cento della popolazione, il favorire gli uomini nelle cause riguardanti l’eredità viene spesso associato all’Islam e al Kanun. Tuttavia, questa prassi non conosce frontiere religiose e politiche ed è molto diffusa nei Balcani.
In Montenegro, ad esempio, dove la grande maggioranza della popolazione è di fede ortodossa, tra i proprietari di immobili ci sono quasi tre volte più uomini che donne.
Nel villaggio di Dujeva, a una ventina di chilometri dalla capitale Podgorica, abbiamo incontrato i due fratelli Stijepovic, Milan e Jovan, e il loro amico Vesko Ražnatovic che vi gestiscono un piccolo ristorante. Tutti e tre sottolineano con orgoglio di avere solo figli maschi, mentre Jovan aggiunge che sua sorella non ha ereditato nulla dalla famiglia. In questa comunità tradizionale, la percezione dell’importanza del cognome familiare è la stessa che abbiamo riscontrato in Kosovo. Si presume che le figlie si sposeranno e prenderanno il cognome del marito, e “la gente con un altro cognome non si può avere in casa”, ci spiega Jovan. “Dio ci lasciò questa tradizione e noi dobbiamo coltivarla”.
In Montenegro, donne e uomini godono degli stessi diritti, ma solo in teoria perché nella pratica, come in Kosovo, il sistema giudiziario rimane poco efficiente nel risolvere le cause riguardanti l’eredità, sulle quali, inoltre, non esiste alcuna statistica ufficiale. L’unica informazione che siamo riusciti ad ottenere è la dichiarazione del giudice del Tribunale ordinario di Podgorica su una crescente propensione delle donne a portare le dispute sull’eredità familiare davanti al tribunale.
In Macedonia, la discriminazione delle donne in materia di eredità affligge sia la comunità macedone di fede ortodossa (il 63 per cento della popolazione) sia quella albanese per la maggior parte di fede musulmana (all’incirca il 25 per cento della popolazione): tra i proprietari immobiliari si contano cinque volte più uomini che donne.
Nel villaggio di Ljubanci nei pressi della capitale Skopje, abbiamo visitato Spasena Surlovksa nella proprietà che ha ereditato dal marito e dove vive tuttora con i suoi figli. Nonostante la figlia si prenda più cura di lei e la ospiti nella sua casa, una volta divisa la proprietà familiare la parte maggiore andrà ai figli maschi perché “tale è la tradizione di lunga data”, dice Spasena.
A una ventina di minuti di macchina, ad Aračinovo, un villaggio a maggioranza albanese, abbiamo incontrato un giovane Imam, Ajdin Salihu, che ci ha confermato l’assoluta prevalenza di questa tradizione locale, spiegando che alle donne viene negato il diritto all’eredità nonostante questo sia “contro la volontà di Dio, contro il Corano e contro lo stato”.
Sollecitato a dirci cosa farebbe con la sua proprietà, Ajdin ha risposto che non vuole prevedere il futuro, aggiungendo, però, che: “Non c’è niente di male nel voler mantenere le proprie tradizioni dalle quali, dopotutto, non si può scappare. Ho una casa e penso che la lascerò a mio figlio”.
D’altra parte, Jovo Vangelovski, giudice della Corte suprema della Macedonia, pensa che le cose stiano cambiando. “L’educazione delle donne”, ci spiega, “ha influito in maniera rilevante su questa problematica, contribuendo al superamento dei valori tradizionali e all’accettazione del primato della legge”.
Oltre i Balcani, il caso britannico
La lotta delle donne per un’effettiva parità oltrepassa le frontiere balcaniche. In Gran Bretagna, dove il diritto alla successione legittima fu garantito alle donne 144 anni fa, la discriminazione in questo ambito è ancora presente, soprattutto nelle comunità musulmane.
Nella sala da tè della Camera dei Lord, tra il tintinnio delle tazze di porcellana, abbiamo parlato con la baronessa Carolin Cox, voce di tutte le donne musulmane della Gran Bretagna discriminate nelle dispute riguardanti il divorzio e l’eredità.
In Gran Bretagna esistono circa 80 tribunali islamici che fanno riferimento alla Sharia, rifiutandosi di rispettare le leggi nazionali in materia successoria. Ritenendo che “le comunità musulmane debbano rispettare le leggi dello stato e della democrazia”, la baronessa ha presentato al parlamento una proposta di legge finalizzata a rendere illegittimi tali tribunali paralleli.
“In questo paese”, aggiunge con molta decisione, “la giustizia sta dalla parte delle donne e esse dovrebbero approfittarne”.
La discriminazione contro le donne è presente anche nell’aristocrazia britannica. Nel 2013, con l’approvazione della nuova legge di successione al trono (Succession to the Crown Act), è stata resa illegittima la prassi di privilegiare gli eredi maschi nell’accesso al trono. Tuttavia, le figlie femmine della nobiltà britannica rimangono escluse dalla successione dei titoli.
Victoria Lambert, pluripremiata giornalista specializzata nel settore sanitario nonché moglie di Earl of Clancarty, quindi una contessa, sta lottando per l’adozione di una legge che si propone di garantire la parità di genere anche nella successione dei titoli nobiliari.
Nonostante il fatto che il suo interesse sia in parte personale, in quanto sua figlia non potrebbe - data la legge attuale - ereditare il titolo paterno, la contessa sostiene che l’approvazione della nuova legge potrebbe avere un effetto molto più ampio, mandando un forte messaggio contro la discriminazione delle donne di tutto il mondo.
L’ultimo tentativo di modificare la legge non ha ottenuto l’approvazione del Parlamento, ma Lambert non rinuncia alla lotta, convinta che il superamento di questa vecchia tradizione possa contribuire a cambiamenti positivi nella società. “Per quanto riguarda la parità di diritti, non ho nessuna intenzione di rinunciare alla lotta - è arrivato il momento di modernizzare la società”, dice la contessa.
Nonostante le diverse circostanze in cui vivono, le donne dell’Europa balcanica, come Shyhrete Berisha, sono spinte alla lotta dalla stessa ostinazione nel rivendicare i propri diritti. “Finché ho la mente lucida, non rinuncerò”, ribadisce Berisha, decisa a lottare per quello che le appartiene.
Jeta Abazi lavora presso il Dipartimento di giornalismo dell'Università di Pristina e da 10 anni è inviata per il programma televisivo Jeta në Kosovë (Vita in Kosovo). Quest'articolo è stato prodotto grazie al programma Balkan Fellowship for Journalistic Excellence sostenuto da ERSTE Foundation e Open Society Foundations, in cooperazione con Balkan Investigative Reporting Network.
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