Nonostate la certezza che durante questa legislatura europea non ci saranno nuovi allargamenti, i Balcani occidentali sono sempre più impegnati in una dinamica quanto silenziosa cooperazione regionale
Non ci saranno altri allargamenti, da qui ai prossimi cinque anni. Lo ha comunicato il nuovo presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker.
In apparenza quest’affermazione induce alla frustrazione. Ma guardando al quadro tecnico dei negoziati non può che essere così. La Serbia e il Montenegro, i due paesi dei Balcani occidentali più accreditati all’ingresso nella comunità europea, hanno soltanto da poco attivato formalmente i colloqui sull’adesione. Podgorica nel giugno del 2012, Belgrado nel gennaio di quest’anno. Se anche s’inquadrasse un orizzonte segnato dal più solido ottimismo, ci vorrebbero almeno sei anni affinché vengano cooptate: quanti ne sono serviti agli stati dell’Europa centrale. Che hanno però beneficiato di una spinta ideale – non così diffusa oggi – segnata dal bisogno di coronare quello che, forse con troppa enfasi, è stato definito il processo di “riunificazione europea”.
I tempi saranno più lunghi, ma i Balcani occidentali continuano a lavorare in funzione dell’allargamento. Mettendo al centro l’esigenza della cooperazione regionale. È la condizione che l’Ue pretende, al fine di stimolare la convergenza tra chi sta dentro e chi si colloca al di fuori del perimetro comunitario.
Pronto, Balcani?
Sono diverse le novità che arrivano da questo fronte. Quella più notiziabile, rilanciata da molte testate in questi giorni, riguarda un accordo a quattro tra Serbia, Bosnia Erzegovina, Montenegro e Macedonia, orientato alla progressiva riduzione delle tariffe di roaming. Anche Albania e Turchia potrebbero agganciarsi a questa iniziativa, con cui i contraenti intendono portare le tariffe del roaming, quando si telefona, si naviga o si inviano messaggi di testo da paese a paese della regione, sui livelli di quelle dell’Ue.
Attualmente, informa il portale Euractiv, i costi possono anche superare di dieci volte quelli praticati in Europa. "Paghiamo per una telefonata di un minuto cinque volte quello che si paga tra paesi Ue; tre volte per un messaggio; trentatré per il trasferimento di dati dalla rete", ha fatto sapere per esempio il ministro serbo per il Commercio e le Telecomunicazioni, Rasim Ljajić.
Con questo accordo, siglato qualche giorno fa, si chiede a Bruxelles di livellare verso il basso le tariffe, nel caso in cui il traffico sia diretto dai Balcani all’Europa. Il senso di tutto ciò è abbastanza chiaro: i paesi della regione giocano di sponda, agevolano la vita dei loro cittadini e tentano progressivamente di allinearsi alle regole comunitarie.
Commercio, infrastrutture, diplomazia
Jugosfera. Il termine è stato coniato nel 2009 da Tim Judah, l’esperto dell’Economist sui Balcani. Scrisse, sul settimanale londinese, che l’interscambio economico e culturale nella regione era diventato tale da ribaltare la convinzione comune che la dipinge come uno spazio a compartimenti stagno. Piccole autarchie, tra loro raramente comunicanti. "Dalla Slovenia al confine tra Macedonia e Grecia, tante persone hanno ancora molto in comune, anche se non lo ammettono. Ogni giorno i legami tra loro, tagliati negli anni ’90, si rinsaldano discretamente", annotò invece Judah.
Questo fenomeno va avanti e si vede non più in controluce, come la storia del roaming racconta. Ma non è l’unico dei più recenti casi virtuosi in chiave cooperativa, sia in senso bilaterale che regionale. Il 26 settembre Serbia e Bosnia hanno vergato un’intesa sull’ingresso comune nei mercati terzi. Passo inevitabile, se si tiene presente sia la necessità di unire le forze (l’export individuale dei paesi della regione tende al nanismo) e sia il fatto che nel corso degli anni l’interscambio s’è inspessito, fino a toccare quota 1,3 miliardi di euro nel 2013.
L’accordo, hanno riferito i governi dei due paesi, è una tappa importante tanto sul piano dei rapporti bilaterali che a livello regionale, dove può fare da apripista a protocolli simili.
La Serbia, sempre nei giorni scorsi, è stata firmataria di un altro contratto di una certa valenza. Con la Macedonia, ha riportato l’agenzia Tanjug, ha stabilito di usare razionalmente le rispettive missioni diplomatiche e consolari all’estero. Alcune delle quali, in altra parole, verranno ospitate sotto un unico tetto. Il che rafforza le relazioni e taglia i costi.
Si lavora anche sulle infrastrutture. Sul finire di agosto i primi ministri di Croazia, Albania, Bosnia Erzegovina e Montenegro si sono visti a Cavtat, poco più a sud di Dubrovnik, cercando di mettere a punto una strategia comune sulla cosiddetta autostrada adriatico-ionica: la cerniera d’asfalto che dovrebbe congiungere l’Europa centrale alla Grecia, legandosi al più ampio contesto dei corridoi paneuropei.
L’opera, secondo i capi dei governi dei quattro paesi, incontratisi alla vigilia di una conferenza berlinese sulla cooperazione regionale patrocinata dalla Germania, è economicamente vitale. Fluidifica trasporti, commerci e sviluppo. Tra l’altro la Croazia alleggerirebbe la questione dell’isolamento di Dubrovnik dal resto del paese. Le carenze infrastrutturali rendono infatti complicato il transito e le procedure doganali (si passa dal porto bosniaco di Neum) verso la città dalmata.
Le macroregioni
Non sfugge l’assonanza tra il nome attribuito all’autostrada e la Strategia europea – in via di consacrazione – per la macroregione adriatico-ionica. Si tratta di un progetto potenzialmente ambizioso che, quando vedrà la luce (si pensa alla fine del semestre italiano di presidenza dell’Ue), fornirà alle regioni degli stati affacciati sui due “mari corti” strumenti e risorse utili a sviluppare intrecci più fitti. A questo schema di cooperazione regionale prendono parte Italia, Slovenia, Croazia, Serbia, Bosnia Erzegovina, Montenegro, Albania e Grecia
Un’altra strategia macroregionale è già attiva, dal 2011: è quella che coinvolge i paesi del bacino danubiano, che ha un respiro più ampio di quello scandito dal corso del fiume. Cinque soggetti promotori della Strategia adriatico-ionica ne sono membri: Croazia, Slovenia, Serbia, Bosnia Erzegovina e Montenegro.
Volendo chiosare, la cooperazione va avanti e si arricchisce. Non fa rumore, ma è un fenomeno chiaro, concreto. "Questi cambiamenti quotidiani nei Balcani occidentali avvengono senza troppa fanfara. In pochi li hanno notati […] Ma questo non deve sorprendere. Le buone notizie non fanno notizia". Così giustamente ragionò Tim Judah nel suo pezzo del 2009.
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