Con Ana Krstinovska, fondatrice e presidente del think tank “Estima” con sede a Bitola, in Macedonia del Nord, e ricercatrice della fondazione greca ELIAMEP, parliamo di sfide e potenzialità della cooperazione regionali nei Balcani occidentali. Un'intervista
Come valuta l'attuale situazione della cooperazione regionale nei Balcani occidentali?
Negli ultimi due decenni, la cooperazione regionale nei Balcani occidentali si è sempre più intensificata, tanto che oggi non vi è una sola area in cui non sia presente un’iniziativa o un’organizzazione di cooperazione regionale. Oltre alla società civile e alle amministrazioni locali, la cooperazione coinvolge anche le imprese e il mondo accademico.
Non sono però del tutto convinta che l’aumento quantitativo delle iniziative sia stato sempre accompagnato da un salto di qualità. Ci sono tante nuove iniziative che cercano di generare un impatto positivo: spesso però diversi progetti e attività si sovrappongono, e non sempre riescono a produrre gli effetti desiderati e a creare legami più stretti tra i paesi.
Nonostante alcuni progressi compiuti su questo fronte, servono ulteriori sforzi per ottimizzare la cooperazione in modo da incoraggiare iniziative capaci di produrre un impatto sociale, ossia di raggiungere risultati tangibili che i cittadini riescono ad associare alla cooperazione regionale. Penso ad esempio all’accordo sull’abolizione del roaming che ha avuto un impatto concreto sulla vita quotidiana dei cittadini. Quando si tratta di cooperazione regionale, abbiamo bisogno di meno retorica e più azioni concrete.
Inoltre, occorre impegnarsi per estendere la cooperazione all’intera area balcanica. Ci sono diverse iniziative regionali a cui partecipano i sei paesi dei Balcani occidentali, mancano però progetti capaci di coinvolgere anche altri paesi, come Grecia, Bulgaria, Croazia, Slovenia e Romania. Dobbiamo superare l’idea che i Balcani occidentali siano una sorta di ghetto extra UE. Tale cambio di prospettiva contribuirebbe non solo all’europeizzazione dei Balcani occidentali, ma anche allo superamento dei disaccordi tra alcuni paesi candidati e stati membri dell’UE, come quelli tra Macedonia del Nord e Grecia, tra Bulgaria e Macedonia del Nord, tra Albania e Grecia, tra Serbia e Croazia.
Quindi, anziché focalizzare la cooperazione esclusivamente sui Balcani occidentali, ci dobbiamo impegnare per instaurare e rafforzare i legami in tutta la regione balcanica. Altrimenti rischiamo di assistere al moltiplicarsi di iniziative con un numero di partecipanti ridotto, come Open Balkan, che potrebbero alimentare il rancore tra i paesi esclusi e quindi minare la cooperazione regionale.
Qual è il ruolo della società civile nella promozione della cooperazione tra i paesi dei Balcani?
Negli ultimi decenni, la società civile si è assunta l’impegno di riavvicinare i paesi balcanici, soprattutto la Serbia e il Kosovo, e quindi ha funto da motore della cooperazione regionale in praticamente tutti gli ambiti. Quando i rappresentanti del potere e i funzionari pubblici di diversi paesi siedono allo stesso tavolo spesso emergono attriti. Tra gli esponenti della società civile invece si instaurano dinamiche diverse. La società civile ha il potenziale di smuovere la situazione anche in quegli ambiti in cui la cooperazione è limitata.
D’altra parte però, la società civile non è capace di esercitare un’influenza concreta sulle istituzioni per far sentire la propria voce. Questo problema accomuna tutti i paesi della regione. Per i governi, la collaborazione con la società civile è spesso mera formalità: di tutte le idee proposte dalla società civile, solo una piccola parte viene presa in considerazione e la collaborazione finisce lì.
Soffermiamoci ancora sull’impatto della società civile. Al Forum della società civile , organizzato nell’ambito del Processo di Berlino nell’ottobre dell’anno scorso a Tirana, è stato presentato un report sulla politica di allargamento di cui lei è coautrice. Quali sono i punti salienti della vostra analisi?
Il documento è frutto di un impegno collaborativo. Abbiamo cercato di coinvolgere diversi esperti e organizzazioni della società civile dei Balcani, ma anche del resto d’Europa. L’intenzione era quella di incoraggiare discussioni fuori dagli schemi per dare una svolta positiva al processo di allargamento dell’UE ai Balcani occidentali.
Siamo partiti dal presupposto che, nell’attuale contesto geopolitico, l’idea europea abbia guadagnato nuovo slancio. Quindi, abbiamo cercato di capire come le istituzioni dell’UE, gli stati membri e i governi dei paesi dei Balcani occidentali potrebbero sfruttare questa spinta per rilanciare e rafforzare la politica di allargamento, che da un decennio ormai sta attraversando una grave crisi.
Non c’è una tempistica precisa per l’adesione dei paesi balcanici all’UE. La Macedonia del Nord, “veterano” tra i paesi candidati, ha aspettato quasi vent’anni per ottenere il via libera all’avvio dei negoziati di adesione. In assenza di una prospettiva di adesione credibile, l’euroscetticismo crescerà ulteriormente e i paesi candidati, delusi dai mancati progressi, potrebbero abbandonare le riforme interne e deviare dalla strada europea. Tali dinamiche permetterebbero ai rivali geopolitici dell’UE, come Russia e Cina, di ritagliarsi spazi di manovra più ampi e sfruttare la situazione a proprio vantaggio.
Ci può spiegare più nel dettaglio alcune delle principali proposte avanzate nel vostro report per accelerare il processo di integrazione europea?
L'Unione europea può portare avanti il progetto di allargamento senza mettere a repentaglio il proprio funzionamento interno. Siamo favorevoli all’estensione del sistema di voto a maggioranza qualificata a tutti gli ambiti, pur essendo consapevoli che si tratta di una questione complessa, legata ad un più ampio dibattito riguardante il processo decisionale del Consiglio dell’UE.
Per questo proponiamo un percorso graduale. In un primo momento, il voto a maggioranza qualificata verrebbe esteso solo alle fasi tecniche riguardanti l’apertura, la valutazione dei cosiddetti “benchmarks” intermedi e la chiusura dei capitoli negoziali. In seguito, nel caso in cui tra gli stati membri si dovesse sviluppare una fiducia tale da scongiurare qualsiasi tentativo di abusare del sistema, potrebbero essere compiuti ulteriori passi, più ambiziosi.
Una maggiore flessibilità del processo decisionale contribuirà ad accelerare l’integrazione europea dei Balcani occidentali. L’accelerazione non deve però andare a scapito della qualità, perché il percorso stesso è una garanzia della capacità dei paesi candidati di attuare le riforme necessarie e allinearsi all’UE. Insistiamo affinché la Commissione europea definisca un’agenda più ambiziosa, con ulteriori raccomandazioni e scadenze intermedie. Una soluzione analoga è stata adottata nel caso della Croazia, che ha condotto i negoziati sulla base del cosiddetto partenariato per l'adesione .
L'adozione di specifici piani d’azione in collaborazione con i paesi candidati potrebbe contribuire a velocizzare il processo. Andrebbero definiti anche alcuni traguardi intermedi e i paesi che li raggiungono dovrebbero ottenere in cambio incentivi concreti per l’adesione, stimolando così un circolo virtuoso.
Inoltre, bisogna aumentare le capacità della Commissione europea, ma anche dei paesi candidati. La Commissione dovrebbe destinare maggiori risorse alla politica di allargamento, considerando che negli ultimi anni il numero di paesi che hanno aperto i negoziati di adesione è aumentato in modo significativo. Anche i paesi candidati dovrebbero stanziare maggiori risorse e farne il miglior uso possibile, dando priorità alla riforma della pubblica amministrazione, spina dorsale del processo di adesione.
Quanto alla società civile, penso che debba essere maggiormente coinvolta nella politica di allargamento in modo da poter mettere a disposizione le proprie competenze e partecipare al monitoraggio e all’elaborazione dei rapporti ombra sul processo negoziale.
A maggio in Macedonia del Nord si sono tenute le elezioni politiche e quelle presidenziali. Il principale partito di destra, sino ad allora all’opposizione, ha incassato una doppia vittoria. Cosa ci possiamo aspettare nel prossimo futuro per quanto riguarda il processo di integrazione europea del paese?
Il processo di adesione della Macedonia del Nord all’UE si articola in due percorsi, nettamente divisi tra loro. Il primo percorso riguarda le solite riforme legate ai criteri di Copenaghen. Quindi, dobbiamo soddisfare determinati requisiti e abbiamo già perso troppo tempo.
Nonostante il processo di integrazione europea della Macedonia del Nord si protragga ormai da vent’anni, stando ad alcune stime del governo, il tasso di allineamento del paese all’acquis comunitario è inferiore al 45%. Questo significa che il paese non avanza ad un ritmo abbastanza rapido per poter tenere il passo con tutti i cambiamenti che sta subendo il processo di allargamento, e quindi per essere considerato un candidato credibile, capace di entrare nell’UE nei prossimi anni.
Il secondo percorso è legato ai rapporti di buon vicinato con la Grecia e la Bulgaria. Gli Accordi di Prespa del 2018 hanno messo la fine alle dispute tra Skopje e Atene. Tuttavia, considerando il recente cambio di potere in Macedonia del Nord, vi è il rischio di regressioni sul piano dell’attuazione degli accordi. Allo stesso tempo, il paese è obbligato a emendare la Costituzione per includervi la minoranza bulgara. L’attuale compagine di governo non rifiuta di farlo, ma chiede garanzie internazionali per evitare che la Bulgaria ponga ulteriori richieste o veti al processo di integrazione europea di Skopje.
Spero che il nuovo governo agisca con saggezza e che, una volta passata l’euforia post-voto, si renda conto che semplicemente dobbiamo ottemperare agli obblighi assunti. Non ci sono alternative se vogliamo proseguire sulla strada europea. Il governo riuscirà ad adempiere ai suoi impegni solo agendo su entrambi i fronti, quindi portando avanti il dialogo con i vicini e, al contempo, intensificando le riforme necessarie per l’adesione all’UE.
Questo articolo è stato scritto nell'ambito del progetto "CORE: Cooperazione Regionale nei Balcani Occidentali".
Il progetto è realizzato con il contributo dell’Unità di Analisi, Programmazione, Statistica e Documentazione Storica – Direzione Generale per la Diplomazia Pubblica e Culturale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, ai sensi dell’art. 23 – bis del DPR 18/1967. Le opinioni contenute nella presente pubblicazione sono espressione degli autori e non rappresentano necessariamente le posizioni del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
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