Vengono chiamate le "previsioni invernali" e rappresentano la prima di tre analisi sull'andamento dell'economia che la Commissione europea pubblica nel corso di ogni anno. Includendo anche i paesi candidati all'ingresso
Nelle scorse settimane la Commissione europea ha diffuso la prima delle tre previsioni – quella invernale (Winter Forecasts) – che dedica ogni anno all’economia comunitaria, allargando lo sguardo anche ai paesi candidati all’ingresso.
Risalire la china?
Montenegro, Serbia e Macedonia, stando alle cifre, sono sulla via della ripresa. Il Pil montenegrino dovrebbe passare dall’anemico 0,2% del 2012 al 2,2%. La Macedonia dovrebbe aumentarlo di 1,7 punti percentuali, schiodandosi dalla crescita zero dell’anno passato. La stessa performance è prevista per la Serbia, che però nel 2012 aveva patito la recessione (-1,7%).
Quanto ai non candidati, non inclusi nelle stime di Bruxelles, la Banca mondiale indica che l’Albania, che nel 2012 è cresciuta a tassi inferiori all’1%, dovrebbe attestarsi intorno all’1,3%. Il Kosovo con la stima di una crescita del 3,3% presenta il migliore tasso della regione. Resta la Bosnia Erzegovina, visto che Zagabria entrerà nell’Unione il primo luglio uscendo di conseguenza dalla pattuglia dei Balcani occidentali. A Sarajevo si procederà con maggiore lentezza (0,5%), dice la Banca mondiale. In ogni caso la fotografia complessiva, sebbene permangano criticità macroeconomiche, prima tra tutti la disoccupazione, rivela che i Balcani occidentali dovrebbero iniziare a risalire la china.
Contesto instabile
Ora, questi dati non vanno letti come verità assolute. Il recupero risulta infatti depotenziato, se si inquadra la situazione dei paesi Ue situati lungo il perimetro balcanico. Vivono tutti una congiuntura molto delicata, con incognite dietro l’angolo.
L’Italia perderà nel 2013 un punto di Pil. Senza contare che è in bilico tra il ritorno alle urne e la ricerca di alchimie parlamentari tali da spezzare il risultato paralizzante delle elezioni, cosa che ha indotto Fitch a optare per il suo downgrade. Sulla Grecia c’è poco da dire. Il 2013 sarà un altro anno di recessione pesante (-4,4%) e continua a contrarsi il flusso di investimenti verso i Balcani, dove Atene prima del tonfo s’era mostrata molto attiva. Come del resto l’Ungheria. Il paese però è fermo, minato com’è dallo stato dell’economia (Budapest sta uscendo dalla recessione ma questi cinque anni di crisi sono stati devastanti) e dalla “guerra civile fredda” in corso tra il governo conservatore di Viktor Orbán e l’opposizione progressista-liberale. Difficile quindi che il paese magiaro porti ossigeno ai Balcani occidentali.
Panorama critico anche in Slovenia (-2%) e Croazia (-0,1%). A Ljubljana c’è un nuovo esecutivo, guidato da Alenka Bratušek, che ha diverse patate bollenti tra le mani. Tra queste la possibile creazione di una bad bank dove convogliare i prestiti – tanti – non performanti delle banche, che registrano forti perdite. La Croazia vive il momento peggiore della sua biografia nazionale post-indipendenza. L’economia è in recessione dal momento dello scoppio della crisi mondiale e i benefici dell’ingresso in Europa arriveranno, se arriveranno, solo dopo qualche trimestre.
Va da sé che queste situazioni hanno e avranno impatti negativi nei Balcani occidentali. La ripresa, nella regione, sarà meno agevole rispetto a quella prospettata dalle cifre squadernate da Bruxelles e dalla Banca mondiale.
Gli altri due vicini, Bulgaria e Romania, se la passano meno peggio. La prima crescerà dell’1,6%, ma c’è la variabile delle riforme, chieste dal Fondo monetario in cambio dei sussidi concessi, con cui il governo di Victor Ponta dovrà misurarsi. Il 2013 sarà presumibilmente un anno interlocutorio. Come in Bulgaria (1,4% di aumento di Pil), dove la caduta del governo di Boyko Borisov, determinata dalle proteste popolari per l’aumento vertiginoso delle tariffe dell’elettricità, ha aperto lo scenario elettorale. Volendo sintetizzare, c’è una specie di cordone di incertezza politico-economica che circonda i Balcani occidentali, esercitando una notevole pressione.
2013: tempo variabile
I fattori di precarietà sono anche interni, dove si contano diversi focolai di crisi politica. In Serbia le voci di corto circuito politico-criminale stanno facendo crollare le quotazioni del primo ministro Ivica Dačić e c’è persino chi ipotizza il ritorno alle urne entro la fine dell’anno.
In Kosovo Hashim Thaci guida il paese con un esecutivo di minoranza, sostenuto dall’esterno con i voti dell’arcirivale Ramush Haradinaj. Quanto mai durerà? A Sarajevo il governo della Federacija, l’entità croato-musulmana del paese, è paralizzato. Quello della Republika Srpska è fresco di rimpasto. In Albania ci sono le parlamentari a giugno, con la tentazione nazionalista che si fa strada. Si vota anche in Macedonia, il 24 marzo. In ballo il rinnovo di giunte e consigli municipali. Sullo sfondo una tensione politica che si taglia a fette, dopo il lungo boicottaggio delle sedute parlamentari da parte dell’opposizione socialdemocratica. Va alle urne anche il Montenegro. Elezioni presidenziali. Dovrebbe spuntarla Filip Vujanović, capo dello stato uscente e alleato di Milo Đukanović. È la contesa sulla carta meno incerta, in questo 2013 che si configura, nei Balcani occidentali, ingarbugliato e denso di insidie. Malgrado i numeri “confortanti” sull’economia.
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l'Europa all'Europa.
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