© HTWE/Shutterstock

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Dopo una breve fase di miglioramento, nei Balcani occidentali il fenomeno dello sfruttamento del lavoro si sta nuovamente acuendo, minacciando il già fragile tessuto economico e sociale della regione

27/08/2024 -  Massimo Guglietta

Un recente rapporto pubblicato dalla rete Global Initiative Against Transnational Organized Crime (GI-TOC), intitolato Forced to work: Labour Exploitation in the Western Balkans, evidenzia come il fenomeno dello sfruttamento sul lavoro stia diventando sempre più diffuso e preoccupante in tutta i Balcani occidentali.

Gli autori dello studio, in collaborazione con alcune organizzazioni della società civile della regione, hanno analizzato le dinamiche dello sfruttamento del lavoro in Albania, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia.

Ai fini della ricerca qualitativa, sono state condotte centoundici interviste con membri del mondo accademico, delle forze dell’ordine, delle amministrazioni locali e organizzazioni internazionali, tra cui trentotto persone vittime o a rischio di sfruttamento lavorativo. Lo studio si basa anche su dati quantitativi diffusi dall’Iniziativa regionale per le migrazioni, l’asilo e i rifugiati (MARRI ) e su quelli emersi dall’ultimo rapporto del Dipartimento di stato degli Stati Uniti sulla tratta di esseri umani.

Tendenze e dinamiche del fenomeno

I Balcani occidentali – come si legge nello studio della GI-TO – sono, allo stesso tempo, il luogo di “origine, transito e destinazione delle vittime di sfruttamento lavorativo”. Il fenomeno si manifesta sotto molteplici forme, compreso il lavoro sottopagato, con orari estenuanti, spesso svolto in condizioni pericolose. Pur interessando maggiormente l’edilizia, lo sfruttamento è diffuso anche nel settore tessile e in quello turistico-alberghiero.

Secondo il rapporto del Dipartimento di stato degli Stati Uniti sulla tratta di esseri umani, dopo un calo nel 2022, nei Balcani occidentali nel 2023 si è nuovamente registrato un aumento del numero di vittime di sfruttamento lavorativo. Nel periodo compreso tra il 2018 e il 2023, il 46% dei casi di traffico di esseri umani nella regione ha riguardato lo sfruttamento del lavoro.

I dati dimostrano che, nel periodo in questione, il numero più alto di vittime si è registrato in Albania e Bosnia Erzegovina: nel 2022 i casi registrati nei due paesi hanno rappresentato oltre il 60% di tutti i casi nella regione. Va però sottolineato che il fenomeno è largamente sottostimato, tanto che il numero effettivo di vittime potrebbe essere da 10 a 20 volte superiore a quello ufficiale. Secondo uno studio realizzato dalla rete MARRI, nel periodo 2018-2022 l’accattonaggio forzato è stato la forma più diffusa di traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento lavorativo (il 27% di tutti i casi registrati nella regione).

Alcuni casi recenti

Nel rapporto della GI-TOC si analizzano alcuni casi concreti, spiegando come i meccanismi di sfruttamento lavorativo vengono messi in pratica. Uno dei casi più estremi – di cui abbiamo già parlato su queste pagine – è quello dell’azienda Linglong International Europe srl. con sede a Zrenjanin, filiale della cinese Shadong Linglong Tire. 

I lavoratori vietnamiti, impiegati dall’azienda nella costruzione di una fabbrica di pneumatici a Zrenjanin, all’arrivo in Serbia hanno dovuto consegnare i loro passaporti al datore di lavoro, per poi essere costretti a lavorare a turni estenuanti, con paghe misere, e a vivere in ambienti angusti e malsani, diventando vittime di attacchi fisici e verbali. Casi come questo hanno spinto le autorità statunitensi a inserire la Serbia nella cosiddetta Tier 2 Watch List , constatando che il governo di Belgrado “non soddisfa pienamente gli standard minimi per contrastare la tratta di esseri umani”.

Tra gli altri casi evidenziati nel rapporto, spicca quello dei lavoratori turchi sfruttati in Montenegro nel 2023 e quello dei cittadini di Taiwan che nel 2021 sono stati costretti a commettere frodi online in Macedonia del Nord e Montenegro e ad effettuare chiamate fraudolente, informando le vittime, in Cina, di multe fittizie. In Bosnia Erzegovina, alcuni lavoratori edili hanno denunciato le condizioni pericolose in cui sono stati costretti a lavorare.

Serve un’azione immediata

Dalla ricerca della GI-TOC emerge chiaramente la necessità di porre maggiore attenzione al persistente fenomeno dello sfruttamento del lavoro nei Balcani occidentali, fenomeno che, oltre ai migranti, coinvolge anche i lavoratori autoctoni, e richiede un’azione immediata.

Per contrastare con efficacia lo sfruttamento lavorativo occorre costruire reti di cooperazione tra la società civile e le autorità locali e nazionali. È inoltre necessario sensibilizzare l’opinione pubblica, migliorare la raccolta dei dati e rafforzare i meccanismi di sostegno alle vittime.

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Questo articolo è stato prodotto nell'ambito diMigraVoice: Migrant Voices Matter in the European Media”, progetto editoriale realizzato con il contributo dell'Unione Europea. Le posizioni contenute in questo testo sono espressione esclusivamente degli autori e non rappresentano necessariamente le posizioni dell'Unione europea

Cos’è lo sfruttamento del lavoro

La rete GI-TOC, richiamandosi all’interpretazione fornita dall’Organizzazione internazionale del lavoro, definisce lo sfruttamento lavorativo come la tendenza ad “abusare dei lavoratori a scopo lucrativo, sottoponendoli a condizioni che non permettono l’effettivo esercizio dei diritti fondamentali del lavoro e/o mettono a repentaglio la vita, la salute, la libertà, la dignità e la sicurezza dei lavoratori”.

Vi è uno stretto legame tra sfruttamento del lavoro, tratta di esseri umani e lavoro forzato, fenomeni che spesso si intrecciano e sovrappongono. Però a differenza dei concetti di traffico di persone e lavoro forzato, lo sfruttamento del lavoro non è esplicitamente definito nel diritto internazionale. Il rapporto della GI-TOC si concentra su casi di tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento lavorativo, con particolare riguardo a situazioni in cui i lavoratori, privati dei loro documenti di identità, sono vittime di furti salariali.

 


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