“Abluka – Follia” di Emin Alper

“Abluka – Follia” di Emin Alper

Al 72° Festival del cinema di Venezia il premio della giuria è andato alla pellicola turca “Abluka – Follia” di Emin Alper, Leone d'oro per il cortometraggio “Belladonna” della regista croata Dubravka Turić. Una rassegna

26/11/2015 -  Nicola Falcinella

È un film drammaticamente attuale “Abluka – Follia” di Emin Alper, la pellicola turca premio della giuria della 72° Mostra di Venezia. Un'opera che racconta una società paranoica e minaccia, con un pericolo incombente e una forma di controllo subdola e la follia che si estende a tutti. Il secondo lungometraggio di Alper, già noto per “Beyond The Hill”, ha meritato il riconoscimento come una delle novità di un'edizione interessante che nel palmarès ha riservato diverse sorprese. Oltre alla prima volta del Venezuela, con il Leone d'oro a sorpresa nelle mani di Lorenzo Vigas per “Desde allà – Da lontano”, la giuria presieduta da Alfonso Cuaron ha premiato il Sudamerica, anche con il Leone d'argento per la regia all'argentino Pablo Trapero per “El clan”, e dimenticato i grandi nomi: a mani vuote favoriti Amos Gitai (“Rabin – The Last Day”) e Jerzy Skolimowski (“11 Minutes”). Per l'Italia meritata Coppa Volpi per Valeria Golino, intensa interprete di “Per amor vostro” di Giuseppe M. Gaudino.

C'è stato anche un Leone croato, per il cortometraggio “Belladonna” della regista Dubravka Turić.

Senza premi soprattutto “Francofonia”, ennesimo film potente del grande russo Aleksandr Sokurov, già Leone per “Faust”. Una riflessione, anche questa di un'attualità lancinante, sulla civiltà, la democrazia e l'Europa partendo dal museo del Louvre. La pellicola sarà nelle sale italiane dal 17 dicembre per un'alternativa al Natale cinematografico fatto di commedie. Un film colto e umanissimo, inclassificabile, che prende spunto dall'occupazione tedesca del museo mettendo faccia a faccia due uomini molto particolari: Jacques Jaujard, direttore del Louvre dal 1940, e il gerarca nazista conte Wolff-Metternich, responsabile dei beni artistici nella Francia occupata. Sokurov, che narra con la propria voce, parte da lì per un vero e proprio viaggio, grazie anche alla corrispondenza con il capitano della nave, su più livelli narrativi e temporali, nella storia dei due paesi, della Russia e dell'Europa con uno stile che ricorda quello delle sue “Elegie”.

Un anno dopo il premio a “Sivas” di Kaan Mujdeci, con un cane da combattimento salvato da un ragazzino, un altro cineasta turco emergente ha ricevuto un premio e ancora una una volta i cani sono sullo schermo vittime di violenze gratuite. Se là combattevano fino allo stremo e alla morte in una cittadina dell'Anatolia, qui siamo nella periferia di Istanbul in continua espansione. Uno dei due fratelli protagonisti spara ai cani randagi e li fa sparire, per poi accogliere e accudirne uno rimasto ferito.

Kadir è un detenuto cui Hamza, alto funzionario di polizia, offre la libertà condizionata purché lavori in una nuova unità di spionaggio: il loro compito è raccogliere rifiuti in quartieri periferici rovistando alla ricerca di materiali usati per la preparazione di bombe ed esplosivi. Qui ritrova il fratello minore Ahmed, che lavora per il comune nell'eliminare i cani randagi, anche se la versione ufficiale è che vengono condotti in un canile. Se il primo vuole ricomporre un rapporto, il secondo sfugge, si allontana, erige barriere verso tutto, contribuendo a spingere Kadir verso la follia e a elaborare una teoria del complotto. Nel frattempo cerca di far luce sul terzo fratello, Veli, scomparso e del quale non si hanno più notizie. Un film solido, che ben si appoggia sui corpi e i volti dei due protagonisti Mehmet Özgür e Berkay Ates, che costruisce un mistero, una tensione che tutto pervade e logora. La città anonima, grigia e spesso nebbiosa, è lo sfondo giusto per una storia metaforica, senza riferimenti espliciti ma diretta nel rappresentare un clima sociale insalubre, di diffidenza e di sospetto e di incubi. Un modo di raccontare nel quale il regista si mostra a suo agio: già “Beyond The Hill”, stilisticamente più semplice e meno ambizioso, aveva utilizzato lo schema di una contrapposizione a un nemico nascosto.

I cani di Istanbul tornano pure nel bel “Innocence of Memories” di Grant Gee con lo scrittore Orhan Pamuk, proiezione speciale alle Giornate degli autori. Il premio Nobel per la letteratura guida nella sua città, anche attraverso i personaggi del romanzo omonimo, popolata di cani. Pamuk, che appare solo attraverso interviste televisive, conduce dentro il museo aperto nel 2012 con tutti gli oggetti collegati al suo romanzo “Il museo dell'innocenza” pubblicato nel 2008. Una visione che piacerebbe a Borges e Proust, con i personaggi del libro che prendono vita. Non un adattamento del romanzo, ma una nuova narrazione che parte dalle storie e dai ricordi dello scrittore, che aggiunge elementi per raccontare in modo unico una megalopoli e le sue trasformazioni, con gli occhi di chi ci ha vissuto per 60 anni. Un'opera avvolgente e affascinante per gli amanti dello scrittore e per chi vuole cogliere nel profondo lo spirito di Istanbul.

Cortometraggi

Come miglior cortometraggio ha ricevuto il Leone “Belladonna” della croata Dubravka Turić con Aleksandra Naumov, Nada Ðurevska, Lana Barić e Anita Matković. Il titolo deriva dal nome comune di un'erba velenosa usata in passato per dilatare le pupille. La protagonista è una donna che, nella sala d'aspetto di un oculista,attende che le gocce somministratele facciano effetto. Arrivano nella saladue donne più anziane, proventienti daPlitvice, una delle quali ha perso la vista per lo shock in guerra. Tutto si svolge in pochi locali, quasi in unità di tempo e spazio, accade poco, solo dialoghi con la segretaria che fanno emergere a poco a poco degli elementi. Un film sul riportare alla mente, sulla suggestione e, naturalmente, sul meccanismo della visione.

Nel concorso corti era presente anche “Dvorišta – Backyard” di Ivan Salatić, primo film del Montenegro alla Mostra, prodotto dalla neonata società Code Blue. In questo caso ci si trova davanti a un lavoro misterioso ed evocativo, giocato su più piani, affascinante per il suo essere sfuggente tra livelli temporali, storie diverse legate da una stessa casa sul mare da demolire. Un giardino dominato da un albero di eucalipto, un ritratto di Tito rimasto per terra, giovani che giocano o fumano, un uomo che sente un richiamo dal mare, un altro che arriva dal mare, infine la scoperta di un relitto. Fili che lo spettatore deve unire per ritrovarsi in questo cortile affacciato sull'Adriatico.

Fuori concorso è passato il documentario ucraino “Winter on Fire” di Evgeny Afineevsky, prodotto da Netflix, che ripercorre tutto lo svolgersi delle proteste di Majdan. Degli ormai tanti documentari realizzati su quei mesi, questo è sicuramente il più completo nel ricostruire cronologicamente i fatti, mostrando le diverse fasi dagli inizi in poi. Il punto di vista, filo-ucraino e anti-Putin, è molto chiaro, l'eccesso nella ripetizione dell'inno nazionale nella seconda parte tende ad appesantire e far prevalere quella lettura su quella informativa.

Molto bello e importante “Sobytie – the Event” di Sergei Loznitsa, altro grande cineasta dei nostri giorni (autore dei lungometraggi “My Joy” (2010) e “Anime nella nebbia” (2012) e del documentario “Majdan” (2014) sulle proteste nella piazza di Kiev), che con immagini d'archivio torna al tentato colpo di stato contro Gorbacev dell'agosto 1991. Utilizzando e rimontando le ottime riprese di operatori per lo più televisivi, Loznitsa ricostruisce dalla prospettiva di San Pietroburgo (allora ancora Leningrado) quelle giornate drammatiche. Un film rigoroso, potente, non semplice, ma molto utile per approfondire gli ultimi tempi dell'Urss: in un breve frangente si intravede e riconosce pure Vladimir Putin.

Infine la Settimana della critica ha presentato il turco "Motherland" di Senem Tuzen, con una scrittrice in crisi che torna al villaggio natale. Un film di donne, sul rapporto tra la protagonista e la madre, e sulla tensione tra modernità e tradizione che attraversa buona parte della produzione turca di questi anni.

È una coproduzione Italia – Romania – Macedonia “Banat – Il viaggio” di Adriano Valerio con Edoardo Gabbriellini, Elena Radonicich e Piera Degli Esposti. Una storia di emigrazione al contrario con un agronomo che lascia l'Italia e va verso la Romania per lavoro. Un film di spaesamento, di lavoro sugli spazi, di personaggi che si cercano e inseguono una nuova occasione, ma anche di incontro con la vecchia e nuova Romania rurale.


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