L'arretratezza economica dei paesi dell'Europa Centrale e dei Balcani potrebbe costituire il loro punto forza per ripararsi dalla crisi finanziaria globale, anche se non mancano motivi di preoccupazione. Un'analisi della situazione attuale della rivista serba Ekonomist
Di Nikola Božidarević, 6 ottobre 2008, Ekonomist (titolo orig. "Koristi od zaostalosti")
Traduzione per Osservatorio Balcani: Maria Elena Franco
A volte l'arretratezza rappresenta una fortuna, e non uno svantaggio.
E' quanto emerge dalle reazioni iniziali dei paesi europei in transizione, mentre i loro governi valutano l'influenza del terremoto finanziario globale che ha colpito i bastioni occidentali del capitalismo.
Se a livello internazionale le maggiori banche centrali pompano miliardi di dollari nel settore finanziario per aiutarlo a superare la crisi, le banche centrali dell'Est per ora restano salde. La crisi finanziaria degli Stati Uniti fino ad oggi non ha colpito le attività bancarie in Albania, afferma il governatore della Banca Centrale del paese Ardian Fullani. In modo analogo si è espresso Jan Vincent Rostowski, ministro delle Finanze della Polonia, la cui economia è la più grande della regione.
Gli economisti attribuiscono questo fenomeno alla relativa arretratezza regionale, nonostante negli ultimi 20 anni gli ex paesi socialisti abbiano vissuto una significativa modernizzazione e stiano progredendo verso il pieno capitalismo. L'Albania, ad esempio, è generalmente poco integrata nei circuiti internazionali: il suo sistema finanziario non è esposto a istituzioni finanziarie straniere, e anche le banche europee presenti nel paese hanno un capitale solido, ha spiegato Fullani.
Lontano dai "prodotti pericolosi"
Gli esperti sostengono che le banche nei paesi della regione, che segnano una veloce crescita economica, hanno profitti sufficienti e non hanno necessità di lanciarsi in imprese rischiose, come azioni su base ipotecaria. Anche le banche polacche hanno generalmente evitato "prodotti pericolosi", afferma Rostowski, e analoghe sono le reazioni di Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania.
L'espansione del credito nella regione, veloce negli scorsi anni, secondo gli standard occidentali resta bassa e in grande misura finanziata dai depositi. Al contempo, la liquidità è sufficiente per far sì che i sistemi finanziari siano stabili.
"I nuovi membri dell'UE si sono gestiti bene nel trambusto finanziario globale", ha dichiarato Christoph Rosenberg, rappresentante regionale del Fondo Monetario Internazionale (FMI). "I sistemi bancari nei paesi con rapporti relativamente bassi tra prestiti e depositi, come Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca, sono meno esposti al rischio quando vengono meno i fondi stranieri", ha affermato Rosenberg.
Abituati alle crisi
Anche se i toni dei media sono allarmanti, i governi nella regione non sono ancora costretti ad intervenire, mentre i consumatori, rinvigoriti dalla lunga transizione, non perdono l'ottimismo. "Viviamo in una crisi costante da quando è caduto il comunismo", ha affermato Valija Ivanova, 31 anni, ingegnere bulgaro. "Un'ulteriore crisi non cambierà nulla".
Alcuni analisti occidentali osservano che anche la fortuna ha avuto il suo merito, perché nessuna delle grandi banche internazionali che possiedono quasi la metà delle banche locali, finora, ha subito direttamente grandi perdite.
Gli esperti dicono che la soluzione sta nel buono stato di salute del settore bancario. La Polonia, alla quale appartengono quasi la metà delle attività economiche regionali, ha un rapporto "prestiti - depositi" pari a uno. Il volume totale dei crediti nell'economia è solo il 24% del prodotto interno lordo (PIL). Entrambi gli indicatori sono decisamente più bassi di quelli dei paesi europei più sviluppati.
Da un recente studio del gruppo UniCredit emerge che la somma dei pagamenti dei sistemi finanziari nell'Europa centrale è quasi uguale al totale del PIL, e in base a tutti gli standard questo è il livello che garantisce la sicurezza. In zona euro, tuttavia, il sistema finanziario è due volte maggiore rispetto al PIL.
Oltre a questo, la maggior parte delle banche in Europa centrale ha un buon rapporto tra capitale e investimenti a rischio, e non sono esposte ad un attivo "tossico", come i titoli garantiti su prestiti ipotecari. La fiducia degli investitori sostiene una continua crescita economica, e i mercati polacco, ungherese e ceco sono i più liquidi della regione.
Inoltre la recente dichiarazione della Polonia sull'intenzione di entrare nell'eurozona nel 2011, ha aumentato la fiducia dell'UE, e miliardi di euro di fondi strutturali UE arrivano nella regione, mentre questa cerca di aggregarsi al resto del "club dei più ricchi", cosa che le assicura ulteriore liquidità.
Ma l'accesso agli investimenti stranieri diretti (FDI), come il finanziamento interbancario dall'estero, è divenuto più difficoltoso, ed è già stato posto un freno all'aumento dei prestiti ipotecari e al crescente mercato immobiliare. In Polonia, il valore delle azioni di alcune compagnie edili è di un quarto del valore che avevano prima della crisi, molti appartamenti restano vuoti, e la costruzione di nuovi edifici si è fermata.
Anche in Romania, in base alle affermazioni del ministro dell'Economia e delle Finanze Varujan Vosganian, i prezzi degli immobili sono esageratamente elevati, e dopo la crisi mondiale si abbasseranno. Lo stesso, a suo avviso, accadrà nel settore della costruzione industriale.
Tutto questo diminuirà la crescita economica, anche se non ovunque allo stesso modo. All'UniCredit ritengono che in Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia il rallentamento sarà insignificante, e nei Paesi Baltici, in Romania e Bulgaria potrebbe manifestarsi in misura maggiore. I Baltici e la Bulgaria, infatti, sono particolarmente esposti alla stretta creditizia perché dipendono dall'afflusso straniero per finanziare il deficit dei conti correnti e dei prestiti, e perché le loro economie sono rivolte quasi esclusivamente al fiorire del settore immobiliare.
Gli economisti concordano con il direttore del FMI Dominique Strauss-Kahn, il quale ritiene che la crisi finanziaria, abbassando il flusso di capitale globale, sarà una minaccia per gli stati che dipendono proprio da tale flusso per finanziare l'ammanco del bilancio dei pagamenti. Secondo Kahn, esistono più di 20 stati che presentano un deficit dei conti correnti che supera del 5% il PIL, e per il FMI questi rientrano nel gruppo a rischio.
"A causa del deficit dei conti correnti, l'Europa centrale e orientale si fanno particolarmente vulnerabili", ha affermato Thomas Mayer, il principale economista per l'Europa presso la Deutsche Bank a Londra. Tra questi paesi ci sono Bulgaria, Romania, Estonia, Grecia e Spagna. Gli economisti sono particolarmente preoccupati per i paesi come Estonia e Bulgaria, che registrano deficit a due cifre dei conti correnti e un'economia in ebollizione.
"La crescita in questi stati è stata troppo veloce oppure hanno preso troppi prestiti", ha dichiarato Peter Akos Bod, ex presidente della Banca Centrale Ungherese. "Quando si arriverà al momentaneo arresto dell'afflusso di capitale, questi stati avranno grossi problemi".
Atterraggio forzato
Nel peggiore degli scenari, questo potrebbe portare alla perdita di riserve valutarie straniere e a forti svalutazioni. Questo aprirebbe la strada ad un atterraggio forzato dell'economia e a ristrettezze per gli affari del paese troppo esposti alla concessione di credito straniero. Perché, in Lettonia quasi il 70% dei debiti del paese sono in valute forti, in Ungheria il 60%, in Romania il 50%, in Polonia il 28% e in Repubblica Ceca quasi zero (dati UniCredit).
I Balcani Occidentali, negli ultimi anni, hanno cavalcato l'onda degli investitori stranieri che hanno cercato di sfruttare i vantaggi del mercato in ascesa. I sistemi bancari della regione sono assorbiti in reti di grandi banche europee, e alcuni pensano che sia poco probabile che i Balcani possano restare immuni dalle conseguenze della crisi globale. Mary Kingston, piazzista londinese specializzata nella regione dei Balcani, osserva che forse il cliente comune dei servizi bancari nella regione non sentirà le conseguenze dirette del collasso delle grandi banche mondiali ed europee, ma le conseguenze a lungo termine potrebbero toccare ogni ambiente finanziario più prominente.
La crescente inflazione, la disoccupazione negli Stati Uniti e in Europa, e la conseguente caduta degli introiti disponibili, colpiranno la domanda di merce d'importazione e aumenteranno molto la pressione sull'altalenante mercato del turismo. Già hanno fatto bancarotta Alitalia e XL Airlines, e in base alle recenti previsioni ritenute attendibili dal direttore di British Airways Willie Walsh, solo nell'industria aerea potrebbero esserci altri 60 fallimenti entro la fine del 2008. Le cifre potrebbero aumentare se per la villeggiatura si utilizzasse di meno il trasporto aereo.
Questo potrebbe essere sfavorevole per quegli stati balcanici che possiedono spiagge non inquinate e uno sviluppato turismo rurale, mete rinomate tra turisti americani e nord europei. Nelle economie in cui la crescita è stimolata in grande misura dai crediti dei consumatori, il calo del turismo e dell'iniezione di valute straniere potrebbe ampliare la scossa finanziaria. Ma, come conclude la Kingston, ci sono le possibilità che, nonostante la crisi del momento, nei Balcani continui un positivo trend d'investimento.
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