Una riflessione su cosa sono i Balcani oggi e cosa potrebbero diventare sviluppata a margine del convegno 'La Prossima Europa: Mediterraneo, Adriatico, Balcani. 1995-2005' tenutosi a Lecce lo scorso novembre. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Di Gianguido Palumbo*
10 anni fa a Parigi, il 14 dicembre 1995, venivano controfirmati gli Accordi di Pace fra i Rappresentanti dei neo Stati balcanici dell'ex Jugoslavia, già definiti quasi un mese prima negli Stati uniti d'America a Dayton.
Con la fine di quest'anno si conclude un lungo periodo di celebrazioni, riflessioni, analisi, svoltesi in molte parti del mondo, sulla fine della ex Jugoslavia, sulle guerre dei Balcani fra il 1991 e il 1999, sui 10 anni di pace e ricostruzione, sulle relazioni con l'Unione europea, le condizioni attuali di avvicinamento e le prospettive di "ingressi" progressivi in Europa da parte di diversi Stati, dalla Croazia alla Serbia, dalla Bosnia Erzegovina alla Macedonia, dall'Albania alla Turchia.
Si sono susseguite molte occasioni di confronto internazionale fra politici, storici, economisti, letterati, artisti, in cui sono state ri-analizzate le origini della disgregazione jugoslava, con tesi molto differenti, lo svolgimento dei conflitti in Croazia, in Bosnia, nel Kosovo, in Serbia, in Macedonia e in Albania, l'andamento della ricostruzione, della nascita e della vita dei singoli neo Stati, con l'attivazione di centinaia di progetti di cooperazione allo sviluppo e più direttamente economica, e le differenti condizioni per l'ingresso in Europa.
Nel complesso, limitatamente a ciò che personalmente ho potuto leggere e ascoltare, mi sembra corretto riassumere nel modo seguente le tesi maggioritarie di diverse provenienze e nazionalità.
C'è chi ritiene che nei Balcani storicamente vi sono sempre state le condizioni per la nascita di conflitti su basi culturali, religiose, etniche e soprattutto di incontro-scontro fra un Oriente musulmano e un Occidente cristiano. La Jugoslavia è stata una bella utopia che però non poteva durare ed aveva in sé tutte le contraddizioni esplosive per disintegrarsi.
Altri invece sottolineano che i Paesi europei e l'Occidente nel suo complesso hanno forse fatto alcuni errori di valutazione delle crisi jugoslave, di sottovalutazione dei diversi protagonisti nazionali e delle difficoltà nella rinascita e creazione di nuovi Stati autonomi, ma le responsabilità maggiori delle attuali difficoltà e dei nuovi pericoli legati alle crisi non del tutto sopite in Montenegro, Kosovo, Bosnia Erzegovina e Macedonia dipendono ancora una volta dalle stesse popolazioni che non maturano capacità proprie di autogoverno e di sviluppo.
Infine vi è chi sostiene che sia necessario integrare nell'Unione Europea i Balcani, compresa l'Albania, e poi anche la Turchia, perché altrimenti la conflittualità dell'area diventerà contagiosa e pericolosa per tutta l'Europa, destabilizzante politicamente e soprattutto economicamente. Altri sono più prudenti. Tale processo a loro avviso dovrà avvenire con molta prudenza, con molto rigore, a poco a poco, un Paese alla volta, verificando le condizioni effettive e le garanzie che ogni Stato darà alla Comunità Europea e all'Occidente tutto.
Da queste tesi derivano azioni concrete da parte dell'Unione europea e dei suoi Stati membri più influenti, di politica estera, di cooperazione internazionale, di cooperazione economica, in merito agli investimenti e in merito alle procedure per l'ammissione in Europa secondo passi e tempi differenti.
Credo purtroppo che tale impostazione sia molto rischiosa per tutta la nuova Europa a 25 e per tutto il mondo in quanto sottovaluta ancora una volta i rischi di nuove gravi crisi sociali, politiche ed anche economiche nei Paesi dell'area, dalla Croazia alla Serbia Montenegro, dalla Bosnia Erzegovina alla Macedonia ed anche l'Albania. Tali possibili crisi saranno dovute alla impossibilità di far maturare una democrazia politica ed economica in modo separato ed autonomo nei singoli Paesi e nelle loro società, troppo spesso utilizzate come aree di espansione economica incontrollata per attori privati e in parte misti dei Paesi europei più forti ma anche di altri Paesi occidentali e orientali, e spinte fino ad oggi a riprodurre modelli di sviluppo occidentale già in crisi di per sé e incapaci di provocare una rinascita sana e duratura dei Balcani.
Propongo quindi una sintetica sequenza di tesi differenti da quelle esposte in precedenza con una ipotesi conclusiva forse azzardata, forse utopistica ma credo non così lontana dalla realtà e da una possibilità di sua realizzazione.
Responsabilità Internazionali per la fine della Jugoslavia
La Jugoslavia dei primi anni '90 non era in crisi strutturale ed anzi stava vivendo un periodo di riforme. Ma dopo il crollo del muro di Berlino del 1989 le spinte alla disgregazione si sono sviluppate sia all'interno ma anche all'esterno dei Balcani, per interessi internazionali paralleli, politici ed economici, di Russia, Francia, Austria, Germania, Italia, Turchia, Usa.
1995-2005 : dieci anni di contraddizioni
In questi ultimi dieci anni la lenta, contraddittoria e semifallimentare ricostruzione dell'area nei singoli nuovi piccoli Stati è il risultato ulteriore di responsabilità interne dei Gruppi Dirigenti locali ( Istituzionali, Politici e Culturali ) ma anche della Comunità Internazionale che ha attivato processi insufficienti e contrastanti di cooperazione internazionale e di politica estera.
Bisogno e necessità di riconnessione del mondo ex jugoslavo
Nei Paesi della ex Jugoslavia persistono spinte forti verso il conflitto, ma esistono e sono cresciute altresì maggiormente spinte significative e variegate verso la riconnessione umana, culturale, sociale, ed anche economica fra i Popoli e i Paesi che però non sono favorite esplicitamente e sufficientemente dai governi in carica e dalla Comunità internazionale.
Entrare nell'Unione Europea
Sicuramente l'ingresso nella UE della Croazia, della Serbia Montenegro, della Bosnia Erzegovina, della Macedonia ed anche dell'Albania, sarà un atto necessario, positivo, auspicabile, ma un evento storico così importante non dovrebbe avvenire in ordine sparso con la fragilità individuale dei singoli stati medesimi, pena la ricreazione di competizioni potenzialmente conflittuali e pericolose per i Balcani, per l'Europa, per il mondo intero.
Nuovi Balcani Uniti
Una soluzione ancora possibile potrebbe essere quella di favorire dall'esterno e dall'interno, con un lungo e paziente lavoro di riconciliazione, la nascita di una Nuova Jugoslavia come Stato Confederale Democratico, con forti caratteristiche di autonomia federale, composto da 4 Repubbliche: Serbia Montenegro, Croazia, Bosnia Erzegovina, Macedonia. O la costituzione di una Confederazione, un'unione balcanica che coinvolga oltre ai 4 Stati ex jugoslavi, anche l'Albania. Queste nuove entità confederali, l'una o l'altra, dovrebbero e potrebbero entrare nell'Unione Europea, con procedimenti di avvicinamento simili a quelli definiti per la Turchia, entro il 2014, a 100 anni dal 1914, dallo scoppio della Prima guerra mondiale.
Nel 1941 Altiero Spinelli, in pieno conflitto mondiale, sognava la Comunità Europea e scriveva i primi appunti per una storia politica che pur lentissimamente si sarebbe avverata.
Assieme a decine di intellettuali, scrittori, artisti, ma anche politici, tecnici e soprattutto assieme a milioni di "ex Jugoslavi" semplici donne e uomini cittadini delle diverse zone della penisola Balcanica, possiamo sognare una Nuova Confederazione Balcanica che rispetti le diversità ma valorizzi le comunanze e faccia parte di un'Europa grande ma anche vitale e multiculturale, che sappia dialogare, convivere e cooperare con un Medio oriente a sua volta in pace ?
* Consulente in Cooperazione Internazionale, dal 1992 attivo in progetti di solidarietà e cooperazione in tutti i Balcani, ha scritto due libri di racconti e fotografie dedicati a Sarajevo e a Belgrado :
" Andrej a Belgrado " Roma 2002 Ediesse ed. , con prefazione di Sergio Cofferati
" Amina di Sarajevo " Roma 2005 Ediesse ed. , con prefazione di Predrag Matvejevic
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