Pensata come alternativa alla cooperazione UE, l'iniziativa Open Balkan, promossa da Serbia, Albania e Macedonia del Nord, si prefiggeva di creare un mercato comune regionale per permettere la libera circolazione di merci, servizi, capitali e persone. I motivi del suo fallimento
L’iniziativa Open Balkan, nota anche come “Mini Schengen”, è nata come un progetto di cooperazione regionale tra tre paesi dei Balcani occidentali: Albania, Macedonia del Nord e Serbia. Di fronte allo stallo del processo di allargamento, i leader dei paesi dei Balcani occidentali, non riuscendo a mantenere le promesse di un futuro europeo fatte ai cittadini, si sono trovati ad dover affrontare una situazione particolare. La prospettiva europea della regione, seppur non del tutto perduta, appariva decisamente ridimensionata dalle affermazioni dei più alti funzionari dell’UE secondo cui l’Unione doveva riformarsi prima di accettare nuovi membri.
Dopo lo stop all'allargamento annunciato nel 2014 dall’allora presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, ai Balcani occidentali è stato offerto un premio di consolazione: il cosiddetto Processo di Berlino, un’iniziativa di cooperazione regionale promossa dalla Germania. Si è trattato dell’ennesimo “trasferimento di responsabilità” – un progetto di cooperazione ideato all’interno dell’UE e poi affidato ai Balcani occidentali che lo dovevano implementare e sviluppare ulteriormente.
Open Balkan voleva essere l’esatto contrario: un progetto autoctono, sviluppato dai leader dei Balcani occidentali desiderosi di mostrarsi capaci di promuovere la cooperazione regionale. L'iniziativa è stata lanciata nell’ottobre del 2019 con una dichiarazione firmata a Novi Sad dai leader dei tre paesi coinvolti, a cui sono seguite altre due dichiarazioni congiunte, firmate a Tirana e Ohrid. L’idea era quella di creare un mercato comune, simile a quello dell’UE, per permettere la libera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone (le cosiddette “quattro libertà”).
Ognuno dei paesi coinvolti ha percepito i possibili vantaggi dell’iniziativa a modo suo. Per l’Albania, l’apertura del confine con il Kosovo avrebbe permesso agli albanesi di entrambi i paesi di godere delle quattro libertà senza alcun vincolo. La Serbia invece auspicava una distensione nei rapporti con il Kosovo, in quella che avrebbe potuto essere vista come una normalizzazione informale delle relazioni tra i due paesi. Infine, per la Macedonia del Nord l’iniziativa avrebbe rappresentato un’occasione per riconquistare slancio politico nel contesto regionale dopo che gli Accordi di Prespa – e il conseguente cambio di nome del paese – avevano lasciato l’amaro in bocca alla popolazione e alle élite politiche locali.
Nonostante l’entusiasmo iniziale, oggi l’iniziativa Open Balkan sembra ormai giunta ad un punto morto. Le ragioni di questo fallimento sono molteplici. L’insuccesso è in parte legato alla struttura stessa del progetto, promosso principalmente dal presidente serbo Aleksandar Vučić e dal primo ministro albanese Edi Rama, quindi da due leader politici disposti ad appoggiare iniziative regionali solo se possono trarne benefici sul piano della politica interna.
Secondo, Open Balkan non è mai riuscito a coinvolgere altri paesi della regione – come Montenegro, Bosnia Erzegovina e Kosovo – che sono rimasti scettici nei confronti dell’iniziativa e hanno preferito partecipare al Processo di Berlino.
Terzo, i cambiamenti geopolitici, provocati dall’aggressione russa all’Ucraina, hanno spinto l’UE a fare un’inversione di marcia nella politica di allargamento.
Nel marzo di quest’anno l’UE ha deciso di avviare i negoziati di adesione con la Bosnia Erzegovina. Qualche mese prima, anche la Moldavia e l’Ucraina hanno ricevuto il via libera all’apertura dei negoziati. Il rilancio del processo di allargamento ha fatto passare in secondo piano iniziative come Open Balkan, concepite come un’alternativa alla cooperazione promossa dall’UE.
Allo stesso tempo, il rinnovato impegno politico dell’UE nei confronti dei Balcani occidentali ha riattualizzato la questione della cooperazione regionale. Il processo di integrazione europea non può prescindere dal dialogo e dalla ricerca di soluzioni ad alcune questioni con cui le società post-belliche, come quelle ex jugoslave, inevitabilmente si confrontano.
Una revisione del Processo di Berlino, chiaramente finalizzata all’integrazione dei Balcani occidentali all’UE, potrebbe essere un buon punto di ripartenza. Fissando un traguardo preciso, il Processo di Berlino riuscirebbe a trasformarsi dall’ennesima iniziativa paternalistica ideata dai burocrati da fuori in un progetto abbracciato con entusiasmo dai paesi dei Balcani occidentali.
Un segnale positivo in questa direzione è il fatto che nel 2023 il summit annuale del Processo di Berlino si è svolto a Tirana , a differenza degli anni precedenti in cui ad ospitare il vertice sono stati i paesi dell’UE. Pur essendo perlopiù simbolico, questo cambiamento ricalca una delle poche idee che l’iniziativa Open Balkan è riuscita a promuovere con successo – quella di mettere in chiaro che si tratta di un progetto coerente, con protagonisti gli attori locali, e con al centro l'idea del mercato comune regionale ed europeo.
Il pieno allineamento dei Balcani occidentali alla politica estera e di sicurezza comune dovrebbe essere un requisito imprescindibile per l’avanzamento della regione verso l’UE, evitando così che la Russia sfrutti le faglie interne alla regione. Tale allineamento si rende necessario nell’attuale fase di riassetto dell’ordine globale in cui l’UE non può permettersi di avere al suo interno un altro leader come Orbán.
L'attuale congiuntura geopolitica si è rivelata cruciale per il rinnovato impegno dell’UE nei confronti dei Balcani occidentali, ma anche per la fine del progetto Open Balkan. Pur fallendo nel raggiungere la maggior parte degli obiettivi prefissati, Open Balkan è riuscito in parte a colmare il vuoto politico e strategico creatosi come conseguenza della cosiddetta “fatica da allargamento”.
Il premier albanese Edi Rama ha affermato che l’iniziativa Open Balkan ha raggiunto il suo scopo, inviando così un chiaro messaggio che l’Albania si sta focalizzando su altre priorità. Il futuro della cooperazione regionale nei Balcani occidentali passa da un chiaro progetto di integrazione europea, promosso da Bruxelles e privo di teatralità e giochi politici come quelli messi in atto dai leader balcanici durante l’esperimento Open Balkan.
Questo articolo è stato scritto nell'ambito del progetto "CORE: Cooperazione Regionale nei Balcani Occidentali".
Il progetto è realizzato con il contributo dell’Unità di Analisi, Programmazione, Statistica e Documentazione Storica – Direzione Generale per la Diplomazia Pubblica e Culturale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, ai sensi dell’art. 23 – bis del DPR 18/1967. Le opinioni contenute nella presente pubblicazione sono espressione degli autori e non rappresentano necessariamente le posizioni del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
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