A dieci anni dalla sanguinosa disgregazione della ex-Jugoslavia e alle soglie di un nuovo conflitto - quello macedone - il sud-est Europa comincia ad essere nuovamente visitato da viaggiatori stranieri, più o meno coscienti della storia e dell'attuale situazione dei luoghi che attraversano. Questo pare essere l'anno del record di presenze turistiche in Croazia, dei turisti "di transito" in Bosnia Erzegovina, della ricomparsa di un timido "turismo autoctono" sulle coste montenegrine nella Repubblica Federale Jugoslava. Tutto fa credere che agli occhi degli stranieri, la ex-Jugoslavia sia finalmente tornata ad essere terreno fertile per vacanze di totale relax a prezzi stracciati. Ma la realtà possiede anche altre facce.
Dagli approfondimenti realizzati dai collaboratori dell'Osservatorio sul tema del turismo nei Balcani, che oramai vengono citati dai mass-media solo in caso di nuovi conflitti, di nuove liste di candidati al Tribunale de L'Aja oppure di storie eclatanti di corruzione, emerge un quadro più complesso e composito. E questo primo spaccato offre già materiale per una prima riflessione sugli effetti che le modalità con cui questi paesi si stanno aprendo all'arrivo dei visitatori stranieri, possono avere sulla popolazione locale. Un tipo di riflessione generale che qualcuno, nell'ambito dell'associazionismo italiano, si è posto da tempo avviando ora i primi viaggi sperimentali di "turismo responsabile" nell'area. Si tratta dell'Associazione Progetto Prijedor - Onlus e dell'Associazione Tremembé - Onlus, che grazie al loro programma "Vicino e comunque lontano...Alla scoperta del fiume degli smeraldi" nella settimana in corso stanno compiendo un primo viaggio guidato in Bosnia Erzegovina, con l'intento di coniugare turismo con cultura, crescita sociale, cooperazione decentrata e sviluppo umano.
A dieci anni dalla sanguinosa disgregazione della ex-Jugoslavia e alle soglie di un nuovo conflitto - quello macedone - il sud-est Europa comincia ad essere nuovamente visitato da viaggiatori stranieri, più o meno coscienti della storia e dell'attuale situazione dei luoghi che attraversano. Questo pare essere l'anno del record di presenze turistiche in Croazia, dei turisti "di transito" in Bosnia Erzegovina, della ricomparsa di un timido "turismo autoctono" sulle coste montenegrine nella Repubblica Federale Jugoslava. Tutto fa credere che agli occhi degli stranieri, la ex-Jugoslavia sia finalmente tornata ad essere terreno fertile per vacanze di totale relax a prezzi stracciati. Ma la realtà possiede anche altre facce.
Dagli approfondimenti realizzati dai collaboratori dell'Osservatorio sul tema del turismo nei Balcani, che oramai vengono citati dai mass-media solo in caso di nuovi conflitti, di nuove liste di candidati al Tribunale de L'Aja oppure di storie eclatanti di corruzione, emerge un quadro più complesso e composito. E questo primo spaccato offre già materiale per una prima riflessione sugli effetti che le modalità con cui questi paesi si stanno aprendo all'arrivo dei visitatori stranieri, possono avere sulla popolazione locale. Un tipo di riflessione generale che qualcuno, nell'ambito dell'associazionismo italiano, si è posto da tempo avviando ora i primi viaggi sperimentali di "turismo responsabile" nell'area. Si tratta dell'Associazione Progetto Prijedor - Onlus e dell'Associazione Tremembé - Onlus, che grazie al loro programma "Vicino e comunque lontano...Alla scoperta del fiume degli smeraldi" nella settimana in corso stanno compiendo un primo viaggio guidato in Bosnia Erzegovina, con l'intento di coniugare turismo con cultura, crescita sociale, cooperazione decentrata e sviluppo umano.
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