Cautela dei principali politici bosniaci sulla dichiarazione di indipendenza di Pristina, le posizioni restano per ora all'interno del quadro definito da Dayton. Manifestazioni a Banja Luka
La Bosnia Erzegovina ha seguito con preoccupazione ma in un'atmosfera di sostanziale calma la proclamazione di indipendenza del Kosovo e gli eventi che ne sono seguiti a Pristina, Mitrovica e Belgrado. Nelle loro prime dichiarazioni, i politici serbo bosniaci si sono mostrati più orientati ad utilizzare la questione kosovara per rafforzare la posizione della Republika Srpska all'interno del Paese che per spingersi al di fuori della cornice di Dayton. La Bosnia Erzegovina sembra dunque avviata a restare saldamente all'interno del quadro di stabile instabilità definito dagli accordi di pace firmati 13 anni or sono. Almeno per ora. Il botto innescato ieri a Pristina, infatti, non è ancora stato del tutto metabolizzato. Molto dipenderà dall'evoluzione degli avvenimenti nei prossimi giorni, e in particolare dalla posizione che assumeranno le cancellerie europee e internazionali. Se il risultato del 17 febbraio di Pristina dovesse essere comunicato come l'acquiescenza delle principali democrazie alla politica della costituzione di Stati su base nazionale, significherebbe che davvero il processo di disgregazione della Jugoslavia, come ritengono alcuni osservatori, non è ancora terminato. La delicata architettura istituzionale bosniaca sarebbe in questo caso la prima candidata nella regione a subire possibili contraccolpi.
I tre principali leader della Republika Srpska, Milorad Dodik (premier), Rajko Kuzmanovic (presidente) e Igor Radojicic (presidente del Parlamento), hanno emesso una dichiarazione congiunta nella serata di ieri, affermando che i cittadini della RS hanno il diritto di protestare in forma pacifica e dignitosa contro questo atto unilaterale ma che ogni incidente, provocazione o azione violenta sarebbe contrario agli interessi della RS, danneggiandone la stabilità politica.
Il premier Dodik ha inoltre dichiarato all'agenzia Srna che la proclamazione di Pristina rappresenta "un evidente calpestare tutte le convenzioni internazionali", aggiungendo in modo sibillino che la RS e i suoi cittadini devono in questo momento rimanere calmi e "trarre insegnamento da questa dichiarazione unilaterale di indipendenza".
Alla domanda su cosa potrebbe accadere se l'opinione pubblica in RS reclamasse un referendum per l'indipendenza dell'entità, Dodik ha dichiarato che ogni processo deve avere una propria legittimità e che deve prima essere chiaro se il suo risultato possa essere riconosciuto in maniera legale oppure no.
Una sessione speciale dell'assemblea parlamentare della RS si terrà nella giornata di oggi, lunedì, a Banja Luka, per adottare una posizione ufficiale sul Kosovo e discutere la situazione creatasi dopo la dichiarazione di Pristina.
Diverse associazioni e organizzazioni non governative, intanto, hanno invitato i cittadini a scendere in piazza e protestare. Le manifestazioni però, per il momento, non hanno però avuto molto seguito.
Gli organizzatori di queste prime manifestazioni, tuttavia, hanno rilasciato alcune dichiarazioni sulla questione del possibile referendum. Dane Cankovic, presidente della ong "La scelta è nostra", ha dichiarato che questo era solo l'inizio e che in marzo verrà organizzata una grande manifestazione per chiedere al premier Dodik di mantenere le sue promesse elettorali sul referendum per l'indipendenza della Republika Srpska.
Il leader del cartello di ong "Spona", Branislav Dukic, ha invece dichiarato che la propria organizzazione chiederà all'assemblea parlamentare di Banja Luka di dichiarare l'indipendenza della RS nel caso che l'Europa e gli Stati Uniti riconoscano l'indipendenza del Kosovo, senza il bisogno che venga organizzato un referendum sulla questione.
Dukic ha anche sostenuto che, nel caso in cui i Paesi della ex Jugoslavia riconoscano l'indipendenza kosovara, tutti i poteri che in questi anni sono stati trasferiti dal livello delle entità a quello statale dovrebbero essere restituiti.
Sotto il profilo istituzionale, la questione più delicata che la Bosnia Erzegovina dovrà affrontare è quella dell'eventuale riconoscimento del Kosovo. Dodik ha però già lasciato chiaramente intendere che la RS, attraverso i propri rappresentanti nelle istituzioni comuni, non autorizzerà mai il riconoscimento della dichiarazione di Pristina.
In realtà anche i rappresentanti bosgnacco (bosniaco musulmano) e croato dell'ufficio di presidenza bosniaco hanno dimostrato grande cautela.
Haris Silajdzic ha infatti dichiarato che l'indipendenza del Kosovo non riguarda la Bosnia, e che le istituzioni bosniache non permetteranno che la questione abbia conseguenze negli affari interni del Paese.
Il rappresentante croato invece, Zeljko Komsic, ha ribadito che la Bosnia Erzegovina non ha nessuna fretta di riconoscere l'indipendenza del Kosovo, affermando che su questo esiste un consensus all'interno dell'ufficio di presidenza.
Il clima politico sembra riassunto dalle dichiarazioni dell'attuale Alto Rappresentante della comunità internazionale in Bosnia Erzegovina, Miroslav Lajcak: "La RS non ha il diritto di secedere dalla BiH, allo stesso tempo nessuno può abolire unilateralmente la RS". Come 13 anni fa insomma.
Le maggiori proteste, per ora, sono state rivolte contro la decisione del servizio pubblico radiotelevisivo bosniaco (BHRT) di mandare in onda in diretta la cerimonia di proclamazione dell'indipendenza del Kosovo.
Mladen Ivanic, ex ministro degli Esteri della BiH e leader del Partito del Progresso Democratico, ha definito la decisione del canale televisivo come "un attacco diretto contro i serbo bosniaci".
Il presidente del Partito Democratico Serbo Mladen Bosic ha invece dichiarato che i cittadini della RS devono decidere se continuare a finanziare il servizio pubblico della Bosnia Erzegovina, un canale che manda in onda cose "che loro non vogliono vedere" come la proclamazione d'indipendenza del Kosovo.
Secondo Rajko Vasic, del Partito Socialdemocratico Indipendente (lo stesso del premier Dodik), la decisione della BHRT dimostra che la televisione pubblica opera contro i serbi e i croati unicamente nell'interesse dei bosgnacchi. Secondo Vasic il servizio pubblico dovrebbe ritornare di competenza delle entità, come definito dagli accordi di Dayton.
Dayton e le entità, appunto. Le polemiche si limitano a questa dimensione, nulla di nuovo per lo scenario politico bosniaco. Almeno per il momento.
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