Modesto, intelligente, abile e leggendario: a Graz lo scorso 1 maggio è morto Ivica Osim (1941-2022), maestro del calcio sarajevese, jugoslavo ed europeo. Il ricordo dello scrittore Božidar Stanišić
La notizia della morte dello Strauss di Grbavica è stata riportata dai principali giornali, riviste e portali dedicati allo sport di tutto il mondo, suscitando un’eco particolarmente forte in Bosnia Erzegovina e nell’intero spazio post-jugoslavo, tanto che sembrava che le nostre guerre, divisioni e polemiche non si fossero mai verificate e che fossero solo un brutto sogno. La scomparsa di Ivica Osim ha suscitato immediate reazioni anche in Austria, Grecia e Giappone, dove Osim aveva ricevuto molti riconoscimenti e raggiunto grande fama come allenatore, nonché in Francia, dove il celebre Crucco [uno dei soprannomi di Osim] aveva concluso la sua carriera da calciatore.
Diciamo brevemente qualche parola sulla vita di Ivica Osim. Brevemente, perché credo che se avesse potuto sentire e leggere tutto ciò che in questi giorni è stato detto e scritto su di lui, Osim, da uomo e atleta che alle parole preferiva azioni concrete, avrebbe detto: “Fatela breve, per favore”.
Allora riporto qui di seguito alcune frasi tratte da varie biografie di Osim, accompagnate da una serie di osservazioni fatte da alcune persone che, a differenza di me, si intendono di calcio.
Ivica Osim nacque nel 1941 a Sarajevo, nel quartiere di Hrasno, da una famiglia appartenente alla classe operaia. Suo padre faceva il fabbro e sua madre era casalinga. La famiglia Osim era una vera e propria Europa in miniatura: il nonno paterno di Ivica era sloveno e la nonna paterna era di origine tedesca; il suo nonno materno invece era originario della Polonia, mentre la sua nonna materna proveniva da un famiglia ceca. Ivica si è sempre dichiarato jugoslavo. Al liceo era uno dei più bravi in matematica, tanto che fu esonerato dall’esame di maturità (non a caso, come è stato più volte notato, Ivica eseguiva passaggi con precisione matematica!). Terminati gli studi liceali, si iscrisse alla facoltà di Matematica di Sarajevo, prendendo un 9 al primo esame [in ex Jugoslavia il voto minimo per superare un esame universitario era 6, quello massimo 10]. Alla fine però prevalse l’amore per il calcio.
Trascorrendo gli anni giovanili nel quartiere sarajevese di Grbavica, Osim iniziò a giocare attivamente a calcio nel FK Željezničar. Fece il suo esordio in prima squadra nella stagione 1959-60, continuando a giocare nel club di Grbavica per ben undici anni. In 250 partite giocate con la maglia dello Željo segnò 75 gol. Giocò sedici partite con la nazionale jugoslava, segnando otto gol, di cui quattro alle Olimpiadi di Tokyo del 1964. Nel 1967 fu proclamato miglior calciatore jugoslavo. Fu uno dei migliori giocatori della nazionale jugoslava nelle qualificazioni al campionato europeo del 1968, ma a causa di un infortunio non poté contribuire al raggiungimento del secondo posto della nazionale jugoslava (in un’indimenticabile finale ripetuta, la Jugoslavia fu sconfitta dall’Italia.) Una breve nota: il capitano di quella nazionale jugoslava fu Mirsad Fazlagić, il terzino di quella celebre squadra del FK Sarajevo che vinse numerosi trofei. Il gol segnato da Dragan Džajić al penultimo minuto della partita contro l’Inghilterra è entrato in tutte le antologie dei gol più belli della storia.
Nel 1970 Osim si trasferì in Francia, dove giocò in varie squadre (Strasbourg, Sedan, Valenciennes). Concluse la sua carriera da giocatore nel 1978, per poi avviarsi ad una fortunata carriera da allenatore. Dal 1978 al 1986 fu allenatore dello Željo, con cui raggiunse grandi risultati. Fu anche allenatore dell’ultima nazionale jugoslava, quella che al campionato mondiale del 1990 in Italia perse ai calci di rigore contro l’Argentina. Guidò la nazionale di una Jugoslavia che si stava dissolvendo e che nel 1992 fu esclusa dal campionato europeo svoltosi in Svezia (il campionato fu vinto dalla Danimarca, che l’ultima nazionale jugoslava, quella guidata da Osim, aveva eliminato nelle qualificazioni).
Osim fu invitato ben due volte a guidare il Real Madrid, ma rifiutò l’offerta del celebre club spagnolo, confessando successivamente, a se stesso e agli altri, che sedersi sulla calda panchina della squadra di Madrid sarebbe stata una sfida troppo rischiosa.
Nel corso della sua carriera Osim fu allenatore di varie squadre: Partizan, Panathinaikos, Sturm, JEF United. Lo Sturm di Graz lo considera il miglior allenatore del XX secolo, avendo alla fine degli anni Novanta riportato la squadra austriaca ai vertici del calcio europeo. Il suo ultimo incarico fu quello di commissario tecnico della nazionale giapponese. Dopo essere stato colpito da un ictus decise di concludere definitivamente la sua carriera da allenatore. Il Giappone lo ringraziò conferendogli il suo più alto riconoscimento per meriti sociali e sportivi.
Ivica fu un calciatore atipico rispetto ai canoni del tempo, molto alto, con un passo particolarmente lungo. La sua tecnica e la facilità con cui superava i giocatori della squadra avversaria rimarranno indimenticabili. Sembrava che tutti i giocatori attorno a lui stessero cadendo, e quando non creava spazi decisivi per i suoi compagni di squadra, segnava lui stesso gol decisivi. I giornalisti che seguivano le partite spesso si meravigliavano chiedendosi come Osim riuscisse a fare così tante acrobazie con movimenti insolitamente lenti. Lo stile di gioco di Osim assomigliava ad un valzer ed è per questo che fu soprannominato lo Strauss di Grbavica, dal nome del “padre del valzer”, Johann Strauss. L’altro soprannome, il Crucco, lo ottenne a causa dei suoi capelli biondi. Si diceva che solo Pelé, Osim e Šekularac fossero capaci di superare l’avversario nell’uno contro uno in uno spazio ristrettissimo. Forse per questo al suo arrivo in Francia un giornalista si rivolse a Osim chiamandolo “Monsieur Millimètre“?
I nostri parenti di Sarajevo erano divisi: alcuni tifavano per il FK Sarajevo, altri per lo Željezničar. Ricordo che in quegli ormai lontani anni Sessanta i miei genitori spesso dicevano: “Lo zio Pero e lo zio Ceto hanno nuovamente litigato!”. I miei zii, oltre ad essere parenti, erano anche grandi amici, ma bastava una piccola scintilla per far esplodere la loro rivalità. Lo zio Pero riteneva che nessuno giocasse a calcio meglio dello Strauss di Grbavica e del Signore con le scarpe da calcio, come veniva chiamato Mišo Smajlović, il celebre marcatore dello Željo. Lo zio Ceto, invece, considerava Asim Ferhatović il miglior calciatore in assoluto. Litigavano anche su chi fosse il miglior portiere: Vasilije Radović dello Željo o Refik Muftić e Ibrahim Sirčo del FK Sarajevo. Ricordo anche le radiocronache in diretta delle partite, la voce rauca di Mirko Kamenjašević, padre del giornalismo sportivo jugoslavo, e l’immancabile canzone “Četiri mladića idu s Trebevića” [Quattro ragazzi scendono dal monte Trebević]. I ragazzi si affrettano per raggiungere lo stadio, la partita sta per iniziare. Sono allegri e “accompagnati da canti e sorrisi”. Poi nello stadio iniziano a risuonare le urla: “Željo, Željo!”, “Sarajvo, Sarajvo!” (ai sarajevesi piace saltare le vocali tanto quanto mangiare le tulumbe [un tipico dolce bosniaco]!).
Ivica Osim visse il momento più difficile della sua carriera nella primavera del 1992 a Belgrado. Il 23 maggio 1992 Osim rassegnò le dimissioni da allenatore della nazionale jugoslava. Nel corso di una conferenza stampa convocata per l’occasione, Osim disse di essersi dimesso per motivi personali che – come sottolineò – dovevano essere chiari a tutti, riferendosi ovviamente all’assedio di Sarajevo, sua città natale. Osim riteneva che il minimo che potesse fare in quella situazione fosse dimettersi da allenatore della nazionale. Poco dopo si trasferì in Grecia, dove viveva “all’antica”, con la moglie Asima, con cui ha condiviso 58 anni della sua vita, e i loro tre figli. Anche uno dei figli di Ivica, Amar, dopo una breve esperienza da calciatore, ha intrapreso la strada dell’allenatore.
Osim non si è mai sottratto alla sfida della riconciliazione nella complicata realtà della Bosnia Erzegovina post-bellica, nemmeno nell’ultimo periodo della sua vita, nonostante la sua salute fosse ormai compromessa. Ivica verrà ricordato nella storia del calcio bosniaco-erzegovese, ma anche nella storia della Fifa, come colui che nel 2011 era riuscito a ricucire i rapporti tra le federazioni calcistiche delle due entità che compongono la Bosnia Erzegovina, la Federazione BiH e la Republika Srpska. Ivica e sua moglie furono molto impegnati anche in attività umanitarie. Alle domande sul suo impegno umanitario Osim rispondeva malvolentieri, con poche parole, attenendosi ad un antico principio etico, ormai quasi dimenticato: “Non sappia la mano sinistra quel che fa la destra”.
Ivica non ha mai voluto sbandierare la sua popolarità [1], proprio mai. Parlava solo quando aveva qualcosa da dire e quando qualcuno gli poneva una domanda. Ricordo alcune sue affermazioni perché mi piace annotare i pensieri delle persone modeste e intelligenti.
Sul passato e il presente del calcio: “Un tempo quelle partite erano più belle, con più cultura e qualità, ma...”.
Sul calcio e il senso dell’esistenza: “Ci sono anche altri valori, non conta solo il denaro”.
Sulla Jugoslavia e sulla nostra mentalità: “La grande Jugoslavia dava fastidio a molti. Era un paese prospero, vivevamo una vita normale, senza preoccupazioni, creativa, e credevamo fosse giusto così. Non abbiamo mai lavorato troppo, ma non ci mancava nulla. Vivevamo una vita agiata, costellata di successi. Ma non ci rendevamo conto che ciò dava fastidio a qualcuno, a quel mondo abituato a lavorare dalla mattina alla sera e a ottenere risultati con sangue e sudore, sia nel calcio che nella vita quotidiana [...] Allora qualcuno ha deciso che questo nostro sogno doveva finire. Da noi i talenti nascevano come funghi. C’erano molte persone brillanti, molta speranza, non immaginavamo nemmeno cosa stesse per accadere. Eravamo ignari di quei cambiamenti tettonici che ci colsero di sorpresa e poi è accaduto quello che è accaduto. Non siamo ancora tornati alla ragione [...] Siamo tutti intrappolati in quella mentalità, dobbiamo essere i migliori o i peggiori, nel cielo o nell’abisso. Da noi non esiste una via di mezzo né tanto meno una vita tranquilla dedita al lavoro. Tendiamo a esaltare i successi, mentre i fallimenti ci trascinano a fondo. Non abbiamo imparato nulla dai nostri errori”.
Osim – per una strana coincidenza? – si è spento nella patria del padre del valzer, a Graz, dove i tifosi dello Sturm hanno chiesto al consiglio comunale di intitolare una strada allo Strauss di Grbavica. Ma non qualsiasi strada, bensì una delle principali strade della città che porta allo stadio.
Post scriptum
Ho letto centinaia di commenti alla notizia della morte di Ivica Osim. Concludo questo articolo commemorativo citandone due.
“Era come se Ante Marković e Branko Čopić si fossero incontrati in una persona“.
“Riposati, Crucco!”
[1] Nel 1999 l’emittente televisiva austriaca ORF/3 mandò in onda un documentario dedicato a Ivica Osim intitolato “Mein Sarajevo”. Sempre nel 1999 il giornalista Sabahudin Topalbećirević girò un documentario su Osim e il FK Željezničar, intitolato “La storia azzurra“. A Ivica Osim sono stati dedicati anche molti libri, tra cui: “Ivica Osim: Das Spiel des Lebens“ [Ivica Osim: il gioco della vita, 2001], autori Gerd Enzinger e Tom Hofer; “Die Welt ist alles was der Ball ist“ [Il mondo è un pallone, 2002), autori Stefan Schennach e Ernst Draxl; オシムの言葉 [Le parole di Osim, 2005], autore Kimuro Yukihiko; “Ivica Osim – Utakmice života, biografija“ [Ivica Osim – le partite della vita, una biografia, 2014], autore Marko Tomaš.
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