Sono trascorsi ormai trent'anni dalla messa in onda della serie tv dedicata al famoso poeta Aleksa Šantić. Lo scrittore Božidar Stanišić ci riporta ad un mondo ormai scomparso raccontandoci di Šantić e dell'ultima grande serie televisiva jugoslava, trasmessa nella primavera del 1992
Alla fine degli anni Ottanta scrissi una recensione del libro Aleksa Šantić – roman o pjesniku [Aleksa Šantić – un romanzo dedicato al poeta] di Josip Lešić (1929-1993), teatrologo e regista teatrale e cinematografico originario di Sarajevo. Se non erro, la recensione fu originariamente ripresa all’interno di un programma radiofonico andato in onda su Radio Zagreb, per poi essere pubblicata sul quotidiano Oslobođenje.
Pochi giorni dopo la pubblicazione della recensione ricevetti una chiamata. Per un attimo rimasi perplesso non avendo riconosciuto la voce dall’altra parte della cornetta. Poi il mio interlocutore si presentò con nome e cognome: “Josip Lešić“. Rimasi lusingato quando Lešić mi disse che avevo colto bene le principali caratteristiche di quel romanzo biografico [1], compresa l’atmosfera filmica che permea l’intero libro.
Qualche tempo dopo ricevetti una lettera da Lešić (quei tempi sembrano ormai preistoria, tempi in cui nella cassetta della posta non trovavo solo bollette e pubblicità e mi piaceva intrattenere scambi epistolari) che si concludeva con un post scriptum che recitava: “Quella tua osservazione... sull’atmosfera filmica? A breve arriverà una sorpresa!“.
E così... in quel lontano 1990, alla vigilia di tutte le nostre jugo-separazioni, le “famose“ guerre e ancora più famose divisioni, fu realizzata l’ultima grande serie televisiva jugoslava, intitolata “Aleksa Šantić“ e co-prodotta da TV Beograd, TV Ljubljana e TV Sarajevo. La sceneggiatura, basata sul summenzionato romanzo di Lešić, fu scritta da quest’ultimo insieme a Đorđe Lebović, mentre il copione finale fu realizzato da Abdulah Sidran, Tarik Haverić e Bojana Andrić. La regia fu affidata ad Aleksandar Jevđević e la colonna sonora a Ranko Rihtman. La voce che canta le poesie di Šantić è quella di Dragan Stojnić.
Tra gli interpreti, oltre a Branislav Lečić [2] nel ruolo di Aleksa Šantić, troviamo anche Snežana Bogdanović e Alma Prica rispettivamente nel ruolo di Anka Tomlinović e Zorka Šola, due grandi amori del poeta. Accanto ai 126 attori di tutto il paese, nella realizzazione della serie furono coinvolte circa 7500 comparse.
La serie “Aleksa Šantić“– che ripercorre con grande eloquenza la vita del celebre poeta mostarino – fu girata nelle autentiche località di Mostar, Trieste, Stolac, Lubliana e di altre 19 città. Le riprese durarono ben 282 giorni.
Fu proprio il cast, composto da attori provenienti da tutto il paese, a conferire a questa serie – nonché al film Moj brat Aleksa [Mio fratello Aleksa] realizzato nel 1991 come una sorta di riassunto della storia raccontata nella serie – una dimensione autenticamente jugoslava. Oltre agli attori già citati, ricordo anche Aleksandar Berček, Miralem Zupčević, Uroš Kravljača, Dragana Varagić, Nada Ɖurevska, Miodrag Krivokapić, Boro Stjepanović, Gojko Šantić, Jozo e Zvonko Lepetić, Mustafa Nadarević, Zaim Muzaferija.
Forse vi siete annoiati leggendo tutti questi dati, ma non aspettatevi che io mi scusi. Ho citato i dati di cui sopra per ricordare che oggi possiamo solo fantasticare su un progetto regionale così ampio e intelligente come la serie “Aleksa Šantić”. Mi perdonino quei giovani lettori che ora si scervellano cercando di capire quali attori, tra quelli sopra citati, siano ancora tra noi e quali invece se ne siano andati. Mi perdonino anche i lettori di una certa età se ho risvegliato i loro ricordi di quella serie, ma anche dei giorni più incerti di quella lontana primavera del 1992 in Bosnia Erzegovina. Quei giorni incerti ben presto lasciarono il posto ai giorni di terrore. Giorni di guerra.
La serie “Aleksa Šantić“ venne mandata in onda proprio alla vigilia delle guerre jugoslava. Un racconto televisivo della vita del poeta mostarino che sognava una vera convivenza in Bosnia Erzegovina, un poeta di nazionalità serba, il quale però non si lasciò mai trasportare dalla tendenza, che proprio in quel periodo iniziò a diffondersi sempre di più, a sbandierare la propria appartenenza nazionale: una tendenza, a ben guardare, non circoscritta al popolo serbo, bensì diffusa in tutta l’area che si estende dalla Caravanche a Ohrid, ma sempre e comunque deplorevole e assurda. Ed è una tendenza che, seppur in misura minore rispetto al passato, ancora oggi risulta politicamente vantaggiosa in tutta la regione.
Credo di aver visto solo i primi sei episodi della serie “Aleksa Šantić“. Forse anche il settimo? Non so nemmeno perché non sia mai stato mandato in onda il nono e ultimo episodio. Quanto alle affermazioni secondo cui il materiale registrato, presumibilmente, si trova a Lubiana, ritengo sia meglio tacere che commentare fatti “presumibilmente“ accaduti. Ad ogni modo, tutto questo oggi importa ben poco.
Ciò che importa è che, nemmeno a distanza di tre decenni dalla prima messa in onda, questo grande progetto televisivo non ha perso nulla della sua forza artistica e del suo valore culturale. “Aleksa Šantić“ non è solo un adattamento televisivo della biografia del grande poeta ispirato allo splendido romanzo di Josip Lešić, ma è anche un ampio affresco del dinamico susseguirsi di varie epoche, ossia del passaggio dall’epoca ottomana a quella austroungarica, e poi, dopo la Grande guerra, a quella jugoslava. Il libro di Lešić ha fornito le basi per la realizzazione di un racconto televisivo intenso e interessante che ci permette di avere un quadro più completo di quel complesso periodo storico. L’enfasi è posta sulla città di Mostar e sul suo risveglio economico e culturale, ma anche, seppur implicitamente, sulla Bosnia Erzegovina, con tutte le sue contraddizioni, ereditate dalla lunga epoca ottomana.
La serie ripercorre in modo approfondito e schietto la vita di Šantić uomo, poeta, traduttore, intellettuale attivamente impegnato nella promozione della cultura come bene comune. Anche nella serie, esattamente come nel romanzo di Lešić, il dramma interiore che attanagliava Šantić – un vero conflitto tra desideri personali e rigide regole patriarcali che gli furono imposte dalla sua famiglia, una famiglia serba, rinomata e benestante – viene rappresentato senza alcuna idealizzazione della figura del poeta.
Šantić dovette lottare per evitare di rimanere per sempre relegato ad una vita da commerciante e per affermarsi come poeta e lavoratore culturale in una Mostar in cui il passaggio dall’amministrazione ottomana a quella austroungarica portò al risveglio delle potenzialità non solo imprenditoriali, ma anche culturali delle giovani generazioni. Una battaglia che Šantić non riuscì mai a vincere definitivamente, così come non riuscì a trovare la forza per superare gli ostacoli frapposti al suo amore per Anka, figlia del fotografo Tomlinović, croato e cattolico. Il poeta si arrese davanti all’intransigenza di sua madre. Un’intransigenza religiosa ed etnica, a quel tempo facilmente riscontrabile non solo nel contesto familiare e sociale serbo (e ortodosso), ma anche in quello croato (e cattolico), bosgnacco (e musulmano) ed ebreo.
L’ampia prospettiva da cui viene raccontato questo fenomeno è solo uno dei tanti aspetti di questa serie che contribuiscono alla schiettezza dell’approccio adottato dagli autori nel rappresentare la vita politica, sociale, culturale e religiosa della Mostar di Šantić, una città dove, proprio quell’anno in cui andò in onda la serie dedicata al grande poeta, tornarono a parlare le armi, impugnate dai ferventi oppositori di qualsiasi forma di convivenza non solo a Mostar, ma nell’intera Bosnia Erzegovina. Che coincidenza! Così grande da spingere anche il più impenitente degli ottimisti a lasciarsi sommergere da pensieri incentrati sulla potenza del Male e sulla fragilità del Bene.
Perdonatemi una digressione personale. Quella lontana estate del 1992, quando, giunto in Slovenia, non sapevo più chi fossi, un “profugo“ o un “disertore“, di notte ascoltavo anche le notizie dalla Bosnia. Avevo una piccola radio a transistor, talmente piccola che poteva stare sul palmo di una mano, con un’antenna che assomigliava ad uno stecchino per arrosticini. L’assedio di Sarajevo, le battaglie per il controllo di Mostar... L’estate successiva, in Friuli: sullo schermo televisivo si susseguivano le immagini delle macerie in cui fu ridotto il viale della Fratellanza e dell’unità (Bulevar bratstva i jedinstva) a Mostar. Vennero più volte menzionati anche feroci combattimenti...
in via Aleksa Šantić!
Quindi, in una via che portava il nome di uno dei primi intellettuali mostarini ad impegnarsi per costruire una convivenza pacifica nella propria città e nel proprio paese natale! Anche questo aspetto viene sottolineato nella serie televisiva dedicata a Šantić, e nello stesso contesto viene citata anche una sua poesia intitolata “Ostajte ovdje“ [Rimanete qui], un invito fraterno rivolto ai musulmani affinché rimanessero in Bosnia dopo il passaggio, avvenuto nel 1878, dal governo ottomano a quello austro-ungarico.
Ma la Storia in movimento, soprattutto se scritta da persone con un’anima angusta e una mente ancora più angusta, sa essere molto ironica e grottesca. Ironica e grottesca fu anche quell’operazione con cui gli estremisti croati distrussero una statua di Aleksa Šantić (Vent’anni dopo, dalla Neretva in secca è riemerso il volto bronzeo del poeta, danneggiato dalle granate. C’è bisogno di aggiungere che l’acqua è più pulita delle menti offuscate?).
Nella lunga, troppo lunga storia post-bellica di Mostar, della Bosnia e dell’intera regione, nessuna persona che è rimasta sana di mente (o che almeno cerca di rimanere tale) ha cambiato la propria opinione su Šantić; niente e nessuno è riuscito a screditare la figura di Šantić agli occhi di chi ha letto le sue opere e di chi ha ascoltato alcune delle sue poesie che spesso vengono cantate come se fossero canti popolari. Mi riferisco innanzitutto alle poesie Emina e Što te nema [Perché non ci sei]. Nel periodo più fecondo e maturo della sua produzione artistica, ossia nel primo decennio dello secolo scorso, Šantić riuscì a far coesistere nelle sue opere lo spirito e la morbidezza della sevdalinka con le tendenze moderniste europee, soprattutto con l’impressionismo.
Ogni volta che riprendo a leggere Šantić parto inevitabilmente dalle sue poesie Veče na školju [Una sera sugli scogli] e Pretprazničko veče [La sera prima della festa]. Nella prima poesia, scritta con grande maestria poetica, Šantić ci offre una visione cosmica della sofferenza umana, mentre nella seconda ci ricorda che ognuno di noi, prima o poi, sarà costretto ad affrontare la sofferenza e il dolore che si nascondono dietro alla porta dei ricordi.
Che Šantić fosse stato un uomo (prima ancora di essere artista) lo dimostrano anche i seguenti versi tratti da una sua poesia Molitva [Preghiera]:
Dio, tu che in questo spazio infinito
Mi hai dato un mondo, che nessuno conosce,
Innestando una luce splendente nella mia anima
E rendendomi avvezzo ai dolori e alle sofferenze...
Lascia cadere nel mio cuore una stilla della tua Grazia
E placa il tumulto dell’animo esagitato:
Affinché io possa perdonare persecuzioni e malvagità
E abbracciare il mondo intero stretto al mio petto...
Eh quante cose si potrebbero scrivere su Šantić?! E quanto inchiostro, pardon elettricità, ci vorrebbe per raccontare le sue amicizie (soprattutto quella con lo scrittore Svetozar Ćorović), la sua attività di traduttore e drammaturgo, e poi per dire qualcosa su Crnjanski che, pur non avendo letto le opere di Šantić, sosteneva di non aver mai conosciuto nessuno capace di raccontare la propria città in modo così meraviglioso come Šantić?
Non posso però concludere questo articolo senza dire qualche parola sulla morte del poeta.
La città di Mostar ricorda ancora che pochi giorni prima della morte di Aleksa Šantić da Sarajevo giunse un coro serbo denominato “Sloga“ [Unità] e, sotto la finestra del poeta, cantò Emina. Ad un certo punto Šantić si avvicinò alla finestra e agitò la mano in segno di saluto. Mostar ricorda anche il funerale del poeta. Un funerale – ed è un punto su cui ancora oggi tutti i mostarini concordano, nonostante le divisioni e la sfiducia tra diversi gruppi etnici – che non si era mai visto prima e mai più si vedrà. Alla cerimonia, che durò cinque ore, era presente tutta la città, riunita per dare l’ultimo saluto al poeta, accompagnando la salma da Brankovac [quartiere dove viveva Šantić] fino al cimitero di Bjelušine. La deposizione della salma nel loculo si svolse alla luce delle torce, accompagnata dal suono delle campane e dal canto del muezzin.
Oggi a Mostar, oltre ad una stanza memoriale [3], a Šantić è dedicata anche una strada, un monumento, un parco e un circolo dei lettori. Tuttavia, il celebre ginnasio di Mostar, situato nel centro storico della città, frequentato da molti famosi intellettuali mostarini, non è ancora tornato ad essere intitolato a Šantić.
Post scriptum
Pensai al grande poeta di Mostar mentre, una ventina di anni fa, a bordo di un traghetto, passavo accanto alla roccia di Lorelei sul fiume Reno. Heine fu il poeta preferito di Šantić. Per tutta la sua vita Šantić aveva letto e tradotto le opere del poeta che, pur scrivendo in tedesco, custodiva nel profondo dell’animo le sottili corde della poesia d’Oriente.
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[1] Nell’ultima fase della sua vita Lešić pubblicò altri due interessanti libri biografici, uno dedicato al poeta Sibe Miličić e all’altro alla filantropa inglese Miss Adeline Irby, nonché una monografia dedicata al commediografo Branislav Nušić.
[2] Mentre si preparava per questo importante ruolo, Branislav Lečić si sforzò al massimo per comprendere le abitudini del personaggio che doveva interpretare. Aleksa Šantić fu un fumatore incallito. In un’intervista, parlando della serie dedicata a Šantić, Lečić ha dichiarato:“Mi rollavo le sigarette con quel tabacco erzegovese e fumavo, per tutta la durata delle riprese, ossia per nove mesi, semplicemente perché il tabacco era una delle sue passioni. Mi sembrava assurdo cominciare a tossire accendendo una sigaretta [durante le riprese], senza prima comprendere la natura di quella passione [...] Ciò che mi interessava era riuscire a penetrare nell’anima del personaggio, ossia di Šantić. Comunicavo con lui di giorno e di notte, dormendo e ad occhi aperti. Si respirava un’atmosfera eccezionale e irripetibile. Penso che i giovani attori di oggi difficilmente potranno vivere un’esperienza simile a quella che abbiamo vissuto noi, anche fuori dal set. Il lavoro che facevamo ci dava piacere, ma abbiamo lavorato e indagato davvero seriamente, creando un film e una serie destinati a durare nel tempo“.
[3] Nella casa di Svetozar Ćorović si trova una stanza memoriale, dedicata alla vita e alla produzione letteraria di Aleksa Šantić. La stanza ospita una ricca collezione di opere letterarie di Šantić, nonché alcuni dei suoi oggetti personali, compresa la suascrivania. Nella casa di Ćorović è stata allestita anche una collezione dedicata allo scrittore Hamza Humo, anch’egli nato a Mostar, nonché una biblioteca che contiene alcuni manoscritti e lettere di Šantić che testimoniano degli stretti rapporti intrattenuti dal poeta mostarino con numerosi scrittori e intellettuali. Nella casa vengono organizzati diversi eventi culturali, sia all’interno sia in un cortile con vista sul fiume Neretva.
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