Pochi servizi e distribuiti in modo disomogeneo. La situazione dei disabili in Bosnia Erzegovina è molto difficile. E i pochi progetti esistenti dipendono ancora molto dai donatori internazionali. Un'intervista a Suad Zahirović, operatore nel campo della disabilità
Se vi è un campo del sistema sociale bosniaco dove non vi sono dati e statistiche consolidate è quello della disabilità. Sebbene il quadro normativo si rifaccia ai principi generali del rispetto dei diritti umani e alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle persone con disabilità, nella pratica ci si scontra con una realtà estremamente confusa.
Ciò è dovuto soprattutto all’applicazione di criteri non armonizzati di valutazione dei livelli di disabilità nelle diverse categorie. Queste includono i veterani di guerra (Disabled War Veterans - DWV), le vittime civili di guerra (Civil Victims of War - CVW) e altri gruppi riconducibili alle varie disabilità civili (Civil/non-war Disabilities – CD).
Questi gruppi differiscono tra loro per definizione della disabilità, per il grado di disabilità e per la possibilità di esercitare con efficacia i propri diritti. Capitano inoltre frequenti casi di doppia registrazione. Fino a ora i disabili veterani di guerra o vittime civili di guerra sono stati registrati in maniera sistematica, mentre per gli altri gruppi di disabili le registrazioni sono molto lacunose.
La differenza tra disabili di guerra e non è accentuata anche dal fatto che, a livello di Entità (le due aree territoriali in cui è suddivisa la Bosnia Erzegovina, Republika Srpska e Federazione) dipendono da Ministeri diversi. In Republika Srpska (RS) il Ministero del Lavoro e della Protezione dei Veterani Disabili copre i DWV, CVW e i disabili per motivi di lavoro, mentre gli altri dipendono dal Sociale. Il quadro è diverso nella Federazione di Bosnia Erzegovina (FBiH), dove le disabilità civili (di guerra e non incluse quelle del lavoro) dipendono dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, mentre i veterani dipendono dal Ministero per le Questioni dei Soldati e delle Persone Disabili della Difesa e Guerra di Liberazione.
Per cercare di risolvere questi problemi di registrazione nel 2007 è stata creata una banca dati comune, basata sul progetto 'SOTAC' della Banca Mondiale. Non tutte le istituzioni bosniache competenti in materia – in particolare i comuni - hanno però fornito i dati in maniera adeguata.
Questi e altri problemi trovano ampio riscontro nella Strategia per l’Inclusione Sociale della Bosnia Erzegovina 2008/2013, redatta dalle autorità bosniache che, nel settore della disabilità, enuncia raccomandazioni basate sulle seguenti priorità: sviluppare politiche attente alla disabilità in ogni settore; sviluppare modelli sociali inclusivi con criteri armonizzati per l’identificazione e la registrazione; sviluppare modelli di comunità locale che assicurino pari opportunità per le persone con disabilità; assicurare la piena inclusione delle persone disabili e delle loro organizzazioni nell’implementazione e nel monitoraggio della Strategia per l’Inclusione Sociale.
Per avere un quadro più approfondito della situazione e qualche scorcio sul quotidiano di chi opera nel settore, abbiamo intervistato a Tuzla Suad Zahirović, direttore dell’associazione 'Lotos' - Resource Centre for Persons with Disabilities.
Qual è la situazione nel campo della disabilità in Bosnia Erzegovina?
Presenta molte criticità, sia a livello di statistiche che negli interventi. Anche quando ci sono iniziative l’approccio è molto tradizionale e tutto centrato sulla dimensione sociale. La disabilità deve diventare una questione trasversale e intersettoriale, trattarla solo da un punto di vista sociale non fornisce prospettive di progresso ai disabili. È chiaro che ci sono dei problemi essenziali da risolvere: dalle molte barriere architettoniche presenti nel Paese, agli atteggiamenti sociali e culturali: il problema dello stigma è infatti ancora molto forte.
Rispetto ai servizi, qual è il livello di distribuzione e possibilità di accesso?
In Bosnia Erzegovina esistono situazioni molto diverse a causa della frammentazione dei livelli istituzionali. In Federazione c’è una legge quadro, poi ogni Contea ha la responsabilità di implementare gli standard e i diritti fissati dalla normativa generale. Quindi la realtà dei servizi varia da Contea a Contea. Le municipalità dovrebbero coprire gli uffici e lo staff dedicati al settore sociale e i Centri sociali ma purtroppo ormai non investono più nelle risorse umane: mancano i fondi e anche l’attrezzatura per la realizzazione dei servizi dev'essere fornita dal livello cantonale.
Rispetto ai vari gruppi, al di là della difficoltà di classificazione, come è la realtà sul territorio?
La situazione varia a seconda dei gruppi. Ad esempio in merito all'educazione, i non-vedenti e le persone con difficoltà mentali, hanno scuole speciali. Per altri è più difficile accedere a percorsi educativi specifici.
Inoltre non ci sono sufficienti risorse umane nelle scuole per sostenere i disabili o le persone in difficoltà, che quindi non possono aver accesso ad un percorso scolastico. Esserne esclusi ha conseguenze più generali sulla vita dei disabili, che poi, ad esempio, non riescono a trovare lavoro.
In generale i disabili non hanno quindi la possibilità di costruirsi una vita indipendente. Infatti il 78% dei disabili dipendono dalle famiglie e sono bloccati in questa situazione. Anche i giovani senza disabilità non riescono a staccarsi dalle famiglie, a sposarsi, a trovare un lavoro. Per i disabili è ovviamente ancora peggio. Chi può, cerca di lasciare il Paese, ma i disabili non possono.
Come si presenta invece la situazione dei veterani di guerra?
I veterani di guerra sono senza dubbio la categoria che si trova in una posizione migliore. Sono organizzati in gruppi forti di pressione politica e lobby elettorale, sono numerosi e riescono a contare. Quindi hanno migliore accesso alla sanità, ai servizi, hanno contributi economici maggiori, migliore sostegno economico anche per l’assistenza personale.
Nell'accesso ai servizi per disabili, ci sono differenze per le minoranze etniche?
Per quanto riguarda l’area dei servizi sociali non ci sono molte differenze tra quelli erogati alla maggioranza e alle minoranze. Ad esempio a Tuzla c’è un'ampia comunità rom, ma non presenta differenze sostanziali in termini di inclusione nei servizi sociali.
I principali fattori di esclusione non sono l'appartenenza ad una o all'altra comunità ma altre problematiche, legate ai servizi pubblici intesi in senso generale: l’assenza o la carenza di infrastrutture comunali, quali quelle sanitarie, le strade, le scuole.
Detto questo, a livelli più generali, la discriminazione delle minoranze rimane un tema molto delicato, come ha dimostrato recentemente la Corte di Strasburgo nella “Sentenza Sejdić-Finci”.
La trasformazione dell’organizzazione dei servizi è uno dei punti cruciali della Strategia per l'inclusione sociale del governo bosniaco. A che punto siamo?
In generale prevalgono ancora i servizi tradizionali: dormitori per anziani, grandi istituti di cura, ricoveri per i poveri. Alcuni servizi iniziano a essere sviluppati in centri abitati di piccole dimensioni, ma si investe ancora e soprattutto nei servizi centralizzati.
E a livello di associazionismo, come ci si sta muovendo?
Sul territorio iniziano a esserci gruppi organizzati, piccoli gruppi sostenuti da associazioni, che lavorano affinché i disabili possano rimanere integrati nelle comunità locali, ma sono casi isolati.
Ad esempio Fenix è un’associazione che lavora con persone affette da problemi psichiatrici, con l'obiettivo di fornire loro servizi che permettano di vivere 'oltre l’ospedale'. L’Agenzia di Sviluppo Regionale NERDA ha un progetto per sostenere giovani e donne con disabilità, attraverso lo sviluppo e il rafforzamento di competenze potenziali per l’inserimento lavorativo. Ma quest’anno non hanno più ottenuto finanziamenti.
Come già accennato, i servizi non sono distribuiti in modo omogeneo sul territorio. Ogni municipalità ha il suo Centro sociale, il cui funzionamento però è molto variabile. Alcune città come Tuzla, Gradačac e Gračanica presentano una maggior concentrazione di Ong e quindi forniscono più servizi. Le aree più remote invece sono praticamente non coperte da servizi.
Il tema dei finanziamenti è molto delicato, qual è la situazione?
Siamo agli inizi di un processo di costruzione di relazioni tra associazioni e governo per definire un quadro di finanziamenti adeguato alle sfide e ai bisogni.
In alcune aree è iniziata la collaborazione, come ad esempio nel contrasto alla violenza familiare dove i servizi sono parzialmente finanziati dal governo. Ma non c’è un sistema organizzato, l’approccio varia caso per caso.
Quindi le risorse dei donatori internazionali sono ancora fondamentali. Chi riesce ad avere fondi internazionali riesce a fare qualcosa. Quindi i servizi e l’inclusione di diversi gruppi di disabili dipende dalla capacità delle associazioni che li seguono di accedere a fondi internazionali.
Esistono anche finanziamenti locali?
L’accesso a fondi nazionali o cantonali è ancora una volta molto variegato. Un esempio su tutti: i veterani hanno accesso diretto ai finanziamenti nazionali e cantonali perché sono già previsti ufficialmente nel budget del Paese, mentre i rappresentanti di altre categorie devono presentare progetti di anno in anno senza la certezza che vengano finanziati. Ribadisco, il settore sociale è fortemente dipendente dai donatori stranieri.
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