Agire a livello locale per cambiare radicalmente la società. Mentre la crisi politico-istituzionale blocca da anni la Bosnia Erzegovina c'è chi ritiene che, dal basso, qualcosa si può fare
(Pubblicato originariamente da Courrier des Balkans il 26 settembre 2019)
Come uscire dalla crisi politica che paralizza la Bosnia Erzegovina e come favorire una società sostenibile per i cittadini futuri? Sono due domande a cui Damir Marjanović, attraverso i suo impegno politico a livello cantonale a Sarajevo, cerca di dare risposta. Eletto “scienziato dell'anno” della Bosnia Erzegovina nel 2011 per i suoi lavori relativi alla genetica ed all'antropologia, insegna presso la Facoltà di Scienze dell'Università di Sarajevo ed è anche rettore della International Burch University. È un militante del movimento civico Naša stranka e presiede la Commissione parlamentare cantonale per l'educazione.
La Bosnia Erzegovina è sprofondata nella crisi politica dalle elezioni generali del 7 ottobre 2018...
Non si tratta di una crisi, ma della modalità con cui gli uomini politici al potere dirigono questo paese. Questa volta è l'adesione alla Nato al centro delle polemiche, ma non è che un pretesto. I partiti nazionalisti non fanno che ripetere in continuazione gli stessi slogan patriottici e attendono, in tranquillità, la prossima riconferma. La possibilità di andare ad elezioni anticipate non è prevista dalla costituzione di Dayton, ci sono quindi quattro lunghi anni nei quali continuare a guadagnare soldi...
È possibile condurre riforme al livello dei Cantoni della Federazione mentre le istituzioni centrali dello stato sono del tutto bloccate?
Certo, ed è quello che stiamo provando a fare a Sarajevo. I cantoni non hanno certo un esercito o un ministero degli Esteri ma hanno il 90% delle competenze di uno stato classico, tra cui ad esempio l'educazione.
La Bosnia Erzegovina non è strutturata secondo un sistema amministrativo piramidale che, dallo stato centrale, discende sino al livello locale. Le nostre istituzioni procedono per sommatoria. Per fare un esempio, il paese ha ben 13,1 ministeri per l'Educazione: uno per ciascuna delle due entità, uno per ogni cantone della Federazione, uno per il Distretto di Brčko e 0,1 per quello a livello statale. E in più c'è il ministero per gli Affari civili, anche in carico del settore educativo, ma del tutto inattivo.
Ma questo non impedisce alla coalizione di partiti di cui faccio parte di accordarsi su una lista di 300 misure da adottare per migliorare la vita della popolazione. I risultati che raggiungeremo a fine mandato convinceranno, mi auguro, gli elettori che è possibile fare le cose senza rimanere bloccati da un'eventuale riforma della Costituzione definita dagli Accordi di Dayton.
Ci può fare qualche esempio di queste misure a suo avviso da intraprendere?
Occorre capire che i partiti che compongono la nostra coalizione hanno, tra loro, più differenze ideologiche che non i partiti nazionalisti che governano il paese, ma siamo riusciti a proporre idee concrete per migliorare la situazione.
Nel campo dell'educazione, che seguo con particolare attenzione, abbiamo ad esempio aperto nuovi asili nido. Abbiamo poi triplicato il budget dato alla ricerca che, nel Cantone, raggiunge ormai un milione e mezzo di euro all'anno. Abbiamo inoltre istituito una commissione scientifica che assegna i budget ai ricercatori, in funzione dei progetti presentati, mentre prima l'assegnazione avveniva in un modo del tutto opaco.
Riformare il settore dell'educazione e favorire lo spirito critico degli studenti è l'unico modo per sperare, un giorno, di far cambiare le cose in questo paese.
Nel contesto della International Burch University mettiamo ad esempio a disposizione degli studenti spazi e materiali affinché questi ultimi posano dare avvio a delle start-up. Non ci sono più grandi aziende in Bosnia Erzegovina e nessuno investirà in questo paese. È quindi necessario che noi stessi creiamo il lavoro di domani ed è questo che mi sforzo di ripetere ai miei studenti.
È però difficile pensare al futuro della società bosniaca quando così tanti giovani laureati, a studi finiti, partono per l'estero...
Questo è in effetti uno dei problemi principali del nostro paese. I giovani sono stanchi dei discorsi nazionalisti ed i politici che governano dalla fine della guerra sono molto felici di vedere che dei potenziali contestatori se ne vanno in esilio, perché è garanzia che il loro monopolio non verrà toccato.
Il movimento dei plenum del 2014 si è sgonfiato perché i partiti nazionalisti sono riusciti a fare paura a tutti ripetendo che "anche durante la guerra l'edificio della presidenza non era stato bruciato". Gli animatori della protesta ne sono usciti spossati ma io spero che sotto la superficie oleosa che è la società bosniaca sia agitino delle correnti che potranno, un giorno, creare grandi onde.
È per questo che occorre riportare i giovani all'interno dei partiti politici, perché è sempre più facile cambiare il sistema dall'interno. Ritengo anche che non siano ancora state sfruttate tutte le possibilità garantite dalla costituzione di Dayton. Sono un eterno ottimista e ciò che mi pare ovvio è che il paese non può riformarsi se non grazie alle sue forze più vitali, senza stare ad aspettare un ipotetico aiuto dall'estero.
L'integrazione europea resta un obiettivo?
I cittadini della Bosnia Erzegovina sono da molto tempo favorevoli all'integrazione nell'Ue ma più gli anni passano più l'entusiasmo si spegne. La gente si chiede: perché è così complesso integrare un paese di 4 milioni di abitanti? Veniamo tenuti alle porte dell'Europa perché siamo in maggioranza musulmani? Ritengo inoltre che i cittadini bosniaci siano scioccati da come vengono trattati i rifugiati che tentano di entrare in Croazia e nello spazio Schengen. Dal punto di vista prettamente securitario sarebbe molto più semplice per l'Ue chiudere le frontiere della Bosnia Erzegovina con il Montenegro e la Serbia piuttosto che quelle della Croazia con la Bosnia Erzegovina. E se il nostro paese è un problema così grande per Bruxelles, integrarlo permetterebbe di far cadere rapidamente le barriere istituzionali ereditate da Dayton.
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