I reduci della guerra degli anni '90 chiedono migliori prestazioni pensionistiche, ma secondo alcuni la categoria dei veterani è già privilegiata rispetto ad altri gruppi altrettanto bisognosi di tutela sociale
Slaviša ha quarant'anni e il volto contrito di chi non nasconde la propria amarezza: "Non ho mai ottenuto alcunché, in cambio del mio contributo come militare durante la guerra", sottolinea raccontando la propria storia a Osservatorio Balcani e Caucaso. "Oggi non ho una pensione, non ho un lavoro... Niente di niente."
Prima dell'inizio della guerra, Slaviša - che è nato e vive tutt'oggi a Sarajevo - poteva contare su un lavoro come operaio alla fabbrica di birra locale, la Sarajevsko. Oggi, lui e la moglie riescono a sopravvivere solamente grazie al magro contributo della pensione della madre di lui. "Mia moglie è disoccupata, non abbiamo un'assicurazione sanitaria, né aiuti per le medicine. Niente di niente", rincara.
Un volontario
Allo scoppio del conflitto, Slaviša, insieme a centinaia d'altri come lui, si arruolò come volontario nella Prva Dobrinjska Brigada, battendosi nella difesa della capitale. La settimana scorsa si trovava insieme a centinaia di ex commilitoni di fronte al palazzo del governo della Federazione di Bosnia ed Erzegovina [FBiH] - una delle due entità di cui è composto il Paese - per chiedere alle autorità di accogliere le richieste di migliaia di ex combattenti bosniaci che denunciano di essere stati lasciati soli dal governo.
Insieme a lui, circa diecimila altri ex militari, tutti reduci del conflitto degli anni novanta, hanno manifestato in gran parte del territorio dell'entità. In una risoluzione, approvata qualche mese fa, hanno chiesto al governo della Federazione di mettere in atto alcune misure che, secondo loro, migliorerebbero sensibilmente la condizione dei veterani bosniaci: tra le principali richieste, quella di creare un database unico a livello centrale di tutti gli ex militari congedati, di avviare un processo di revisione per l'attribuzione dello status di veterano e di accordare agli ex combattenti una pensione pari alla pensione minima attualmente erogata nell'entità (pari a poco più di un centinaio di euro, secondo i firmatari della risoluzione).
"Qui c'è troppa gente che oggi riceve una pensione senza averne nessun diritto", lamenta Slaviša, "persone che hanno passato la guerra all'estero, ma che poi, una volta ritornate in patria alla fine del conflitto, sono riuscite a ottenere lo status di ex combattenti, e con esso la pensione."
"Si tratta di una situazione davvero intollerabile, che deve finire al più presto", aggiunge Hamdija, cinquantaquattro anni ed ex combattente, anche lui presente alle proteste di venerdì 20 maggio. "Oggi chi ha combattuto durante gli anni novanta per riuscire a sopravvivere è costretto a rovistare nei cassonetti dell'immondizia... Noi non chiediamo tanto, solo che venga rispettato almeno il nostro diritto a ricevere delle medicine e all'assicurazione sanitaria", aggiunge.
Sulla stessa linea anche il commento di un altro veterano, Jusuf, di sessantotto anni e anche lui di Sarajevo: "Fortunatamente, posso contare almeno sulla pensione che ho ottenuto dopo aver finito di lavorare, ma si tratta comunque di 326 marchi al mese [pari a circa 160 euro]", spiega. "Un parlamentare della Federazione prende ogni mese l'equivalente di 24 mie pensioni", denuncia poi, sottolineando i privilegi della classe politica bosniaca.
Al termine della seconda grande protesta organizzata in poco meno di un mese (la prima, infatti, aveva avuto luogo il 25 aprile scorso), le associazioni di ex combattenti dell'esercito della Repubblica di Bosnia Erzegovina [ARBiH] e del Consiglio croato di difesa [HVO] sono riusciti a incassare l'assicurazione formale del ministro per i Veterani e i Disabili della Federazione, Salko Bukvarević, sul fatto che il testo della risoluzione verrà accolto dal governo.
"Le richieste dei veterani saranno introdotte nell'iter parlamentare entro 15 giorni", ha dichiarato Bukvarević mercoledì 25 maggio, aggiungendo che "il governo non deluderà gli ex soldati."
Una riforma necessaria
In realtà, nonostante le polemiche sollevate dalla popolazione degli ex combattenti bosniaci, già da molto tempo - soprattutto da parte delle istituzioni finanziarie internazionali - si invoca una riforma del sistema di assistenza ai veterani della guerra degli anni novanta, spesso giudicati come una delle categorie più privilegiate della società bosniaca, e una delle principali fonti di spesa pubblica del Paese.
Un'analisi del Fondo Monetario Internazionale, pubblicata alla fine del 2015, sosteneva che "la spesa del governo bosniaco in assistenza sociale non contributiva [ovvero spesa che non è stata determinata dal pagamento di contributi sociali da parte del beneficiario attuale, come per esempio nel caso di pensioni di invalidità o, per l'appunto, delle pensioni riconosciute ai veterani] è di gran lunga la maggiore nella regione [...] con un valore vicino al 4% del PIL, che diventa superiore al 7% del PIL includendo anche la spesa sostenuta dai Cantoni e dalle municipalità. La spesa per i veterani e i sussidi di disabilità rappresentano il fulcro della spesa sociale nel Paese, [mentre] i programmi a sostegno della popolazione civile sono ridotti e non sufficientemente finanziati".
Secondo i dati disponibili, la disparità tra il trattamento della popolazione civile e degli ex militari (più organizzati e, soprattutto, meglio connessi con i partiti politici bosniaci e con le istituzioni) è evidente. Secondo uno studio prodotto dal gruppo 'Analitika' quest'anno, nel territorio della Federazione più della metà del bilancio riservato all'assistenza sociale è destinato alla categoria dei veterani, mentre il rimanente è suddiviso tra tutti gli altri beneficiari.
Una disparità che si riflette anche nell'importo delle pensioni cui gran parte della popolazione degli ex combattenti ha comunque diritto. A titolo di esempio, nel territorio della FBiH una persona che soffre di disabilità non connessa con la guerra può richiedere un sussidio solo se l'invalidità è superiore al 90%. L'importo della pensione, in questo caso, varia dai 219 ai 396 marchi (circa cento e duecento euro, rispettivamente), mentre un veterano ha diritto a 725 KM (360 euro circa) di pensione nel caso egli soffra di disabilità, e nel caso in cui questa sia del 100% l'importo del sussidio arriva a 1.845 KM (900 euro).
Si tratta di un'asimmetria di trattamento che non sfugge agli stessi bosniaci, per quanto essi possano sentirsi solidali con le rivendicazioni di fondo di chi si è trovato a vestire un'uniforme durante il conflitto degli anni novanta.
"Certo hanno ragione i veterani a protestare", dice Zoran, un attivista di Sarajevo che è nato nel 1956. Zoran era presente alle proteste dei veterani di fine aprile e della scorsa settimana, ma – spiega a Osservatorio - ha anche partecipato a ogni altra protesta organizzata a Sarajevo nel corso degli ultimi anni, compresi i plenum e le assemblee popolari sorte nel 2014. "Ma occorre senz'altro dire che il problema è che la società bosniaca è troppo frammentata, ci si muove costantemente per gruppi separati. Oggi protestano i veterani, domani i medici, dopodomani gli operai; e così, invece di chiedere migliori condizioni di vita per tutti, ognuno si preoccupa unicamente della propria sopravvivenza", conclude.
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