Il Ponte Vecchio (Foto Dieter Zirnig, Flickr)

Il Ponte Vecchio (Foto Dieter Zirnig, Flickr )

A Mostar il Consiglio Nazionale Croato chiede una revisione dell'assetto costituzionale del Paese, mentre il ritardo nella formazione del governo della Federacija porta alla luce i nodi irrisolti tra gli (ex) alleati. La nuova presidentessa della Croazia, Kolinda Grabar-Kitarović, compie il proprio primo viaggio ufficiale a Sarajevo

06/03/2015 -  Rodolfo Toè Sarajevo

Dallo scorso ottobre la linea politica di Dragan Čović, nuovo membro croato della Presidenza e presidente dell'Unione democratica croata (HDZ) di Bosnia ed Erzegovina, sembra potersi riassumere nel proverbiale "guai ai vinti". Alle ultime elezioni il suo partito, rappresentante storico della destra identitaria dei croati bosniaci, ha ottenuto ottimi risultati. E pur non eccellendo in termini assoluti, in ragione della complicata costituzione bosniaca l'HDZBiH è partner obbligato per i governi a livello centrale e nella Federacija, una delle due entità che compongono il Paese.

Conscio del proprio potere negoziale, Čović si è impegnato nel corso degli ultimi mesi a stringere con i propri alleati (soprattutto con l'SDA, altro grande vincitore delle scorse elezioni) dei patti leonini per formare i nuovi governi. Così, secondo quanto emerso il 22 febbraio nel corso dei negoziati per la creazione di un nuovo Consiglio dei ministri centrale, se il partito di Bakir Izetbegović potrà designare il Primo ministro (come da prassi costituzionale quest'anno toccherà a un bosgnacco, Denis Zvizdić, ex primo ministro del Cantone di Sarajevo), l'HDZBiH si è assicurato senza troppa fatica tre dei ministeri più importanti: Finanze, Interni e Difesa, oltre a quattro posizioni di viceministro alla Sicurezza, agli Affari esteri, al Commercio internazionale e ai Trasporti.

Non ancora soddisfatto, il leader dell'HDZBiH ha annunciato la scorsa settimana che "nella Federacija chiederemo altri sei ministeri, tra i quali assolutamente quello delle finanze", aggiungendo minacciosamente che "sarebbe impensabile immaginare di avere un Consiglio dei Ministri a livello centrale, senza prima avere costituito quelli delle due entità" (nonostante la Costituzione non lo impedisca). Il messaggio, semplice, è che il primo partito croato di Bosnia Erzegovina vuole proseguire il braccio di ferro con i propri alleati, sicuro di non potere essere messo da parte.

Scaramucce politiche, poltrone e riforme costituzionali

L'ingordigia di Čović ha irritato il partner minore della coalizione, il Fronte Democratico di Željko Komšić, che lunedì ha annunciato la volontà di non fare più parte del governo della Federacija (salvo poi ritornare precipitosamente sui propri passi dopo appena un paio di giorni).

Anche il DF, nonostante un anno fa ci si fosse spinti a vedere in esso l'unica speranza per il cambiamento in Bosnia Erzegovina al momento sembra soprattutto interessato alla spartizione delle poltrone ministeriali, nella migliore tradizione. A dividere il Fronte e l'HDZBiH non sono tanto posizioni di principio, quanto la lotta per ricoprire posizioni di potere (il DF chiede, nella Federacija, il ministero per l'Energia, l'Industria e le Miniere e il ministero delle Finanze, da cui la querelle con l'HDZBiH - motivata anche dal fatto che, complessivamente, nel territorio dell'entità il DF ha ottenuto un totale di voti più alto rispetto al partito croato-bosniaco, 128.058 voti contro 118.381).

Il tentativo di niet del DF, ad ogni modo, è durato in tutto meno di quarantotto ore. I negoziati dovrebbero riprendere nel fine settimana e, nonostante gli screzi tra i membri della coalizione, sembra difficile che non si riesca a trovare un accordo per formare il governo dell'entità. Certo è che, dopo le scorse elezioni, le rivendicazioni dei politici croati hanno acquisito un maggior peso in Bosnia Erzegovina, siano esse intese come rivendicazioni 'politiche', come quelle dell'HDZBiH in seno ai vari livelli di governo, siano esse rivendicazioni costituzionali.

Sabato 28 febbraio, a Mostar, è stata organizzata un'assemblea del Hrvatski Narodni Sabor, il Consiglio popolare croato, piattaforma che riunisce i principali partiti croati della Bosnia Erzegovina. Nella risoluzione adottata dall'assemblea al termine dei lavori si può leggere, tra l'altro, che "la Bosnia Erzegovina come stato creato attraverso Dayton non ha soddisfatto le aspirazioni dei croati", perché "ha generato una struttura di governo territoriale ingestibile e irrazionale", che si regge soltanto "grazie al costante intervento della comunità internazionale". "Il popolo croato", continua il documento, "viene privato della possibilità di esprimere i propri legittimi rappresentanti all'interno delle istituzioni", e anche "dei mezzi per sviluppare la propria identità culturale e nazionale".

Il Consiglio difende la necessità di far procedere la Bosnia Erzegovina sulla strada dell'integrazione euro-atlantica, ma anche quella di "salvaguardare la dignità della guerra patriottica" degli anni novanta e, soprattutto, "di rivedere la Costituzione in modo da creare una struttura geografica più razionale, che tenga conto dell'uguaglianza dei tre popoli costitutivi". La nuova configurazione territoriale della Bosnia Erzegovina dovrebbe essere, secondo la proposta dell'HDZBiH , quella di "uno stato decentralizzato con quattro unità federali" e un distretto autonomo con capitale Sarajevo.

La prima volta di Grabar-Kitarović a Sarajevo

Al Consiglio Nazionale Croato ha rivolto i propri saluti anche Tomislav Karamarko, il presidente dell'HDZ della Croazia, che nella propria lettera ha ribadito che "la discriminazione dei croati in Bosnia Erzegovina è riconosciuta da tutti i principali attori internazionali. Per quanto essi rappresentino la meno popolosa delle tre nazioni della Bosnia Erzegovina, non sono una minoranza: sono un popolo costitutivo". Dichiarazioni che il DF e Željko Komšić hanno immediatamente bollato come "retorica ustascia e guerrafondaia".

Questo è il contesto che ha accompagnato anche la visita della nuova presidentessa croata, Kolinda Grabar-Kitarović, che ha scelto proprio Sarajevo come meta del suo primo viaggio ufficiale. E che è stata estremamente attenta a smorzare i toni. Grabar-Kitarović, che ha visitato la capitale martedì 3 marzo, ha ricordato che Zagabria è prima di tutto interessata "alla stabilità della Bosnia Erzegovina" e al suo avvicinamento alla NATO e all'Unione Europea. "La visita è stata un segnale positivo", secondo il capo redattore del settimanale Slobodna Bosna, Senad Avdić, "anche se forse avrebbe potuto essere organizzata in un momento migliore: magari tra un mese, quando il governo sarebbe stato formato una volta per tutte, e non adesso". Il motivo, secondo Avdić, è che "la visita della presidentessa croata, avvenuta a pochi giorni di distanza dalla sessione dell'HNS, rischia di apparire come una dimostrazione a favore delle istanze dei partiti croati in Bosnia Erzegovina".


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