Nel settembre 1995 un convoglio di civili serbi scappava da Donji Vakuf in Bosnia Erzegovina, in direzione Banja Luka. Il convoglio cadde in un agguato mentre attraversava il villaggio abbandonato di Bravnice, 81 persone rimasero uccise. I sopravvissuti chiedono giustizia
(Originariamente pubblicato da Balkan Insight , il 9 novembre 2020)
Marjana Zeljko aveva 14 anni quando, nel settembre del 1995, poco prima della fine della guerra in Bosnia Erzegovina, lei e la sua famiglia furono costretti a fuggire da Donji Vakuf in un convoglio di rifugiati.
Sulla strada verso Banja Luka, situata a circa 100 chilometri da Donji Vakuf e all’epoca controllata dall’esercito serbo, il convoglio di civili serbi cadde in un agguato.
Mentre il convoglio stava attraversando il villaggio di Bravnice, ormai abbandonato, nei pressi di Jajce, Marjana sentì spari provenire da lontano. Poco dopo il loro autobus venne attaccato a colpi di arma da fuoco.
“Rimasi ferita alla testa e a un braccio, e ho ancora alcune schegge vicino al cuore”, racconta Marjana.
“In quell’occasione anche mio fratello rimase ferito, aveva otto anni quando avvenne l’attacco. Avevo visto un soldato in un canale sparare contro di lui, oggi è invalido al 100 per cento”, spiega Marjana.
Anche Nadežda Janković, che è poco più vecchia di Marjana, rimase ferita durante l’attacco.
“C’erano sangue e vetri dappertutto. Si udivano grida e pianto”, ricorda Nadežda.
“Mia nonna fu colpita da un proiettile che le spaccò una gamba. La portarono fuori dall’autobus e io uscii in posizione semiseduta, appoggiandomi su una sola gamba”, spiega Nadežda.
La mattina del 13 settembre 1995, un grande autobus snodato, seguito da alcuni trattori e altri veicoli, partì da Donji Vakuf in direzione di Banja Luka. Marjana ricorda che la notte prima della partenza un loro vicino di casa svegliò la sua famiglia, dicendo loro di fuggire.
In quel periodo la situazione a Donji Vakuf era molto tesa, si sentivano spari ed esplosioni. Nadežda all’epoca viveva a Donji Vakuf – allora chiamata Srbobran – con sua nonna.
“Srbobran è caduta!, disse mia nonna mentre ci preparavamo in fretta per partire”, racconta Nadežda.
“Riuscimmo a sederci sugli scalini dell’autobus, tutti i posti a sedere e in piedi erano occupati, sa, quel grande autobus snodato. A bordo c’erano oltre 100 civili; donne, bambini e anziani”, ricorda Nadežda.
Dopo due ore di viaggio il convoglio cadde in un’imboscata. Stando alle testimonianze dei sopravvissuti, nell’attacco rimasero uccise 81 persone. Secondo la polizia, furono uccisi anche nove membri dell’Esercito della Republika Srpska, mentre molte persone rimasero ferite. I civili presi in ostaggio vennero trasportati nei centri di detenzione.
Nadežda ricorda di aver visto alcuni soldati in uniforme mimetica.
“Ci passavano accanto e ridevano, dicendo di averci massacrati per bene. Alcuni soldati ci avvicinavano, fasciandoci le ferite. Questi ultimi avevano la scritta ‘HVO’ e la bandiera croata ricamate sulla manica”, afferma Nadežda.
“Scene terrificanti si verificavano intorno a me, si avvertiva l’odore di sangue e di polvere da sparo. Dopo l’attacco ci sistemarono in una casa gialla, laggiù lungo la strada, dove trovai mia nonna e mi stesi accanto a lei, pensando che fosse morta. Pensavo che fosse arrivata anche la mia fine”, ricorda Nadežda.
Anche Marjana ricorda di essere stata portata in una casa gialla a Bravnice.
“Alcuni soldati ci prestarono soccorso e in un primo momento pensai che fossero i soldati serbi, ma avevano la scritta HVO e la bandiera croata ricamate sulla manica”, spiega Marjana, aggiungendo: “All’epoca avevo 15 anni, avevo trascorso la mia infanzia in mezzo alla guerra, conoscevo tutte le insegne militari, e a quel punto mi resi conto di essere imprigionata”.
“Alcuni ci attaccarono, altri ci soccorsero”
Sava Gudalo, che era su quel convoglio, spiega che subito dopo l’attacco apparvero alcuni croati che abitavano in quella zona.
“Rimasero sconcertati da quanto accaduto. Si misero le mani sulla testa e iniziarono a litigare con i soldati che compirono l’attacco. Poi quei croati ci aiutarono, fasciandoci le ferite”, racconta Sava.
Nel corso della giornata i civili feriti vennero trasportati da Bravnice con un camion all’ospedale di Livno. Marjana spiega che i medici le avevano tolto le schegge dalla testa senza sottoporla all’anestesia.
Due giorni più tardi, Marjana e Nadežda, insieme ad altre persone gravemente ferite, vennero trasferite a Spalato, dove furono operate, per poi essere riportate a Livno e sistemate in una sala sportiva. Un mese e mezzo dopo l’attacco, il 2 novembre 1995, furono liberate grazie a uno scambio di prigionieri.
Nadežda è convinta che quel crimine fosse stato pianificato, cioè che qualcuno avesse ordinato di attaccare i civili. Tuttavia, ad oggi nessuno è stato condannato per l’attacco al convoglio.
“All’epoca in quella zona operava la 4° brigata dell’Esercito croato, furono loro ad attaccarci. I membri di quell’esercito erano nel canale, là dove fermarono l’autobus, mentre i membri dell’HVO erano venuti dall’altra parte, al di là del ponte. Questi ultimi condannarono l’attacco e ci aiutarono”, afferma Nadežda. E aggiunge: “Voglio sottolineare la differenza tra quelli che ci attaccarono e quelli che ci aiutarono, è importante ricordare questa differenza”.
La brigata dell’Esercito croato “non era lì”
Nella sentenza con cui il Tribunale dell’Aja ha definitivamente assolto i generali dell’Esercito croato Ante Gotovina e Mladen Markač si afferma che tra l’8 e il 15 settembre del 1995 l’Esercito croato e le truppe dell’HVO, in collaborazione con l’Armija della Repubblica di Bosnia Erzegovina, intrapresero l’operazione Maestral con l’obiettivo di riprendere il controllo del territorio intorno alle città di Drvar, Šipovo, Jajce, Bosanski Petrovac, Bosanska Krupa e Ključ. Il villaggio di Bravnice si trova nei pressi di Jajce.
Secondo la sentenza, all’operazione Maestral avevano preso parte anche la 4° brigata dell’Esercito croato guidata dal generale Damir Krstičević, che dal 2016 a maggio 2020 è stato ministro della Difesa e vicepremier del governo croato.
Krstičević ha più volte negato la responsabilità della brigata da lui guidata per l’attacco avvenuto a Bravnice, affermando che il 13 settembre 1995 la sua brigata si trovava a Spalato.
In una risposta scritta fornita a BIRN Krstičević ha affermato che “in quel periodo la 4° brigata non si trovava sul territorio di Jajce”.
Krstičević non ha voluto commentare le affermazioni di alcune vittime secondo cui quel giorno la 4° brigata sarebbe stata presente a Bravnice.
Il ministero dell’Interno della Republika Srpska ha confermato a BIRN che già nel 2005 aveva inviato alla procura della Bosnia Erzegovina un rapporto sui crimini commessi contro i civili a Bravnice. Come sospetti autori dell’attacco sono stati indicati T.B, S.S, D.K, e M.P, nonché “diversi membri non identificati della 4° brigata dell’Esercito della Repubblica di Croazia”.
Nel rapporto si afferma che queste persone “avevano ordinato [l’attacco], non l’avevano impedito, non avevano punito gli esecutori o avevano loro stesse ucciso e ferito diversi civili a colpi di arma da fuoco o sparando granate da un lanciatore a mano contro il convoglio di rifugiati, uccidendo in quell’occasione diverse decine di civili, almeno 32”.
Il ministero dell’Interno della Republika Srpska ha affermato che solo in un secondo momento aveva constatato che durante l’attacco furono uccisi anche nove membri dell’Esercito della Republika Srpska e che nel 2007 aveva aggiornato il rapporto, inserendovi nuove prove.
La procura della Bosnia Erzegovina ha confermato a BIRN che sta ancora lavorano sul caso e che in questo momento sta ascoltando diversi testimoni e vittime, ma non ha voluto rendere noto alcun dettaglio sull’inchiesta.
“I responsabili devono essere puniti”
Tra il 1998 e il 1999 l’Istituto bosniaco per le persone scomparse (INO BiH) aveva eseguito tre operazioni di esumazione nei pressi di Jajce durante le quali sono stati esumati i resti di 96 persone.
Stando ai dati diffusi dall’Istituto, è ancora in corso la ricerca di nove persone scomparse sul territorio di Bravnice.
In attesa che le indagini vengano portate a termine e che vengano identificati i responsabili dell’attacco, i familiari e le associazioni delle vittime hanno pensato di installare una targa commemorativa nel luogo dell’attacco, ma non hanno ancora ricevuto l’autorizzazione dal comune di Jajce.
Oggi a Bravnice, alla fermata dell’autobus, c’è solo una targa affissa su un palo, quasi distrutta, e sotto di essa una corona di fiori.
Nadežda dice che per quelli che quel giorno del 1995 erano a Bravnice la cosa più importante è che i responsabili dell’attacco vengano processati.
“Possiamo parlare della cultura della memoria e della necessità di commemorare perennemente quel luogo con una targa che parlerà di quanto accaduto, ma che sarà anche una lezione per le future generazioni, affinché ciò che è accaduto non accada mai più. Ma dovete capirmi, così come dovete capire tutti gli altri civili che c’erano su quell’autobus: i responsabili devono essere puniti”, afferma Nadežda concludendo: “Mi chiedo perché nessuno parli di questo crimine e cosa dobbiamo fare affinché i responsabili vengano portati sul banco degli imputati”.
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