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La Drina, nei pressi di Brod, dal ponte che unisce la M18 e la M20 (Foto G. Vale)
Prosegue il nostro reportage lungo la Drina, alla scoperta di uno dei fiumi più noti e importanti della Bosnia Erzegovina. In questa puntata incontriamo i canyon e il rafting, il parco della Sutjeska con lo storico monumento di Miodrag Živković e infine la città di Goražde
(Leggi tutte le puntate del reportage I volti della Drina)
La statale M18 (E762) scorre lungo il tratto superiore della Drina fino alla frontiera tra la Bosnia Erzegovina e il Montenegro. L’asfalto è così schiarito dal sole che la carreggiata si confonde a tratti con il ghiaino delle aree di sosta improvvisate ai margini della strada. In questa giornata d’inverno, le macchine sono rare e basta rallentare un po’ per sentire il brontolio del fiume che gorgheggia qualche metro più in basso.
Passata l’ultima curva, il navigatore segnala che davanti a noi, da qualche parte nella boscaglia, si trova il punto esatto in cui i fiumi Tara e Piva si uniscono, dando vita alla Drina. Dalla strada, però, la visuale è pessima e, dopo aver tentato diversi parcheggi selvaggi per scattare una foto, sono costretto a rinunciare per non attirare l’attenzione dei poliziotti di frontiera che, annoiati, mi guardano con curiosità dal valico di confine a 300 metri di distanza.
Una vita lungo la Drina
Per fortuna, questa zona è il paradiso dei centri di rafting e da ambo i lati del confine, decine di stradine ripide e sconnesse scendono dalla M18 portando al letto del fiume. In Bosnia Erzegovina il centro più vicino alla confluenza di Tara e Piva è “Divlja Rijeka”, aperto da Milan Rudinac nel 2013. Quando arrivo nel suo campeggio, la stagione del rafting è chiusa da un pezzo. È tempo di riposo, lavori di manutenzione e baldoria con gli amici.
“Faccio questo lavoro da quasi 25 anni – mi racconta Milan – all’inizio io e i miei turisti dormivamo con le tende nel canyon della Drina, poi ho iniziato ad appoggiarmi ad altri campeggi e infine ho costruito il mio centro. Oggi ricevo circa 2000 persone ogni estate”. I viaggiatori vengono da tutto il mondo e per molti si tratta di un primo tuffo, anche letterale, nel cuore dei Balcani.
“Io ho mosso i miei primi passi lungo la Drina. È qui che ho imparato a nuotare, a pescare, a fare immersioni e kayak… Mi è difficile immaginare una vita lontano dal fiume e forse anche per questo non ho mai lasciato questa regione”, prosegue Milan Rudinac, che ammette: “Quando mi allontano dalla Drina continuo a sentire il suo profumo e il rumore delle sue rapide”.
A tutto sviluppo
Mentre parliamo, l’acqua scorre senza sosta a qualche metro di distanza, ormai già all’ombra del canyon su cui sta tramontando il sole. Divlja Rijeka è il primo dei campeggi e centri di rafting che s’incontrano sulla Drina, ma non è certamente l’ultimo. “Ultimamente da queste parti sono arrivate sempre più persone che non hanno nulla a che fare con la natura”, lamenta Milan, che spera che “la loro consapevolezza nei confronti del fiume e della natura in generale cambi un po’”.
Man mano che il turismo fluviale diventa più popolare, l’area attira infatti sempre più investitori. Poco dopo il campeggio di Milan, un centro molto più grande è in costruzione e lungo la strada che porta a Foča si susseguono senza sosta le stradine che scendono verso il letto del fiume precedute da un cartello che annuncia la presenza di un “camping” o di un “rafting center”. Ma non c’è solo lo sport. Lungo il tratto superiore della Drina c’è chi vorrebbe costruire anche delle centrali idroelettriche.
“Gli interessi politici sono tanti e noi difficilmente possiamo fare qualcosa contro questi progetti, ma non smetteremo di lottare perché queste centrali non vengano costruite”, assicura Milan Rudinac.
Tra Foča e il confine bosniaco-montenegrino dovrebbero sorgere quattro piccole centrali idroelettriche: Foča, Sutjeska, Buk Bijela e Paunci, ma il progetto, voluto dalla Republika Srpska e dalla Serbia, sembra per il momento arenato .
A inizio 2024 ventiquattro parlamentari bosniaci hanno fatto ricorso alla Corte costituzionale di Sarajevo criticando il diritto della RS a stipulare accordi internazionali. La questione, insomma, è per il momento in sospeso.
Dalla valle alla città degli eroi
Proseguendo lungo la M18, dopo una lunga serie di campeggi e nel punto esatto in cui si trova la Zip line e un poligono di airsoft, la Drina accoglie il suo primo affluente: la Sutjeska. Non si tratta di un fiume qualunque.
Attorno a questo corso d’acqua è nato nel 1962 l’omonimo parco nazionale, il più vecchio della Bosnia Erzegovina, noto a livello internazionale per l’impressionante monumento realizzato nel 1971 a Tjentište dallo scultore serbo Miodrag Živković.
Qui, nella cosiddetta “valle degli eroi”, un centro memoriale ricorda la battaglia della Sutjeska combattuta nell’estate del 1943 tra i partigiani di Tito e le forze dell’Asse.
Quando arriviamo ai piedi della collina che porta al monumento – due ali di cemento alte 19 metri da cui si vede tutta la valle e le montagne sullo sfondo – dei piccoli gruppi di visitatori stanno completando la visita. Le targhe delle loro auto tradiscono la provenienza: Slovenia, Croazia, Serbia, Bosnia Erzegovina…
Quand’è vuoto, immerso nel silenzio della natura, questo luogo sembra appartenere ad un’altra epoca, lontana, o forse addirittura ad un altro pianeta, con una scultura extraterrestre atterrata come per magia sulla collina. Ma quand’è visitato, il parco memoriale di Tjentište ritrova improvvisamente la sua funzione, scoprendosi elemento comune tra genti che abitano oggi in paesi diversi e ovviamente memento della guerra di liberazione.
Più di ottant’anni fa, i partigiani riuscirono a sfuggire all’accerchiamo dei nazifascisti attraversando il canyon della Sutjeska e marciando verso nord-est in direzione di Goražde. Noi seguiamo quello stesso percorso, anche se non nel bosco, ma lungo la M20 che nei dintorni di Foča dà il cambio alla M18 seguendo il corso della Drina (questa volta sul lato sinistro).
In quest’area iniziano anche i resoconti dei crimini di guerra, che purtroppo accompagneranno il nostro fiume per gran parte del suo corso. Nel 1992, quando la guerra iniziava in Bosnia Erzegovina, fu proprio lungo la Drina che furono compiuti i primi massacri da parte delle truppe serbe.
A Foča la Moschea Aladža, tra le più importanti della Bosnia Erzegovina, è stata riaperta al pubblico solo nel 2019. Completata nel 1550, era stata fatta saltare in aria nel 1992 dall'esercito della Republika Srpska e per oltre due decenni lo spiazzo su cui si trova – sulle rive della Ćehotina, un altro affluente della Drina – era rimasto vuoto.
Dieci chilometri più a nord, la città di Ustikolina segna il passaggio dalla Republika Srpska alla Federazione (FBIH): una piccola enclave che si interrompe venti chilometri dopo, a Goražde, la “città degli eroi” (tra le due città, nei pressi di Mravinjac, troneggia sulla collina un’enorme scritta “Tito”: un omaggio al leader jugoslavo realizzato nel 1980 in occasione della sua morte).
Goražde, che oggi appare come un calmo paesino di circa 20mila abitanti adagiato sulla Drina, fu assediata dalle truppe serbo-bosniache per più di 1.300 giorni, dal 1992 al 1995, vivendo un destino simile a quello di Sarajevo, a cento chilometri di distanza.
Riuscì a resistere e per questo, agli accordi Dayton, la città fu assegnata alla Federazione croato-musulmana, unita da uno stretto corridoio al resto dell’entità. Molti lettori la conoscono forse per il pluripremiato lavoro di Joe Sacco, che a Goražde ha dedicato una graphic novel, frutto di un suo soggiorno in città nel 1995-1996.
Oggi, il profilo del comune è dominato dagli alti minareti della moschea Kajserija, costruita nel 2009 con il sostegno della Turchia. Il ponte pedonale che attraversa la Drina è abbellito da vasi di gerani rosa e rossi e la terrazza del ristorante Bosanka, in trg Branilaca (o piazza dei Difensori) è affollata di gente, venuta a crogiolarsi al sole e a respirare il vento che soffia sul fiume.
Qualche metro più in basso, appena sotto il ponte pedonale e sopra alla Drina, si intravede ancora il “ponte sotto al ponte” costruito nel 1994 per permettere un collegamento sicuro tra le due sponde, al riparo dall’artiglieria serba.
L’accesso alla struttura si fa dalla sponda meridionale, non lontano dal monumento ai bambini morti durante l’assedio. In futuro, il “ponte sotto il ponte” dovrebbe essere ristrutturato completamente ed incluso nell’offerta turistica locale. Non sarà celebre come quello raccontato da Ivo Andrić nel suo romanzo, ma il “ponte sotto il ponte” racconta anch’esso un capitolo importante della vita lungo il corso della Drina.
È tempo di lasciare Goražde e ripartire sulla M20 alla volta di Višegrad, prossima tappa del nostro viaggio lungo il fiume.
Continua
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