Nazif Mujić, protagonista del film “Un episodio della vita di un raccoglitore di ferro”, di Danis Tanović, è morto nello stesso giorno di febbraio in cui, cinque anni prima, era tornato nel suo villaggio in Bosnia con l’Orso d’argento
Sarebbe andata bene, più che bene, se non ci fosse stato motivo di realizzare un film come questo, probabilmente il meno costoso della storia della cinematografia bosniaca, che vede alla regia Danis Tanović. Il motivo: il calvario vissuto da Senada Alimanović, moglie di Nazif, nel maggio 2011. La verità è che questo film non ci sarebbe stato se il valore della vita umana, in Bosnia e non solo, non fosse oggetto di una costante svalutazione. Ricordiamo che di questo calvario, che per poco non finì tragicamente, scrisse per primo il portale di Tuzla Žurnal. I giornalisti del Žurnal reagirono attualizzando la questione – del tutto marginalizzata nel contesto sociale, politico e culturale – dei pregiudizi nei confronti dei rom, denunciando il perdurante silenzio delle istituzioni al riguardo. Tanović reagì, da artista e uomo, impegnandosi a realizzare un film su questa vicenda.
Qualche passo indietro nel tempo
Senada Alimanović, moglie di Nazif Mujić, un raccoglitore di ferro rom del villaggio di Svatovac nei pressi di Tuzla, ebbe un’improvvisa emorragia vaginale in gravidanza. I dolori erano insopportabili e suo marito decise di portarla all’ambulatorio più vicino, situato nel comune di Lukavac. La famiglia di Nazif Mujić non aveva una copertura sanitaria, ma alla dottoressa Morankić, ginecologa dell’ambulatorio, non importava. Fece subito un’ecografia, constatando che il feto era morto. L’unico modo di salvare la vita di Senada era di operarla urgentemente.
Una volta arrivati al Centro clinico universitario di Tuzla, Nazif e sua moglie vennero informati che, in quanto sprovvisti di assicurazione sanitaria, l’intervento poteva essere effettuato soltanto dietro pagamento di un corrispettivo pari a 980 marchi convertibili (circa 500 euro, l’equivalente di cinque tonnellate di ferro vecchio). Nazif cercava invano di convincere il personale dell’ospedale ad aiutare sua moglie, invano chiedeva che gli venisse concessa la possibilità di pagare la somma richiesta a rate. Nel caso di Senada il muro degli pseudofedeli al giuramento di Ippocrate si rivelò duro, troppo duro. Quel giorno a Tuzla, gli ideali universali della professione medica formulati da questo antico umanista greco, vennero calpestati dall’arbitrio del direttore della clinica ginecologica e dall’obbedienza dei suoi subordinati. (C’entravano solo l’arbitrio e l’obbedienza? Successivamente, un’inchiesta condotta dai giornalisti di Žurnal ha dimostrato che in quella stessa clinica vengono curate anche persone sprovviste di assicurazione sanitaria. Quindi?)
Tornarono a casa, Senada con i dolori, Nazif con la sua disperazione. Nei dieci giorni che seguirono, mentre Senada lottava per la vita, suo marito intraprese una frenetica raccolta di ferro, (dimostratasi inutile, in tre giorni riuscì a guadagnare solo 120 marchi), cercando al contempo di far ragionare il personale sanitario del Centro clinico di Tuzla, che continuava a mostrarsi sordo. Alla fine decisero di tentare un’ultima possibilità: andare all’ospedale di Doboj – una città situata nell’altra entità del paese – con la tessera sanitaria di una cugina di Senada. Il medico dell’ospedale di Doboj sapeva di essere stato fregato ma in Senada non vide una persona con la tessera sanitaria altrui né una donna rom, bensì una paziente a un passo dalla morte. L’operazione durò circa quattro ore e ebbe esito positivo.
Il film e il dopo film
Essendo venuto a conoscenza di questa storia, il regista Danis Tanović decise di incontrare Senada e Nazif e a distanza di circa un mese da quell’intervento che salvò la vita a Senada – facendo prevalere il bene sulla disumanità – iniziarono le riprese del film, durate nove giorni. Nel film, girato nell’autentica località del villaggio di Svatovac, i veri protagonisti di questa storia interpretano se stessi. Accanto a Nazif e Senada, nel film compaiono anche le loro figlie Sandra e Šemsa, e i loro vicini solidali. Gli unici attori professionisti sono quelli che interpretano gli infermieri e i medici dell’ospedale di Tuzla. Gli attori rom, che nel film di Tanović vediamo recitare nel ruolo di se stessi, apparvero sul tappeto rosso del Festival di Berlino e di quello di Sarajevo. Nazif Mujić comparve sulle prime pagine dei giornali bosniaco-erzegovesi e internazionali. Gli abitanti del villaggio di Svatovac dicono che nemmeno per Tito sarebbe stata organizzata una cerimonia di benvenuto come quella tenutasi il 18 febbraio 2013 in onore di Nazif. L’amministrazione comunale aveva provveduto ad asfaltare le strade del villaggio, e per un po’di tempo c’era anche la connessione internet.
Dopo un breve periodo di popolarità e fama, raggiunte grazie alla sua interpretazione nel film che, documentando la marginalizzazione dei rom in Bosnia (un fenomeno che va inquadrato in un più ampio contesto regionale ed europeo), aveva sollevato domande scomode sui problemi “invisibili” di gruppi sempre meno visibili, spinti ai margini della società, la parabola della vita di Nazif entrò nella sua fase discendente.
Nel periodo post-Berlinale, ovvero nel film della vita reale, una volta spentisi i riflettori e andati via i giornalisti con le loro telecamere e i loro registratori, la famiglia di Nazif Mujić sprofondava sempre più nella miseria. Nazif stava sempre peggio di salute e con i lavori che riusciva a trovare non guadagnava abbastanza da poter sfamare la sua famiglia. Tutte le promesse ottenute nel breve periodo di popolarità rimasero lettera morta. “Potrei andare avanti per cinque giorni e cinque notti a raccontarvi tutto quello che ci è successo”, ha detto Senada in un’intervista a un giornale. Hanno venduto anche l’Orso d’argento, per 4000 euro. Oggi si trova in un bar a Srebrenik, nel cantone di Tuzla. Per tre volte hanno provato a chiedere asilo in Germania, tre volte sono stati rimandati indietro. Durante uno di questi tentativi c’è mancato poco che venisse loro sottratta una delle figlie. La strada per ottenere l’asilo evidentemente non passa nemmeno per i tappeti rossi dei festival cinematografici.
Ad organizzare il funerale di Nazif e fornire un primo aiuto alla sua famiglia è stato Mehmed Mujić, un suo cugino di Tuzla, professore di educazione fisica, primo rom ad essere eletto consigliere comunale di Tuzla, vice presidente dell’Organizzazione mondiale dei rom, membro del Consiglio delle minoranze nazionali della Federazione di Bosnia Erzegovina. Mujić ritiene che il comune e lo stato debbano impegnarsi a trovare una soluzione alla disperata situazione sociale in cui si trovano la vedova di Nazif e i loro quattro figli.
È tutto? Vogliamo anche aggiungere che nessuno del personale dell’ospedale di Tuzla è stato chiamato a rispondere del rifiuto di prestare assistenza sanitaria a una donna? Una donna rom.
Neve e cemento
Certo, ora la cosa fondamentale da fare è migliorare le condizioni di vita della famiglia del defunto e realizzare il suo desiderio di mandare i figli a scuola. Ma la sensazione che resta dopo questo episodio, solo apparentemente isolato, ha il sapore amaro dell’ipocrisia sociale. È lungo l’elenco delle istituzioni che sono state informate del caso di Senada Alimanović, ed è altrettanto lungo quello di enti locali, cantonali e nazionali che sono rimasti sordi alle suppliche di Nazif Mujić.
Almir Panjeta, giornalista e fotografo sarajevese, già il giorno della premiazione al Festival di Berlino, come se avesse intuito quello che sarebbe successo nel “film dopo il film” di Nazif, commentava così: “La vita (comunque) non è un film. Senada ha portato in grembo per dieci giorni un feto morto e nessuno ha voluto aiutarla! La storia che ha ispirato il film di Danis Tanović è molto più del semplice glamour, è una storia di cui nei prossimi giorni non parlerà nessuno di quelli che oggi si vantano di un altro successo del ‘nostro cinema’. Il vincitore dell’Orso d’argento Nazif Mujić è un cittadino non costituente della Bosnia Erzegovina e non ha diritto di essere eletto”. (Dnevni avaz, 17.02.2013)
Della scomparsa del raccoglitore di ferro di Svatovac hanno scritto molti quotidiani, periodici e portali bosniaci e dell’intera regione. Sono state pubblicate molte fotografie. In una di esse si vede, in primo piano, un palo di cemento (duro quanto i pregiudizi nei confronti dei rom) a cui è affisso un modesto avviso di lutto, e sullo sfondo il villaggio di Svatovac coperto di neve. Credo che Nazif Mujić abbia lasciato dietro di sé anche un messaggio – semplice e puro come quella neve – sulla necessità di battersi affinché (a tutti i cittadini) sia garantita la giustizia sociale.
Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!