Fata, eroina di Bosnia, ha ottenuto ragione dalla CEDU

4 ottobre 2019

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Era dovuta fuggire da Konjević Polje a causa della guerra. Rientrata nel 2000 ha trovato sul suo terreno una chiesa ortodossa. Da allora ha avviato una battaglia per la restituzione del terreno. Battaglia che Fata Orlović, ha vinto lo scorso primo ottobre, dimostrando ai bosniaci che il coraggio di difendere i propri diritti e lottare contro le ingiustizie subite a volte vince anche contro chi ha in mano un grande potere.

“Avrei chiesto l’abbattimento anche se nella mia proprietà avessero costruito una moschea invece che una chiesta ortodossa, che sia chiaro! Io ho solo difeso ciò che è mio, la mia terra e i miei diritti”. Con il solito foulard bianco in testa e lo sguardo deciso, è con queste parole che ha risposto ai tanti media che in Bosnia l’hanno intervistata in relazione alla sentenza emessa dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo martedì 1° ottobre 2019.

Fata Orlović, è un’anziana donna che durante la guerra ha dovuto abbandonare la sua proprietà – casa, terreni agricoli e stalla - di Konjević Polje, nei pressi di Bratunac, assieme a famiglia e parenti, come è accaduto a molti altri bosniaci musulmani di quella zona di cui presero il controllo le forze serbo-bosniache.

Dopo anni vissuti da sfollata, quando è rientrata a Konjević Polje nel 2000 – che dopo la firma dell’Accordo di Dayton è finito sotto l’amministrazione dell’Entità della Republika Srpska - ha trovato la casa completamente distrutta e una chiesa ortodossa costruita illegalmente nel 1996 sul terreno di sua proprietà.

A quel punto ha chiesto alle autorità religiose e civili di rimuovere l’edificio, non ottenendo alcun risultato si è poi rivolta alle aule dei tribunali locali e alla Corte Costituzionale. Una storia che negli anni ha portato ad un’atmosfera di tensione altissima, come nel 2004 in cui si è verificato un vero e proprio scontro tra Fata Orlović ed un gruppo di bosgnacchi da una parte e preti ortodossi, civili serbi e la polizia della RS dall'altra. E che alla fine ha spinto lei e i parenti sopravvissuti alla guerra a presentare un esposto alla Corte Europea dei diritti dell'Uomo (CEDU).

Il viso di Fata è rimasto imperturbabile anche mentre ascoltava le parole del Metropolita Mihailo della Chiesa ortodossa del Montenegro pronunciate davanti alle telecamere di Face TV , mentre le stringeva la mano: “Signora Fata, sono venuto qui a Sarajevo per vedere proprio lei e per dirle che è una brava e benedetta donna. Questa sua frase sul fatto che anche se fosse stata una moschea avrebbe fatto lo stesso, la devono sapere tutti (…) Significa che nessuna delle due chiese sarebbero state veri simboli religiosi, ma solo di un nazionalismo che viola i diritti di una persona e porta all’odio”.

La sentenza della Corte Europea ha decretato che la chiesa dovrà essere abbattuta entro tre mesi e ha riconosciuto un risarcimento danni a Fata e a suoi parenti:

In today’s Chamber judgment1 in the case of Orlović and Others v. Bosnia and Herzegovina (application no. 16332/18) the European Court of Human Rights held, unanimously, that there had been: a violation of Article 1 of Protocol No. 1 (protection of property) to the European Convention on Human Rights. The case concerned a church built by the Serbian Orthodox Parish on the applicants’ land after they had had to flee their property during the 1992-95 war. The Court found in particular that the authorities’ failure to comply with final and binding decisions of 1999 and 2001 ordering full repossession of the land by the applicants, without any justification on the part of the Government for such inaction, had seriously frustrated their property rights. It also held, by six votes to one, under Article 46 (binding force and implementation) that the respondent State had to ensure enforcement of the two decisions in the applicants’ favour, including in particular the removal of the church from the applicants’ land, at the latest within three months of this judgment becoming final.