Una delle sezioni più interessanti della sedicesima edizione del Sarajevo Film Festival è stata quella dedicata ai documentari. Molti lavori in concorso e ben fatti. Vince il primo premio la regista macedone Biljana Garvanlieva
Il concorso documentari si è confermato una delle sezioni più interessanti del Sarajevo Film Festival (Sff). Il premio della 16° edizione è stato assegnato a “The Seamstresses – Shivackite” della macedone Biljana Garvanlieva, ultima parte di una trilogia sul lavoro delle donne. Stavolta lo spettatore è condotto nella cittadina di Stip, centro industriale decaduto dopo il crollo del sistema jugoslavo: gli uomini sono rimasti senza lavoro e stanno al bar a guardare le donne che vanno nell’unica fabbrica aperta a cucire vestiti, soprattutto divise per la polizia tedesca e per le truppe Nato di tutte le nazionalità. Il film precedente della regista, “Tobacco Girl”, sulla quattordicenne Mümine, ragazza della minoranza turca che lavora nei campi di tabacco per sostenere la famiglia ma sogna di andare a scuola a Skopje e sfuggire a un precoce matrimonio combinato, è stato mostrato all’ultimo Trento Film Festival.
L’Human Rights Award dell’Sff è andato a “Mila Seeking Senida - Mila traži Senidu” di Robert Tomić Zuber. Il lavoro del giornalista croato si è anche piazzato terzo nella classifica del pubblico con una media di 4,66 su 5: in testa “Presumed Guilty” con 4,82 davanti al bel “The World According To Ion B” del romeno Alexander Nanau su un barbone diventato artista di fama mondiale con i suoi collage che accostano personaggi degli ultimi decenni e fanno critica politica.
“Mila Seeking Senida” racconta dell’appena maggiorenne belgradese Mila Janković che va in Bosnia alla ricerca di quella che era la piccola Senida Bećirović. Ovvero lei stessa prima di essere trovata abbandonata nel maggio ’92, agli inizi della guerra, e adottata da una famiglia serba. La ricerca è laboriosa e mette a dura prova sia la ragazza sia le persone che piano piano incontra. Il film ha un po’ l’impianto dell’inchiesta televisiva, ma è appassionante e toccante.
L’“Edn Talent Grant”, dell’European Documentarist Network, è stato assegnato al croato “The Flood – Poplava” di Goran Dević, già regista di “Crnci - I Neri” insieme a Zvonimir Jurić e vincitore ai festival di Pola e di Cottbus 2009. Kosinj è un paesino della regione della Lika dove le inondazioni sono frequenti e nessun governo o amministrazione ha mai provveduto. La vallata si riempie d'acqua, molte case sommerse e non ci si può muovere se non in barca. La calamità ha però il lato positivo nel fatto che due villaggi a dirimpetto, uno abitato da croati e l'altro da serbi, solitamente scollegati, entrano in comunicazione grazie alla piena. Dević segue due volontari che si danno da fare anche per aiutare gli altri e uno, veterano di guerra, dice: “l’alluvione è un castigo divino per le nostre colpe, più grande è il peccato, più alta è l’acqua”. Il documentario assume, senza sottolineature del regista, toni grotteschi quando arriva un vescovo, con contorno di papaveri, per benedire Kosinj e non si interessa alle reali condizioni della gente.
Senza premi, ma curioso e originale, “Zvezda je rođena - A Star is Born”: la montatrice serba Vanja Kovačević filma se stessa e il sogno di imparare a suonare la batteria. Nove mesi per prendere lezioni e arrivare ad esibirsi in concerto con una cover band (dei Decembarists) creata per l’occasione. Le audizioni per gli altri componenti vanno in parallelo con il difficile apprendimento con bacchette, tamburi, cassa, rullante e piatti. Ma l’esibizione di rivela un successo.
Sempre serbo è “Mica i okolne priče – Mica and the Stories around Her” di Milan Nikodjiević. Protagonista è Milica Ostoijć, conosciuta anche come Mica Davorika, cantante che divenne di culto negli anni ’70 per la canzone “Davorike, dajke”, invito esplicito alla libertà sessuale per le ragazze, e di altre canzoni con testi senza giri di parole. Dimenticata per lungo tempo è tornata alla ribalta interpretando “Lepa sela, lepo gore – I bei villaggi, bruciano bene” e altri film di Srđan Dragojević. Anche in questo caso è sua la battuta più citata: “silenzio, questo è erotico!”. Sbarazzina a dispetto dell’età, e con l’ausilio del vicinato, Mica ricostruisce come la musica cambiò costumi e abitudini della Jugoslavia.
Miljenko Jergović, il più affermato scrittore balcanico delle ultime generazioni viaggia invece, in compagnia del più giovane collega belgradese Marko Vidojković a bordo di una vecchia Jugo da Bleiburg in Austria fino al confine tra Macedonia e Grecia. Li filma Željko Mirković in “Dugo putovanje kroz istoriju, historiju i povijest – The Long Road Through Balkan History”. Dal borgo dove gli inglesi consegnarono ai partigiani di Tito migliaia di prigionieri che avevano collaborato con i nazisti (il loro numero è stato negli anni gonfiato o nascosto a seconda degli interessi di parte, ma sembra aggirarsi sui 60-70.000) che poi dovettero camminare verso casa, in molti casi senza riuscirci. I due fanno considerazioni, anche di umorismo nero, sul passato e il presente, visitano luoghi come Jasenovac con il memoriale per i circa 100.000 morti nel campo di sterminio, incontrano testimoni dell’oggi come Drago Hedl (corrispondente di Osservatorio Balcani e Caucaso, ndr.), visitano città simbolo quali Vukovar e superano due guasti della vecchia utilitaria, che cede definitivamente mentre si sta concludendo il viaggio.
Valida anche la sezione documentari del BiH Festival, ovvero la finestra su tutta la produzione nazionale recente con una trentina di titoli tra lunghi, corti e doc. Molto significativo e utile “Kinofil – Dog Lover” di Damir Janeček, che, a dispetto del titolo, si fa apprezzare anche da chi non è particolarmente amico dei quattro zampe. Un quadro d’insieme, di 90 minuti, sui randagi a Sarajevo e in Bosnia, dove da mezzo secolo vengono catturati e uccisi brutalmente. Il punto di vista è animalista, con interviste a chi se ne occupa, incursioni nell’università dove si facevano esperimenti su animali vivi. È anche un racconto, da un’angolazione insolita, della vita in città, dove la mancanza di rispetto per le bestie è lo specchio della negazione di alcuni diritti agli esseri umani.
Meritevole di interesse sarebbe “Od Aušvica do Dretelja – Da Auschwitz a Dretelj” di Timur Boškailo se non fosse molto povero tecnicamente e con un sonoro disturbato e difficile da seguire, in quanto interamente dialogato e girato su un motoscafo in navigazione su un lago dell’Arizona. È l’incontro del giornalista Mugdim Karabeg (“Oslobođenje”) con lo psichiatra Esad Boškailo. Entrambi erano stati detenuti durante la guerra nel campo di concentramento erzegovese di Dretelj, dove erano stati sottoposti a torture (privazioni del sonno, scarsità di acqua o distribuzione di cibi ustionanti da ingerire in soli 10 secondi) identiche a quelle inflitte dai nazisti. I due discutono sui diversi comportamenti osservati tra i prigionieri, tra le guardie e gli stessi vicini di casa che in molti casi avevano fatto delazioni. Il sunto è che, anche nelle situazioni più estreme, ciascuno ha la possibilità di scegliere se comportarsi in maniera umana oppure no.
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