Milorad Dodik - © Alexandros Michailidis/Shutterstock

Milorad Dodik - © Alexandros Michailidis/Shutterstock

La crisi innescata dal mandato di arresto contro il presidente della Republika Srpska mostra che il leader serbo-bosniaco "ha sbagliato ogni mossa e non ha più carte da giocare". Intervista all'eurodeputato ceco Ondřej Kolář (PPE), relatore del Parlamento europeo per la Bosnia Erzegovina

01/04/2025 -  Federico Baccini Bruxelles

La Bosnia Erzegovina sta vivendo una delle sue fasi più critiche. A trent'anni dalla firma degli accordi di Dayton che hanno messo fine alla guerra e hanno fornito il (complesso) quadro istituzionale, la crisi innescata dal mandato di arresto della Corte di Bosnia Erzegovina contro il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, a causa del suo progetto secessionista, sta rischiando di far cadere nel caos l'intero Paese.

Tuttavia, mentre Dodik ha sfidato la decisione viaggiando prima in Israele e poi a Mosca - e la stessa Corte ha richiesto all'Interpol di spiccare un mandato di arresto internazionale - c'è chi legge questa situazione come il "canto del cigno" del leader dell'entità serbo-bosniaca.

"Tutte queste parole e proclami forti sulla secessione, quando poi si tratta di passare all'azione, si rivelano per ciò che sono: insignificanti. Dodik ha provato a mostrare i muscoli, ma non ha più carte da giocare", è quanto sostiene l'eurodeputato ceco Ondřej Kolář (PPE), relatore del Parlamento europeo per la Bosnia Erzegovina, in un'intervista per OBCT.

Ondřej Kolář (foto Parlamento europeo)

Ondřej Kolář (foto Parlamento europeo)

C'è il rischio che, se Dodik dovesse essere effettivamente arrestato, si possa scatenare una rivolta popolare nella Republika Srpska?

Non credo. Dodik ha sbagliato ogni mossa e non ha più carte da giocare. Sta semplicemente lottando per rimanere politicamente in vita. È sempre più isolato anche all'interno della Republika Srpska e, fatta eccezione per il suo partito, quasi nessuno in Bosnia lo sostiene.

Persino [il presidente serbo, Aleksandar] Vučić sembra pronto ad abbandonare Dodik, perché sostenerlo è diventato troppo costoso dal punto di vista politico. Gli unici alleati rimasti sono la Russia e l'Ungheria.

Dodik ha anche sbagliato i suoi calcoli sugli Stati Uniti. Aveva supposto che Trump avrebbe immediatamente rinnegato l'accordo di Dayton, una creatura statunitense. Eppure, almeno per ora, la nuova amministrazione non ha messo in discussione il quadro istituzionale della Bosnia Erzegovina.

Il progetto incostituzionale della "Grande Serbia" rappresenta una minaccia reale?

No, perché oltre a Dodik, anche Vučić è in seria difficoltà e deve concentrarsi sulla propria sopravvivenza politica.

Tutti questi discorsi sulla "Grande Serbia" sono solo retorica rivolta all'opinione pubblica nazionale. Ma, detto francamente, a chi si rivolge davvero ora? Dubito che le grandi folle che protestano contro Vučić siano interessate a questo progetto.

È un gioco che entrambi i leader stanno perdendo. Se poi consideriamo che entrambi i Paesi balcanici aspirano a entrare nell'Unione europea, devono capire che non è nemmeno qualcosa che permetteremo loro di fare.

Nonostante le richieste del Parlamento europeo, le sanzioni contro Dodik e i responsabili della crisi in Bosnia Erzegovina non sono ancora state imposte. Perché?

Ad essere sincero, non credo che questo sia il momento giusto per le sanzioni. Rischieremmo di perdere completamente il controllo delle dinamiche interne nella Republika Srpska. Nonostante le porte non siano del tutto aperte, c'è ancora un piccolo varco attraverso il quale possiamo impegnarci. Imporre sanzioni le chiuderebbe del tutto.

L'UE ha già tentato di imporre sanzioni in passato, ma non ci è riuscita a causa del veto dell'Ungheria in Consiglio. Succederebbe lo stesso adesso, e Orbán celebrerebbe l'ennesimo fallimento dell'Unione. Non credo che dovremmo dargli altre possibilità di minare l'unità dell'UE, perché è proprio questa la sua strategia.

Ma qual è la strategia di Orbán nei Balcani?

La strategia di Orbán consiste nel minare l'unità dell'Unione europea non solo nei Balcani, ma ovunque l'UE stia cercando di arrivare con la sua politica di allargamento. Basti pensare alla Georgia, per esempio.

L'Ungheria di Orbán non è altro che uno strumento di Putin. Sta facendo di tutto per aiutare la Russia su qualsiasi fronte e per indebolire l'Unione europea nel suo complesso, bloccando il maggior numero possibile di dossier e sostenendo che l'UE non funziona.

Quanto ancora l'alleanza tra Dodik, Vučić e Orbán può destabilizzare la regione?

È certo che hanno ancora la capacità di destabilizzare la regione, ma la domanda è sempre la stessa: chi è il loro pubblico ora? Possono creare caos, ma per una nuova guerra nei Balcani manca loro il potere di mobilitare la gente, che non è più disposta a combattere.

Dodik è isolato e Vučić non verrà in suo aiuto. Lo stesso Vučić sta affrontando proteste in patria, figuriamoci se può permettersi di schierare l'esercito serbo.

C'è il rischio che la Russia possa essere l'ultima carta nel mazzo di Dodik?

Attacchi informatici e strumenti di guerra ibrida sono qualcosa che la Russia sta usando e continuerà a usare.

Bisogna però ricordare che, nonostante il fallimento militare che hanno dimostrato in Ucraina, la diplomazia russa è ancora di livello molto alto. Questo significa che aiuteranno Dodik, ma solo fino a quando non diventerà inutile per i loro fini.

Per esempio, quando Dodik chiede a Mosca di bloccare la proroga della missione EUFOR Althea in Bosnia ponendo il veto in sede ONU, gli stessi russi si rendono perfettamente conto che, se lo facessero, la NATO arriverebbe a sostituire EUFOR. E, in altre parole, per la Russia sarebbe una sconfitta.

Nel frattempo, la politica di Trump potrebbe contribuire a rinfocolare i leader nazionalisti nei Balcani?

Di Trump non ci si può fidare su nulla. Sembra che abbia una ruota della fortuna alla Casa Bianca, ogni mattina non si sa mai cosa dirà o farà. Cambia idea ogni giorno, è il prototipo del populista.

L'Europa sta iniziando a rendersene conto. Se vogliamo allargare l'Unione e rendere l'Europa più forte, dobbiamo iniziare a essere davvero proattivi. È una grande opportunità per emergere e non possiamo permetterci di fallire questa volta.

In che modo dovrebbe agire l'Unione europea?

Dobbiamo smettere di dare per scontato che le cose andranno sempre come vogliamo, senza agire.

La commissaria per l'Allargamento [Marta Kos] dovrebbe dare l'assoluta priorità ai Balcani occidentali, perché si tratta di una regione cruciale. Ci sono diversi Paesi nella lista di quelli che aspirano ad aderire all'UE e, molto semplicemente, non possiamo subire una sconfitta in questa politica.

Per quanto riguarda la Bosnia Erzegovina, nello specifico, credo che le persone abbiano capito che devono affrontare direttamente i propri problemi. A Bruxelles abbiamo stabilito degli standard e non possiamo scendere a compromessi quando apriamo i negoziati di adesione con un Paese candidato.

I bosniaci vogliono vivere secondo gli standard europei e sono sempre più consapevoli che, se vogliono entrare nell'Ue, politici come Dodik non hanno nulla da offrire loro. Lo dimostrano tutti quelli che lasciano la Bosnia per cercare opportunità altrove, piuttosto che rimanere in un Paese in cui le istituzioni ostacolano il raggiungimento di questo obiettivo.


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